Salmo 115 – Ho creduto

Ho creduto anche quando dicevo: “sono troppo infelice” (Primi Vespri domenica, 3^ settimana).

La Liturgia dà una interpretazione eucaristica a questo salmo proprio a partire dall’immagine del “Calice della salvezza”. È Gesù stesso che riferisce alla sua Pasqua quanto è scritto anche nei Salmi (cfr Lc 24). Il rendimento di grazie per eccellenza è l’Eucaristia. Nel cuore della sofferenza dell’uomo segnato dal dramma della morte, c’è l’Eucaristia. Essa è il cuore della nostra vita. È quanto di più grande ci sia stato donato (Patriarca Marco).

Il Salmo 115 è ritenuto la continuazione del Salmo 114 Amo il Signore perché ascolta il grido della mia preghiera, di cui è utile ricordare qualche altra espressione: (v. 3) Mi stringevano funi di morte, ero preso nei lacci degli inferi. Mi opprimevano tristezza e angoscia (v. 4) e ho invocato il nome del Signore: “Ti prego, Signore, salvami” (v. 8) Egli mi ha sottratto dalla morte, ha liberato i miei occhi dalle lacrime, ha preservato i miei piedi dalla caduta.
Si presenta come un libero fluire di preghiera intensa e appassionata e le immagini si accavallano: il salmista effonde il suo cuore davanti al Signore, senza preoccuparsi della concatenazione logica.

  • Il motivo della “supplica”, che diventa “lode”, è dato dall’esperienza di morte (cfr i termini: tristezza, angoscia, catene, inganno…), da cui Dio salva. Lui solo può salvare.
    Perciò il salmo è percorso da un grido (cfr 114,1.2.4; 115,13.17), che qualcuno (Ravasi) definisce la “giaculatoria del disperato”: “Ti imploro, Signore, liberami!
    Tutta la vita è connotata dalla minaccia della morte, nelle sue diverse manifestazioni. Il povero grida il suo bisogno quotidiano di Dio, che ascolta la preghiera, lo salva e gli spalanca la vita sui suoi sconfinati orizzonti.

 

  • Il ringraziamento si innalza perché Dio salva dall’angoscia della morte, in totale gratuità.
    Ma più precisamente al v. 10 il salmista ringrazia stupito “perché – dice – ho creduto anche quando dicevo «Ogni uomo è inganno»”. La fede è il dono più grande: non viene da noi poter continuare a credere in un contesto di eccessivo dolore o di menzogna. Qui emerge la qualità della fede di cui parla il salmista, che non è solo intellettuale consapevolezza dell’esistenza di Dio, ma possibilità, nel buio totale, di consegnarsi a un Dio affidabile, lento all’ira, grande nell’amore… (Possiamo cominciare a intravedere la profezia della Pasqua di Gesù: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”). Non è ovvio “credere”, c’è continuamente bisogno di purificare la fede, perché la tentazione sempre presente è quella di sminuire Dio.

V. 12: Come ricambiare? Nel culto, nel canto di lode e nell’ulteriore invocazione di salvezza si esprime il ringraziamento che è consegna della propria vita: Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore (v. 13). Solo una risposta d’amore è in qualche modo “adeguata” e… salva chi la offre!

V. 15: Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli. “Preziosa” significa anche “cosa dura”, “grave”, “costosa”, “di gran valore”. Dio non può accettare la “morte” dei suoi fedeli. (In oriente è diffusa l’immagine di Dio che piange, cercando e chiamando Adamo, dopo il peccato. Il salmista non poteva immaginare che è tanto preziosa agli occhi di Dio la morte dei suoi, che, per non perderli, dona il sangue prezioso del Figlio, vero e definitivo “Calice di salvezza”).

V. 16: Io sono tuo servo, figlio della tua ancella. Non schiavo, ma onorato di far parte dei famigliari di Dio. Il “Servo del Signore” è espressione pregnante nelle Scritture. Tra l’altro è colui che dice: “Ecco, io vengo, Signore, per fare la tua volontà”. Questo è ciò che posso rendere al Signore per quanto mi ha dato. Anche in questa espressione intravediamo la prefigurazione di Gesù che è venuto non ad essere servito, ma a servire e a compiere – da Figlio – tutta la volontà del Padre.

La vita di Gesù conosce la nostra stessa debolezza, precarietà, esprime il radicale bisogno del Padre, sa l’inaffidabilità dell’uomo: “Mi lascerete solo… ma non sono solo perché il Padre è sempre con me”. Conosce la desolazione della morte. E la potenza della risposta del Padre nella risurrezione. Il Crocifisso risorto diventa il primo di una moltitudine di fratelli. E il dono che egli fa di sé, “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo”, rende noi, precari e per natura inaffidabili, partecipi fin d’ora della sua vita immortale e capaci di portarci gli uni gli altri.
Dall’invocazione alla testimonianza (vv. 18-19).