Marco Cè – Il centro della domenica

In questa ultima meditazione vorrei riflettere sulla domenica. Ogni otto giorni, viviamo questo giorno, fatto dal Signore, non dagli uomini. L’Eucarestia è il cuore della domenica: da qui essa trae tutta la sua forza e la sua grazia vitale.

Leggiamo alcuni passi del Vangelo di Giovanni.

Il capitolo sesto inizia con la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Gesù è circondato da molta folla, povera gente che accorreva per ascoltare la sua parola, nella speranza anche di essere guariti dalle debolezze, dalle infermità. E Gesù predicava, consolava e guariva. A un certo punto, Gesù in qualche modo provoca i suoi apostoli dicendo a Filippo:

 «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.

Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo (Gv 6,1-15)

 Gesù, sentendo che volevano farlo re, quasi si spaventa e fugge via, sul monte a pregare da solo. Si sottrae alla folla, che dava del “messia” un’interpretazione mondana, politica. Il progetto del Padre, invece, è che Gesù operi la salvezza attraverso l’amore debole, il puro amore, disarmato.

Venuta la sera gli apostoli, saliti in barca, si dirigono verso Cafarnao. Il mare è agitato e soffia un forte vento; a un certo punto vedono Gesù che cammina sulle acque e si spaventano. Ma Gesù dice loro:“Sono io, non temete”. Allora lo prendono sulla barca e subito raggiungono il luogo dove sono diretti. La presenza di Gesù li fa arrivare rapidamente a destinazione.

Il giorno dopo la gente che aveva mangiato il pane, cerca Gesù e lo trova a Cafarnao. E qui comincia il grande discorso il cui nocciolo è questo: -Voi mi cercate perché avete mangiato il pane, ma non avete capito il senso del mio gesto e avete ancora fame; non avete capito la profezia eucaristica contenuta in quel gesto di spezzare il pane e di darlo a tante persone. Cercate il vero pane che non è quello che avete mangiato e neanche quello che Mosè ha dato agli ebrei nel deserto: sono tutti pani che periscono. Cercate il pane che non perisce, il pane che dona la vita. Il pane che dona la vita è che voi crediate in colui che il Padre ha mandato dal cielo. Il pane che dona la vita è la fede in me.- E qui svolge un lungo discorso sulla fede che, a un certo punto, al v.51, fa un balzo vertiginoso, incomprensibile.

Leggiamo nel vangelo di Giovanni al capitolo 6, dal versetto 48:

48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Io sono in ebraico corrisponde al nome di Jahvè, è il nome di Dio: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo” è quindi una chiara affermazione della persona di Gesù come Figlio di Dio.

Vivrà in eterno. Il termine ‘in eterno’ in Giovanni non connota il tempo ma piuttosto una qualità di vita. Significa: vivrà la stessa vita di Dio.

Ed ecco il salto vertiginoso che lascia tutti sgomenti e sconcertati:

E il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo. Il termine ebraico usato da Gesù indica proprio la carne di cui è fatto il nostro corpo; nel suo discorso suona come parola aspra che scandalizza. Ma è una carne per la vita del mondo, destinata ad essere donata.

Questa frase, all’interno di un discorso sulla fede, è un’assoluta novità, un picco vertiginoso.

I Giudei reagiscono discutendo aspramente tra loro. E Gesù non spiega, ma ribadisce: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo resusciterò nell’ultimo giorno.”

Neanche i discepoli capiscono: Questa parola è dura; chi può ascoltarlo? (v.60) e da quel momento molti di loro tornano indietro e non lo seguono più (cf 69).

Gesù si rivolge ai Dodici: Volete andarvene anche voi ? Gli risponde Simon Pietro: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio.

Di fatto, nemmeno Pietro ha compreso la profezia di Gesù, ma ha capito che egli è il Signore, l’inviato di Dio e che quindi non può mentire. Infatti non dice ‘abbiamo capito’, bensì abbiamo creduto, ti abbiamo fatto credito, ci fidiamo di te e quindi continuiamo a seguirti.

Questa è la promessa, l’annuncio dell’Eucarestia che Gesù fa forse poco tempo prima della passione.

Quanto raccontato in questo brano: il raccogliersi della folla, Gesù che spezza il pane e lo distribuisce, annunciando il dono della sua carne e del suo sangue, in fondo si verifica ogni domenica.

Ogni domenica Gesù ci convoca in assemblea eucaristica, ci parla attraverso le letture e l’omelia del sacerdote e si dona a noi mediante l’Eucarestia.

Che cosa vuol dire ‘domenica’ ? Viene da ‘dies dominica’, cioè giorno del Signore.

La domenica è un giorno fatto dal Signore, segnato per sempre dall’evento che ha cambiato la storia: la resurrezione del Signore Gesù.

Se c’è qualcosa che caratterizza e domina tutta la storia, tutti gli uomini, è la morte, come dramma, come termine oscuro della vita.

Gesù, risorgendo, sconfigge la morte.

Ora il cristiano sa che la morte non è la fine: come è stato per Gesù, è il passaggio da questo mondo al Padre. È il ritrovare la famiglia dei figli di Dio, la propria famiglia.

Se la morte mantiene sempre la sua drammaticità, perché porta il segno del peccato, il cristiano sa, nella fede, che Cristo ha vinto il peccato e la morte ed egli è indirizzato alla pienezza della vita. Tanti cristiani, uomini e donne di fede, muoiono nella sofferenza, ma in fondo sereni, quasi riconciliati con la loro morte, perché intuiscono che al di là del passaggio il Padre li aspetta con le braccia allargate.

Con la sua risurrezione, Gesù libera la storia dal dominio della morte senza speranza, che è il marchio del peccato. Così ci apre la casa della famiglia dei figli di Dio, ridonandoci la veste battesimale, la grazia, la fede.

Ecco, la domenica è il giorno segnato per sempre da questo evento, assolutamente unico e definitivo, come se nel tempo avesse fatto irruzione l’eternità. La domenica è uno scampolo di paradiso che scende sulla terra. Potrebbe sembrare un’immagine sentimentale, ma è così perché nel cuore della domenica c’è l’Eucarestia.

Cos’è l’Eucarestia?

l’Eucarestia è il dono più grande che Dio potesse farci, perché ci dona il Figlio: il Padre non ha nulla di più grande.

L’Eucarestia è il punto d’arrivo di tutta l’opera di Gesù: tutto, anche la sua passione e morte, è per poterci dare l’Eucarestia.

L’Eucarestia è una follia di Dio: è incomprensibile, è inimmaginabile che Dio possa farci questo dono, darci il Figlio, nel momento supremo della sua vita, del suo amore.

Dopo aver ascoltato la promessa dell’Eucarestia nel brano della moltiplicazione dei pani, narrata da Giovanni, leggiamo come Gesù la compie nell’ultima Cena, dal vangelo di Luca.

Siamo nel giorno in cui gli ebrei mangiavano la Pasqua. La cena pasquale ebraica ha lo scopo di ricordare i grandi fatti dell’esodo: la liberazione degli israeliti dall’Egitto e la pattuizione dell’Alleanza. Mosè ha ritualizzato nella Cena la memoria di questi due eventi.

Ma c’è anche una proiezione verso il futuro: quello che è avvenuto in Egitto dovrà compiersi in maniera più grande e più piena mediante il Messia.

La cena pasquale ebraica è ricordo degli eventi salvifici narrati dall’esodo e profezia, annuncio, speranza di una pasqua piena, di una liberazione totale dell’uomo dal male, dalla sofferenza, dalla morte, che avverrà attraverso il Messia. Anche ora, quando celebrano la cena pasquale, gli ebrei aspettano il Messia che venga a compiere l’opera iniziata nei giorni dell’Esodo.

Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E, ricevuto un calice, (nella Cena vi erano diversi calici, ciascuno con significati simbolici diversi; questo non è ancora quello dell’Eucarestia) rese grazie e disse: «Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio». Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi» (Lc 22,14-20).

Cosa vuol dire ‘nuova alleanza’?

La prima Alleanza è quella pattuita ai piedi del Sinai, quando Mosè legge al popolo le parole che aveva ascoltato da Dio sul monte e che il popolo si impegna ad osservare. È un patto di amicizia tra Dio e il popolo, sancito nel sangue, secondo l’uso semitico. Ma a questa prima alleanza il popolo non era stato fedele: aveva ripetutamente smentito l’amicizia con Dio.

Gesù, istituendo l’Eucarestia, annuncia “la nuova alleanza” nel suo sangue – non più in quello dei vitelli o dei capri. Gesù si dona ai suoi in un convito ed essi mangiano il pane che è il suo corpo e bevono il vino che è il suo sangue.

Questa è l’istituzione dell’Eucarestia: “Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue: fate questo in memoria di me” e la Chiesa, in obbedienza a queste parole, celebra ogni domenica, ogni giorno, l’Eucarestia.

Che cos’è l’Eucaristia? E’ la presenza reale – ce lo ha detto lui, non è una nostra immaginazione -, vera di Gesù nel suo corpo, nella sua anima, nella sua divinità. Questa è la prima verità, non dico da capire, ma a cui aprire il cuore: l’Eucarestia è presenza reale del Signore e quando la celebriamo sappiamo che il Risorto, portando i segni delle piaghe nelle mani, nei piedi, nel costato, è presente in mezzo a noi come Salvatore. Non è una commemorazione.

Possiamo chiederci perché il Signore abbia scelto di essere presente proprio nei segni così umili del pane e del vino.

Non è una domanda banale: la risposta è da capogiro. Pane e vino si mangiano e si bevono: Gesù vuole che noi mangiamo il suo corpo e beviamo il suo sangue! Ma, mentre il cibo che io mangio si trasforma in me, nel mio corpo, nell’Eucarestia avviene il contrario, io sono trasformato in Cristo. Gesù mi si dona nel pane e nel vino per realizzare tra lui e me, tra lui e noi, un’unità così profonda al punto che Paolo, nella lettera ai Galati (2,20), può dire: Io vivo; ma “non vivo più io: Cristo vive in me”.

Questo è il punto d’arrivo della redenzione: renderci pienamente figli di Dio, facendo di noi una cosa sola con lui.

Io di più non so dire; ma lo ha detto Gesù: una comunione profonda tra lui e me, perché lui abita in me. Tutto quello che è suo diventa mio, tutto quello che faccio io lo fa anche lui con me. L’Eucarestia non è un concetto astratto, puramente “spirituale”. È una realtà concreta che entra nella mia corporeità e la trasfigura. Non coinvolge solo la mia anima, ma anche il mio corpo è trasformato in Cristo, che vive in me. L’amore che vivete è vostro, ma non soltanto vostro. È anche di Cristo in voi. In questa verità profonda, per cui voi e Cristo formate una cosa sola, si radica la castità, che quindi non è un moralismo.

Paolo, rivolgendosi ai battezzati, li chiamava ‘santi’, in quanto santificati dalla presenza di Cristo. Dal battesimo, che ci ha innestati in Cristo e dall’Eucarestia che ci nutre di lui, viene tutta la morale cristiana e la forza per viverla.

Potrei sembrarvi pazzo se non ripetessi le parole del vangelo; faccio fatica anch’io a credere a tutto questo, però è la parola di Gesù.

Il vangelo di Giovanni ci narra l’episodio di Tommaso che non crede agli apostoli che hanno visto il Risorto: per credere egli vuole vedere e toccare le ferite del costato, le piaghe delle mani e dei piedi. Otto giorni dopo, Gesù appare di nuovo in mezzo agli apostoli e invita Tommaso a metter il dito sulle sue piaghe. Tommaso capisce ed esclama: “Mio Signore e mio Dio!. Gesù gli disse: – Tu hai creduto perché hai veduto; beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno” (Gv 20,24).

Noi apparteniamo a questa categoria, rientriamo nella beatitudine di coloro che credono senza vedere, di coloro che possono dire: -Signore, senza vederti ti ho amato, senza vederti credo in te.

Amici miei, aprite il cuore a questa verità, pensateci su, non lasciatela cadere!

Voi vi volete bene: ed è molto bello. Ma sappiate che la radice del vostro amore è Dio. Voi vi amate con l’amore di Dio, alimentato dall’Eucarestia. Quando la domenica vi accostate all’Eucarestia, non fate soltanto un atto d’amore al Signore: voi crescete nell’amore reciproco, perché il vostro cuore viene purificato, guarito, confortato, arricchito dall’Eucarestia.

(M. Cè, dalla predicazione degli esercizi spirituali ai fidanzati, Cavallino 1 marzo 2009)