Saluto del Patriarca all'Assemblea dei familiari delle vittime innocenti delle mafie della rete di Libera (Auditorium Venezia Terminal Passeggeri, 8 marzo 2019)
08-03-2019

Assemblea dei familiari delle vittime innocenti delle mafie della rete di Libera

(Auditorium Venezia Terminal Passeggeri, 8 marzo 2019)

Saluto del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

Cari amici, benvenuti a Venezia!

Saluto tutti e, in particolare, il carissimo e infaticabile don Luigi. La Chiesa che è in Venezia vi guarda con rispetto e stima perché, in società inclini a dimenticare, voi siete la memoria viva di chi ha combattuto – anche per altri – una battaglia di civiltà, quella del rispetto delle regole e per la giustizia sostanziale.

Ricordare persone, uomini e donne, che hanno combattuto battaglie sacrificando la vita vuol dire tener desta la memoria di fatti che hanno segnato drammaticamente la nostra Italia, le nostre stesse vite, anche se non ne abbiamo avuto percezione. Ora, affinché un sacrificio non sia vano e continui a plasmare il presente e il futuro di un popolo, si deve tenerne viva la memoria. Grazie perché voi lo fate.

La chiara consapevolezza è che le mafie, oggi, non sono più circoscritte ad un territorio ma sono presenze radicate anche in mezzo a noi.

La memoria, quindi, è essenziale se vogliamo aprire nuove strade – ovvero cammini inesplorati – così da poter abitare i contesti sociali in cui, oggi, purtroppo vige la legge del più forte e non la forza della legge. La giustizia, poi, non si può limitare a riconoscere i diritti di chi già li possiede ma deve battersi affinché tutti abbiano una possibilità di vita, una vera chance.

Voi siete portatori sani di speranza. Essere portatori sani di speranza significa non dire parole vuote o ripeterle all’infinito, mentendo così a chi vi ascolta.

Il linguaggio – in una persona e in una comunità – è importantissimo perché genera cultura. Anzi, è la forma più personale di cultura. E lo lascia intendere la stessa sentenza con cui la Corte d’Assise di Palermo ha condannato gli assassini di don Pino Puglisi.

In essa si evidenzia bene il linguaggio usato dai mafiosi. Ecco cosa vi leggiamo: “…a Brancaccio il boss in carica era nominato «Madre Natura» («Madre Natura ha mandato a dire di fare questo omicidio»), e il responsabile del «gruppo di fuoco» era noto come «u Signuri» («il Signore», cioè Dio) perché – dicevano i mafiosi nel loro incerto italiano – «aveva il potere di salvare le persone e di poterle ammazzare. Bastava una sua parola per morire o per campare una persona». Ed era anche universalmente noto che il vecchio boss della zona (in carcere da tempo) era soprannominato «il Papa»” (A Sicari, L’Ottavo libro dei Ritratti di Santi, Jaca Book, 2012, 156).

Nella lotta alle mafie nulla va sottovalutato, men che meno il linguaggio. Nella lotta alle mafie, poi, non si devono dare deleghe perché le mafie, di ogni tipo, è proprio questo che vogliono: il non coinvolgimento, il disimpegno della società civile e, soprattutto, l’indifferenza dei giovani, perché sono i giovani quelli che possono togliere il futuro alla mafia e alla camorra. E, allora, le mafie si contrastano educando le nuove generazioni e tenendo viva – come voi fate – la memoria.

Non vedere, non sentire, non parlare significa lasciarsi rubare la propria umanità, stracciare la propria carta d’identità, tradire il proprio battesimo. Il cristiano è chiamato, anche qui, a dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare (cfr. Mt 22,21).

“Dove c’è mancanza di regole, di diritto – scriveva don Peppino Diana parlando della sua Casal di Principe, Diocesi di Aversa – si affermano il non diritto e la sopraffazione. Bisogna risalire alle cause della camorra per sanarne la radice che è marcia… dove regnano povertà, emarginazione, disoccupazione e disagio è facile che la mala pianta della camorra nasca e si sviluppi”.

Ho voluto citare proprio don Peppino Diana perché il prossimo 19 marzo saranno 25 anni dalla sua esecuzione, avvenuta nel 1994 in sacrestia mentre si preparava a celebrare la Santa Messa, alle sette del mattino. Ucciso dalla camorra il giorno del suo onomastico, mentre a don Pino Puglisi, a sua volta ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, capitò nel giorno del suo compleanno.

Queste date probabilmente sono solo coincidenze, ma sembrano delineare anche uno dei molti volti della piovra: l’arroganza, ossia l’ostentare in modo plateale la legge del più forte e di chi impone il proprio dominio (pensiamo, nelle processioni, all’inchino dinanzi all’abitazione del boss…).

Cari amici, oggi voi testimoniate che una società libera da mafie – una società legale e giusta – non è pura utopia ma neanche qualcosa che ci viene regalato; è, piuttosto, l’esito dell’impegno quotidiano di cittadini e cristiani per bene.