Omelia del Patriarca nella Solennità del Corpus Domini (Venezia / Basilica Cattedrale di San Marco, 14 giugno 2020)
14-06-2020

Solennità del Corpus Domini

(Venezia / Basilica Cattedrale di San Marco, 14 giugno 2020)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

la solennità del Corpo e Sangue del Signore rimarca come Gesù, unico Salvatore del mondo, abbia voluto rimanere per sempre con i suoi discepoli.

Tale presenza va riscoperta proprio quando la vita dei discepoli e della Chiesa si fa più faticosa e richiede lungimiranza, generosità e dono di sé, così come succede in questo tempo di pandemia. Sì, dall’Eucaristia nasce una nuova comunità ecclesiale e sociale.

Abbiamo appena ascoltato, nel Vangelo di Giovanni, come Gesù, assicuri i suoi discepoli che sarà per loro cibo di vita eterna (Gv 6,51-58) e ancora Giovanni, nella sua prima lettera, afferma che la vita eterna è già iniziata e cresce verso la sua pienezza (cfr. 1Gv 3,2-3).

L’Eucaristia è un nuovo progetto d’uomo, di comunità, di vita che nasce dalla morte/risurrezione di Gesù e che i discepoli sono chiamati a far proprio. Tale rinnovamento non è esito dell’agire dell’uomo ma è, per eccellenza, azione di Cristo.

Tutto si compie all’altare, dove, si “rinnova” l’evento salvifico avvenuto, una volta per sempre, al Calvario come bene sottolinea la lettera agli Ebrei (cfr. Eb 9,11-12; 26-28; 10,11-12).

L’Eucaristia è l’offerta che la Chiesa fa al Padre del Figlio, realmente presente col suo “corpo” e il suo “sangue”, attraverso i segni sacramentali del “pane” e del “vino”, frutto della terra e del lavoro dell’uomo.

L’Eucaristia, così, sta al centro della vita della Chiesa; è l’inizio di ogni azione ecclesiale, è la sorgente di ogni vita buona ma, prima di tutto, “edifica” la Chiesa perché è sempre Cristo che fa la Chiesa. La Chiesa, infatti, non la costruiamo noi uomini secondo le nostre idee o ideologie e mode effimere. La Chiesa è del Signore; è il suo prolungamento nel tempo.

Il Signore Gesù è misteriosamente presente nella nostra storia, nelle nostre vite e nelle comunità, chiamate ad essere tali sia nell’assemblea liturgica sia nella polis.

La prima lettura – tratta dal libro del Deuteronomio – parla di un “nutrimento” misterioso che Israele non conosceva. Deuteronomio significa “seconda legge”, non nel senso di una legge ricevuta dopo quella del Sinai. No, questo libro è una rivisitazione sapienziale della legge data da Dio al popolo sul monte dell’Alleanza.

Una legge che diventa “sapienza” di Israele, vera luce sul cammino del popolo. Un cammino non facile, che si protrarrà per 40 anni, fra pericoli e tentazioni di ogni tipo, <<condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua…>> (Dt 8,15). Il Deuteronomio è la risposta d’Israele all’Alleanza e nasce dalla purificazione della fede, grazie ai profeti e ai re.

Lungo il cammino in cui Dio guida il popolo nel deserto, Israele vivrà momenti di crisi e sarà sedotto dalla potenza dei popoli vicini e dai culti pagani, ma mai sarà abbandonato da Dio, denominato il Fedele (cfr. 1 Cor 1,8-9).

Dio mai farà mancare il nutrimento e il popolo sarà “guidato” per un cammino impervio e sconosciuto. Israele sarà provato ma Dio rimarrà sempre al suo fianco e lo aiuterà in ogni frangente, mai cesserà d’elargire i suoi doni.

Viene spontaneo, oggi, rileggere questa pagina del Deuteronomio alla luce degli avvenimenti della pandemia che abbiamo vissuto e vivremo. Anche noi, abbiamo vissuto situazioni difficili di sofferenza e di morte.

L’uomo, per vivere, ha bisogno del pane “quotidiano” eppure, come afferma la prima lettura di oggi e come dirà Gesù al momento delle tentazioni (cfr. Mt 4,4), <<l’uomo non vive soltanto di pane, ma (…) di quanto esce dalla bocca del Signore>> (Dt 8,3).

C’è, quindi, un cibo materiale di cui non si può fare a meno; tale cibo, però, non basta. L’uomo necessita di qualcosa di più; ha bisogno di gustare il senso di Dio, di sé, degli altri e di quanto succede nella storia.

L’uomo ha bisogno di ritornare a Dio, di riscoprire una fede capace di leggere in profondità la vita, una speranza che sia fondata e sia affidabile e, infine, un amore autentico che riconduca tutto alla verità.

Sì, “abbiamo bisogno di questo Pane – diceva alcuni anni fa Benedetto XVI a Bari a conclusione del Congresso eucaristico nazionale – per affrontare le fatiche e le stanchezze del viaggio… Abbiamo bisogno di un Dio vicino, di un Dio che si dà nelle nostre mani e che ci ama. Nell’Eucaristia Cristo è realmente presente tra noi. La sua non è una presenza statica. È una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a sé. Cristo ci attira a sé, ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola con Lui. In questo modo Egli ci inserisce anche nella comunità dei fratelli e la comunione con il Signore è sempre anche comunione con le sorelle e con i fratelli. E vediamo la bellezza di questa comunione che la Santa Eucaristia ci dona” (Benedetto XVI, Omelia durante la Visita pastorale a Bari per la conclusione del XXIV Congresso eucaristico nazionale, 29 maggio 2005).

Ritorneremo su questo tema, l’Eucaristia come realtà che coinvolge l’uomo rendendolo partecipe della vita trinitaria, origine e compimento di ogni cosa. È importante rimarcare il “realismo eucaristico”; in Dio parola e segno s’intrecciano in modo efficace e compiuto. Parola e sacramento non sono alternativi; anzi, si richiamano a vicenda. Nel sacramento la Parola si realizza in modo pieno ed efficace.

“Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?” (1Cor 10,16); è ciò che san Paolo si chiede nella prima lettera ai Corinzi. Il “corpo” e il “sangue”, insieme, indicavano per l’ebreo l’uomo nella sua totalità: il sangue era il segno della vita ed anzi la stessa vita; il “corpo” indicava la persona evidenziandone la visibilità, la presenza, l’incontro.

Cristo, nell’Eucaristia, è presente come sangue effuso – nel segno del vino – e come corpo dato – nel segno del pane -. Gesù si fa presente in questi “segni” sacramentali; il sacramento, quindi, è la Parola che si realizza in modo efficace e certo attraverso un segno. E il segno unito alla Parola realizza, per volontà di Gesù, i sacramenti tra cui eminente, fra gli altri, è l’Eucaristia. La Parola di Dio e il sacramento sono realtà efficaci, a differenza delle tante (troppe) parole e dei tanti (troppi) gesti degli uomini.

La vita che Gesù dona è l’unica degna d’essere chiamata tale; Lui, infatti, è il solo ad aver sconfitto la morte. L’Eucaristia, quindi, per coloro che lasciano questa vita terrena è l’ultimo conforto ed ecco perché la Chiesa riserva, come ultimo gesto per i suoi figli che lasciano questa vita terrena, l’Eucaristia come viatico.

La prima lettura e il Vangelo richiamano l’esperienza d’Israele nel deserto. Gesù dice: <<Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno>> (Gv 6,51.58).

L’Eucaristia è in grado di ricreare e rigenerare poiché rende presente l’evento salvifico – la croce – e così, in una splendida cattedrale o in una piccola chiesa fatta di fango e rami secchi, senza distinzione, si fa presente l’unico sacrificio pasquale di Cristo che sana da ogni male poiché vince il peccato e, poi, la morte, donando la vita. Ecco perché nei mesi scorsi le comunità ecclesiali non potevano non avvertire la mancanza dell’Eucaristia; dispiacerebbe davvero se taluni non l’avessero avvertita.

Per i discepoli, l’Eucaristia è l’inizio di ogni impegno e agire sociale; ad alcuni potrà risultare strano ma è così. Una vita riconciliata, ossia giusta e pacifica, chiede che ci sia all’origine un evento capace di compiere una tale riconciliazione e ciò può accadere solo in Gesù il risorto, vincitore del peccato, della morte e di ogni male.

Non bastano i progetti umani: solo Lui, Gesù, può fare ciò e l’Eucaristia è il Suo rendersi presente. Questa forza e novità si manifesta ovunque: in famiglia, dove si lavora, nei luoghi di aggregazione, nell’ambito economico, finanziario, nella cultura, nel tempo libero.

“La festa del Corpus Domini –dice Papa Francesco – è un mistero di attrazione a Cristo e di trasformazione in Lui. Ed è scuola di amore concreto, paziente e sacrificato, come Gesù sulla croce… La presenza di Gesù vivo nell’Eucaristia è come una porta, una porta aperta tra il tempio e la strada, tra la fede e la storia, tra la città di Dio e la città dell’uomo” (Papa Francesco, Angelus del 3 giugno 2018).

L’Eucaristia, insomma, ricrea il mondo; Gesù ne ha la forza e lo può fare, noi uomini no. Istituendo l’Eucaristia, però, Gesù ha detto ai discepoli: “…fate questo in memoria di me” (1Cor 11,25). E così ci ha indicato la strada.

In ogni celebrazione eucaristica il popolo di Dio, attraverso il ministero del vescovo e del presbitero, offre – nei segni del “pane spezzato” e del “vino effuso” – lo stesso Figlio di Dio al Padre che, ricevendo il Figlio, viene glorificato proprio in quanto Padre.

L’Eucaristia è, così, il sacramento trinitario per eccellenza, in cui la Chiesa riceve, nella fede, il Figlio e, nello Spirito, lo offre al Padre per la salvezza del mondo. La dossologia con cui si conclude la preghiera eucaristica – “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli” (Messale Romano) – dice esattamente tutto questo

Vi è poi un rapporto strettissimo tra Eucaristia e dottrina sociale della Chiesa che è l’annuncio di Cristo nelle realtà temporali. L’Eucaristia, infatti, fa in modo che tale annuncio trovi terreno fertile in cuori liberati dal peccato che possano prima accogliere e poi vivere quel progetto di uomo, di bene comune, di solidarietà e sussidiarietà mettendo al centro la persona che è soggetto di diritti e doveri, considerata sempre come fine e mai come mezzo o al servizio del profitto, dell’economia, della finanza.

L’Eucaristia è il “pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli” (cfr. Sequenza del Corpus Domini) che sostiene il cammino dei discepoli del Signore nel deserto faticoso e complesso della vita.

La solennità del Corpus Domini, in questo tempo di Covid-19, ci chiede di riscoprire l’Eucaristia celebrata e adorata; ampliamo i momenti della celebrazione e dell’adorazione. E qui desidero ringraziare le parrocchie che, in Diocesi, offrono spazi di adorazione protratta anche nelle 24 ore: a Venezia la comunità di San Silvestro, a Mestre quella di Santa Maria Goretti. Solo dall’Eucaristia nasce un mondo riconciliato e nuovo; solo l’Eucaristia dona la forza per quell’azione che va oltre il livello della pura socialità che esprime il pensiero unico dominante.

L’Eucaristia è il “pane vivo, che dà vita” (cfr. Sequenza del Corpus Domini) e, come abbiamo ascoltato, “se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51). È la presenza reale di Gesù, il Crocifisso Risorto, che è in mezzo a noi! Comunicandoci in grazia noi mangiamo la vita!

La Vergine Maria, donna eucaristica, che ha compiuto la prima processione del Corpus Domini andando a visitare la cugina Elisabetta e portando in grembo Gesù, ne faccia un seme di fraternità per tutti!