Omelia del Patriarca nella S. Messa solenne per la Festa della Madonna della Salute (Venezia, 21 novembre 2018)
21-11-2018

Festa della Madonna della Salute

(Venezia, 21 novembre 2018)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Cari confratelli nel sacerdozio, reverendo abate, diaconi, consacrati, fedeli laici, stimate autorità, la festa della Madonna della Salute è legata indissolubilmente alla città e alla gente di Venezia. Basta solo vedere l’afflusso che c’è in questo momento in basilica e che si protrarrà poi per tutto il giorno.

Il ricordo corre agli anni 1630/1631 quando il Doge e il Senato decisero di rivolgersi alla Madre del Redentore – al quale, in analoga circostanza, si erano rivolti cinquant’anni prima i loro predecessori – poiché, con i mezzi umani, non riuscivano a venir a capo del contagio che decimava la popolazione.

Così, toccata con mano la loro impotenza, si fece un solenne voto con cui ci si impegnava ad edificare un tempio in ricordo della salvezza ottenuta per intercessione della Madre del Signore e, ogni anno, si sarebbe venuti in pellegrinaggio per ringraziare.

Questa è l’origine della basilica che, per noi veneziani, è semplicemente “la Salute”. Non si tratta solo di un monumento insigne in una città dove i monumenti insigni abbondano; la Salute appartiene alla storia stessa della città e alla spiritualità dei veneziani.

Da quasi quattro secoli, infatti, dolori, gioie e grazie arrivano e passano per la Salute; qui molte persone e famiglie hanno ritrovato la pace pregando innanzi alla tenera effige della Madre.

Il volto dell’icona – guardiamolo! – ispira tenerezza: la Madre stringe fra le braccia il Figlio di Dio e lo mostra a noi che viviamo il non sempre facile pellegrinaggio terreno, fra gioie e dolori. Così la Madre dona il Figlio e il piccolo Gesù benedicente stringe nella sua piccola mano il rotolo della Rivelazione: Lui è il Verbo e da Lui proviene ogni benedizione e salvezza per quanti lo invocano e gridano a Lui. Ed oggi sono molti coloro che, non trovando risposte dagli uomini, guardano a Lui.

Per questo, il tradizionale pellegrinaggio dei giovani (che si è svolto nella serata di ieri) ha assunto quest’anno – in linea col recente Sinodo –, un significato tutto particolare: proporre ai nostri giovani un tema forte, ponendoli al centro facendoli confrontare con temi vitali per la Chiesa e il mondo; infatti, nella preghiera, abbiamo fatto memoria di quanti soffrono persecuzione e giungono a dare la vita per non rinnegare la loro fede in Gesù, colpevoli solo di credere in Gesù. E, oggi, sono più di duecento milioni i cristiani, in ogni parte del mondo, in stato di persecuzione.

Ieri, qui alla Salute, sono risuonate con forza queste voci grazie alla testimonianza di mons. Botros Fahim, vescovo copto-cattolico di Minya in Egitto, e poi attraverso il commovente canto mariano dei giovani della parrocchia copta-ortodossa di Venezia. Abbiamo vissuto un importante momento ecumenico, al di là degli appuntamenti istituzionali e così al di là delle differenze, abbiamo riscoperto – nella preghiera e nel canto – d’essere, nonostante le dolorose separazioni, uniti in Gesù Cristo, il Crocifisso Risorto.

Il senso dell’iniziativa proposta dai giovani, innanzitutto ai loro coetanei e poi all’intera città, è contribuire a squarciare il velo che il virus esiziale dell’indifferenza depone nelle nostre coscienze.

Siamo grati a Papa Francesco che ha voluto farsi presente con un affettuoso saluto a quanti hanno partecipato “al pellegrinaggio diocesano promosso dal Patriarcato e dalla Fondazione ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’ al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma di tanti cristiani perseguitati a motivo della loro fede”. Il Santo Padre – continua il messaggio – “auspica che la provvida iniziativa susciti una doverosa attenzione da parte di tutti al grave problema delle discriminazioni che i cristiani subiscono in tante parti del mondo”.

Sì, l’indifferenza è l’origine di tutto ed è il primo male verso le minoranze religiose. Un male che apre la strada all’intolleranza e, poi, produce la persecuzione. La mala pianta dell’indifferenza è, infatti, all’origine di tutto e dice il fallimento di una società, di un progetto educativo e – Dio non voglia – di un’intera generazione perché, in tal caso,  il danno che ne deriverebbe sarebbe strutturale. L’indifferenza genera ogni tipo di crimine, non facendo argine, non opponendo resistenza e lasciando soli i perseguitati.

Ma la presenza di tanti giovani e il loro modo di partecipare riempie di speranza nel futuro! Curiamo i nostri giovani, vogliamo loro bene, cominciando a responsabilizzarli in tutto!

L’indifferenza, alla fine, è soltanto una forma di vigliaccheria che fa male a chi è tale e, poi, alla società in cui si vive; l’indifferenza è sempre la via più comoda e mai può essere presentata come forma di neutralità, di non ingerenza, di equidistanza. Essa è e rimane vigliaccheria, ossia non schierarsi oppure schierarsi dalla parte del più forte contro il più debole, dalla parte dei persecutori contro i perseguitati, di quanti si rifiutano di tendere la mano a coloro che domandano aiuto e accoglienza.

Affidiamo, con fiducia, alla Madonna della Salute le minoranze perseguitate nel mondo, i cristiani e – in modo particolare – Asia Bibi e la sua famiglia.

Domandiamo, quindi, alla Madre del Signore che ci aiuti a riscoprire l’essenziale della vita, ossia l’importanza della relazione con Dio che è il Padre comune di tutti gli uomini.

La nostra società o non riesce (spero non voglia…) o fatica troppo a instaurare buone relazioni comunitarie e personali perché ha smarrito la relazione col Padre. Siamo orfani del Padre e non ci riconosciamo più fratelli! E la mancanza di fraternità dipende proprio dall’aver smarrito la relazione che sostiene tutte le altre, quella col Padre, la gioia d’essere figli.

Gli ideali nati dall’illuminismo – “libertà”, “uguaglianza” e “fraternità” – avrebbero dovuto rivoluzionare i rapporti fra uomini e popoli e far sorgere una nuova umanità ed invece, negli ultimi due secoli, non sono stati in grado di superare conflittualità e opporsi a ideologie nefaste (pensiamo al nazismo e al socialismo reale), ma anche di rispondere efficacemente a quanti pensano di esportare la democrazia (“libertà”, “fraternità” ed “uguaglianza”) con la guerra; si è così giunti ai due conflitti più sanguinosi della storia – prima e seconda guerra mondiale – senza contare le innumerevoli guerre che li hanno seguiti. E la situazione politica internazionale è figlia di certe carenze. Abbiamo tutte responsabilità storiche, l’Europa per prima.

La Sacra Scrittura presenta la persona umana come libera, responsabile e autonoma, per questo si distingue dagli altri e, nello stesso tempo, è fondata su una relazione previa che domanda d’esser riconosciuta.

Ogni persona – ossia, ciascuno di noi -, vive in relazione con le altre persone ed è, quindi, congiunto a relazioni che lo precedono e lo costituiscono nell’essere e nell’agire. Pensiamo alla relazione (incontro) dei nostri genitori: noi esistiamo grazie a quell’incontro e a quella relazione.

Ma se, procedendo a ritroso, troviamo innumerevoli relazioni che – pur essendo esteriori a noi – ci plasmano, sono la nostra storia e risalendo fino alla sorgente prima scopriamo la Relazione da cui tutto procede: Dio.

In tal modo vediamo come la domanda sull’uomo sia, in realtà, una domanda “teologica” e la domanda “chi sono io?” deve cedere il posto a quella su Dio. Sì, perché alla radice della domanda antropologica c’è quella teologica.

Quando l’uomo risponde in modo rigoroso alla domanda “chi sono io?”, allora deve chiedersi: qual è la mia origine? E ancora: chi sta all’inizio del mio esistere? La risposta non può che essere: da Colui che possiede l’essere in modo tale da poterlo anche donare. Si tratta di Colui che può darmi l’essere in forma personale perché è la “pienezza” della Persona (è la Persona) e quindi mi può comunicare il suo essere personale.

Tale relazione originaria, nella Rivelazione cristiana, prende la forma della paternità che plasma ogni altra relazione; qui la teologia orientale è più avanti della nostra teologia occidentale. Il Dio Trinità – il Dio che Gesù Cristo ci ha rivelato – ha origine nel Padre!

È proprio riscoprendo tale paternità comune che ci riconosciamo fratelli, a prescindere dalle diversità che, allora, diventano ricchezza; siamo tutti figli dell’unico Padre che è nel cielo, siamo tutti fratelli!

Aver smarrito il Padre è la grande carenza di tutte le società che hanno pensato di poter costruire tutto, anche l’uomo, a prescindere da Colui che ci rende tutti persone, al di là delle particolarità e delle differenze.

In forza di tale comune paternità siamo tutti fratelli – siamo semplicemente fratelli – ed è utopia pensare a una fraternità fatta di libertà e uguaglianza ma priva della paternità comune. L’assenza di tale paternità è il dramma dell’umanità di oggi.

La Rivelazione cristiana ci presenta Dio come eterna comunione fra tre Persone uguali e realmente distinte. L’uomo – maschio e femmina – è l’immagine di questa eterna relazione.

Così tutto è “personale”, ossia unico e irripetibile. La persona unisce – nella distinzione – Dio (Padre, Figlio, Spirito) e l’uomo. E, a sua volta, la creatura sta di fronte a Dio in modo libero e responsabile, ossia “personale”. Dio ci tratta da persone; siamo noi che non trattiamo gli altri da persone…

La storia è l’esito di tale dialogo personale fra Dio e gli uomini per cui bene e male sono il compiersi di tale incontro, in cui l’azione di Dio – che è sempre buona, vera e giusta – precede ma anche rispetta l’uomo che, di volta in volta, può dire il suo sì o il suo no.

Nel Vangelo dell’annunciazione, in cui si compie la pienezza dei tempi e che, dopo la creazione, costituisce la vera novità, s’instaura un dialogo personale fra Dio e la creatura, la creatura femminile in questo caso (Dio non ha bisogno di quote rosa!). Un dialogo che, inequivocabilmente, mostra come Dio rispetti sempre la libertà di chi ha scelto come interlocutore; la fanciulla di Nazareth è pienamente libera di rispondere alla proposta divina. Così, la persona assume consapevolmente le proprie responsabilità; non è esecutrice materiale ma è chiamata a dire sì o no a Dio in libertà e autonomia.

Il Vangelo dell’annunciazione evidenzia, così, come Dio riconosca in Maria la persona. L’angelo, infatti, si rivolge a lei e la saluta chiamandola per nome. Ella rimane turbata e s’interroga sul senso del saluto, chiede come si realizzerà la parola dell’angelo, si reca dalla cugina per constatare quanto Le è stato detto.

Tutto, nello stile di Dio, dice rispetto e attenzione nei confronti della creatura: Dio ci interpella e invita. Gesù farà lo stesso col giovane ricco: “Se vuoi…” (cfr. Mt 19,21).

Dio è Padre, non è un padrone; lo vediamo all’annunciazione di Maria. Tale paternità ci fa scoprire che siamo fratelli e ora si tratta di riconoscersi, realmente e quotidianamente, come persone chiamate ad un’alleanza che rispetti la fraternità e la divina paternità da cui proveniamo.

La cara Madonna della Salute ci aiuti ad essere comunità vere e giuste, in un tempo di forte conflittualità, individualismo e indifferenza, in cui lobby, nuovi movimenti e vecchi partiti sembrano andare per conto proprio.

La nostra città è, da sempre, invece luogo d’incontro fra uomini e culture, spazio fecondo di una convivenza che valorizza le giuste e legittime differenze nel rispetto dei diritti fondamentali della persona iniziando dal rispetto alla vita umana sempre – dal concepimento al suo spegnersi naturale – e, quindi, l’accoglienza di ogni uomo, qualunque esso sia.

La Madonna della Salute aiuti la città di Venezia affinché sia, oggi, nei suoi abitanti – in ciascuno di noi – testimonianza viva di convivenza, buona e saggia.

A tutti auguro una gioiosa e responsabile festa solenne della Madonna della Salute!