Omelia del Patriarca nella S. Messa per la solennità dell’Immacolata Concezione di Maria e il conferimento dei ministeri (Venezia - Basilica S. Marco, 8 dicembre 2016)
08-12-2016

S. Messa nella solennità dell’Immacolata Concezione di Maria

(Venezia – Basilica S. Marco, 8 dicembre 2016)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

Cari confratelli nel sacerdozio, diaconi, fedeli, carissimi seminaristi,

la nostra Chiesa oggi celebra la solennità dell’Immacolata e gioisce perché alcuni nostri seminaristi sono costituiti nel ministero del lettorato e dell’accolitato; si tratta di tappe significative nel cammino verso l’ordinazione sacerdotale.

Il testo mariano, tratto dal Vangelo di Luca, richiama i due eventi.

Da una parte, infatti, Maria è chiamata piena di grazia; dall’altra, il sì di Maria – la prima discepola – precede il sì di ogni discepolo che, dopo Maria e con Maria, dà il suo assenso a Dio. È quindi nel sì di Maria che, in un certo senso, è contenuto anche quello dei nostri seminaristi e, se Dio vorrà, nostri futuri presbiteri.

“…Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» “ (Lc 1,38).

I seminaristi devono essere considerati dalla comunità diocesana come una benedizione. Sì, sono vera benedizione per la nostra Chiesa perché  la loro presenza dice ricchezza spirituale,  la loro assenza povertà.

I seminaristi sono oggetto di una particolare cura del vescovo, del rettore, del padre spirituale e dell’intera équipe educativa del Seminario, ma sarebbe insensibilità o addirittura irresponsabilità ecclesiale se i fedeli non percepissero i seminaristi e, più in generale, il tema delle vocazioni al sacerdozio come questione fondamentale per la Chiesa. Tutto questo deve interpellare le comunità parrocchiali, le collaborazioni pastorali, le associazioni, i movimenti.

La fede che segna l’inizio della nostra relazione personale con Dio si caratterizza per una forte valenza ecclesiale; in proposito, è utile ricordare quanto l’apostolo Paolo scrive ai cristiani di Roma circa la giustificazione e la salvezza.

Paolo afferma che giustificazione e salvezza si manifestano confessando con la bocca quanto si crede nell’intimo del cuore; l’espressione: “con la bocca si fa la professione di fede” (Rm 10,10) la usa lo stesso Apostolo; e ciò che noi professiamo con la parola e crediamo col cuore è la risurrezione di Gesù.

Chiediamoci, allora: come si giunge a confessare con la bocca e a credere col cuore che Dio ha risuscitato Gesù? In altri termini, come si giunge a professare la fede? Attraverso quale strada?

Diversi sono i momenti che, uno dopo l’altro, permettono di confessare la fede e riconoscere che Gesù è il Signore. Paolo scrive: ”…come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati?“ (Rm 10, 14-15).

Perché il cristiano confessi la sua fede è, quindi, necessario che prima possa ascoltare l’annuncio di Gesù risorto, ma perché risuoni tale annuncio è richiesto che ci sia l’inviato e, perché ci sia l’inviato, ci vuole colui che  lo manda.

L’Apostolo, attraverso l’annuncio della fede, ha  delineato la realtà della Chiesa. E qui ritorna quanto detto: le vocazioni non possono essere cura solo del vescovo e del rettore del Seminario, ma di tutta la Chiesa.

D’altra parte, i preti che abbiamo incontrato e ci hanno accompagnati nei momenti più importanti della nostra vita personale e familiare, non ci venivano incontro a titolo personale ma erano mandati dalla Chiesa; il prete è costituito tale dalla  Chiesa e per la Chiesa.

In tal senso assume particolare significato ecclesiale che i ministeri oggi si conferiscano nella chiesa cattedrale dove è la cattedra del vescovo, la chiesa madre della Diocesi.

Il sacerdote è a servizio della Chiesa, è per la Chiesa; il suo ministero si compie nella concreta e quotidiana comunione ecclesiale.

Un prete è chiamato a vivere una reale (non teorica) comunione nel presbiterio; comunione fatta d’incontri, di momenti di dialogo, di preghiera, di fraternità, di condivisione pastorale; se no, è oggettivamente in contraddizione con la sua stessa identità di prete; il prete, infatti, è sempre prete con i confratelli e col vescovo; non è un battitore libero che si muove in splendida solitudine; risulterebbe una figura caricaturale di prete.

Cari seminaristi, il prete che vi preparate a essere e che, con la grazia di Dio, domani sarete è segno di una presenza particolarissima di Gesù che si attua attraverso di voi (la vostra persona) nella Chiesa e mai a prescindere dalla Chiesa o contro di essa ma, piuttosto, sempre nella Chiesa e per la Chiesa; capite l’importanza del prete nel bene o nel male che può fare.

E’ bene riflettere, non in modo affrettato, su questo punto: si è preti grazie alla Chiesa, si è preti nella Chiesa, si è preti per la Chiesa.

Voi seminaristi, che oggi fate un passo importante verso il sacerdozio, guardate alla Vergine Immacolata. Ella vi rivela il segreto della vita del presbitero: il dono totale di sé a Dio. Solo Lei, infatti, in quanto Immacolata – senza peccato, libera da ogni egoismo -, ha potuto vivere in pienezza tale grazia: appartenere a Lui e solo a Lui. Da qui, la vostra gioia, la vostra fedeltà, la vostra fecondità e la vostra “efficacia” di preti.

La Vergine Immacolata ci ricorda ancora come le promesse sacerdotali, quando sono vissute, plasmano il prete giorno dopo giorno e, innanzitutto, non sono delle privazioni (dei “no”) ma piuttosto aperture ad una missione più grande di noi.

Il prete, come la Vergine Immacolata, non può iscrivere Gesù nel suo piccolo io, adattandolo a sé, ma chiede d’inscrivere il suo io nell’Io di Gesù e, quindi, di consegnarsi (convertirsi) a Lui.

La Vergine Immacolata non ha preteso d’inscrivere Dio nella sua vita, nei suoi desideri e progetti, ma accogliendo l’invito dell’angelo ha inserito  nella fede – è beata perché ha creduto (cfr. Lc 1,45) – tutta la sua persona in Dio.

L’evangelo di Luca dice proprio questo: ”Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei” (Lc 1, 34-38).

«Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Tale domanda,  essendo Maria già promessa sposa a Giuseppe, ci fa intendere il progetto verginale di Maria; infatti, se così non fosse, la richiesta risulterebbe tanto ingenua da far dubitare della maturità e della consapevolezza di Maria.

La risposta dell’angelo – «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra… nulla è impossibile a Dio» – dice che non sarà Dio a inscrivere il suo progetto di vita in Maria adattandosi a Lei ma, piuttosto, sarà la Vergine ad entrare nel progetto di Dio scoprendo, in tal modo, come Ella ne facesse parte in maniera infinitamente più grande di quanto Ella stessa pensasse.

Carissimi seminaristi, apritevi al progetto di Dio! Se fino ad ora vi siete limitati a seguire il Signore ma solo fino a un certo punto, con tanti se e ma, ora è venuto il momento di trasformare i vostri sì, anche generosi ma ancora troppo umani, nel fiat di Maria.

Il consenso di Maria la fa partecipare in modo unico, indiviso e totale, al progetto di Dio che va sempre oltre i progetti umani, i nostri piccoli “progettini” umani. Il fiat di Maria non è solo obbedire ma consegnarsi al Signore attraverso la fede, ossia le virtù teologali. Nel sì di Maria si esprime la pienezza delle virtù teologali: il sì della fede, della speranza, della carità.

L’Immacolata non è solo assenza di peccato, di male, di squilibri; è pienezza di grazia, ossia, di vita divina che, nella creatura, si esprime appunto con la pienezza delle virtù che nascono in Dio, che provengono da Dio, che plasmano Dio in noi e ci conducono a Dio.

L’Immacolata è quel frammento della creazione che, da sempre, è solo appartenuto a Dio. Il Padre ha voluto che, dopo Gesù – Suo Figlio -, l’Immacolata – unica tra le creature – rimanesse fedele al progetto di Dio; dopo l’umanità del Verbo, c’è Lei, la madre, alle cui mani il Figlio vuole consegnare tutto. Così è a Cana dove la Madre suscita l’ora di Gesù e al Calvario dove Gesù le affida l’apostolo Giovanni e in lui ogni discepolo di cui Ella sarà madre.

Il Concilio Vaticano II delinea in modo sicuro, nel solco della più antica tradizione, il volto materno di Maria, madre della misericordia e  mediatrice universale di tutte le grazie: “La beata Vergine, predestinata fino dall’eternità, all’interno del disegno d’incarnazione del Verbo, per essere la madre di Dio… fu su questa terra l’alma madre del divino Redentore… cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, coll’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell’ordine della grazia” (Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, n.61).

Predestinata dunque dall’eternità per essere la Madre del Redentore, coopera nella fede, nella speranza e nella carità in modo unico alla vita delle anime come la Madre.

Guardare a Maria – secondo le disposizioni della Divina Provvidenza – vuol dire andare, nel modo più spedito, a quel centro che Paolo – sul piano dei secoli e dei millenni – identifica nella pienezza dei tempi dove troviamo l’Unigenito Figlio di Dio, nato da donna (cfr. Gal 4,4).

Carissimi seminaristi, assumete il principio mariano a guida della vostra vita di futuri ministri ordinati perché ogni vostro sì diventi un reale fiat.

L’Immacolata benedica e plasmi col suo spirito il nostro presbiterio e il nostro Seminario.