Omelia del Patriarca nella S. Messa per i funerali di don Nini Barbato (Mestre / Duomo di S. Lorenzo, 10 novembre 2020)
10-11-2020

S. Messa per i funerali di don Nini Barbato

(Mestre / Duomo di S. Lorenzo, 10 novembre 2020)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi,

ci troviamo insieme nel Duomo di Mestre dove, a lungo, don Nini ha presieduto la celebrazione dell’Eucaristia. Siamo qui per dargli l’ultimo saluto nella fede del Signore Risorto, il Vincitore della morte.

Don Nini, dopo una lunga vita – che l’ha portato a compiere 93 anni d’età e 71 di sacerdozio – si è spento venerdì mattina, 6 novembre, memoria liturgica di Tutti i Santi e i Beati Veneziani. Il Padre che è nei cieli gli ha voluto riservare questa bella giornata per chiamarlo a Sé.

Ricordo un pensiero che don Nini aveva espresso in un’omelia nell’Avvento del 2013: <<La profezia – diceva – non ha tempo e a noi cristiani ricorda che Gesù ha riservato a sé questa parola: ”Io sono la Via” (Gv 14,8), la via al Padre. Non più quindi la via dell’uscita dalla schiavitù, ma dell’ingresso in Patria. All’esultanza dell’esodo si aggiunge l’esultanza del Regno>> (15 dicembre 2013). Questo è il gioioso “arrivederci” che, col suo sorriso luminoso, don Nini rivolge a ciascuno.

Da quando le forze avevano incominciato a lasciarlo, sperimentava una fragilità e una debolezza sempre più grandi. Sappiamo anche che il pensiero della morte – come incontro col Signore – lo accompagnava in maniera costante.

Ce lo aveva detto in occasione del novantesimo compleanno: «Sono stupefatto e riconoscente al Signore per questo traguardo. Colgo la bellezza della vita in tutti i suoi aspetti, di gioie e sofferenze. Un pensiero oggi dominante? Che la morte è prossima. Non è tanto un pensare alla morte, un andare via da qua… ma è l’andare con il Signore. È il pensiero che mi accompagna sempre di più…».

Per questo risultano particolarmente appropriate le parole della breve ma intensissima prima lettura – tratta dal libro dell’Apocalisse -, parole che giungono come voce dal cielo: «…beati i morti che muoiono nel Signore. Sì – dice lo Spirito -, essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono» (Ap 14,13).

Questi ultimi anni – meno “attivi” e intensi perché vissuti in maniera più ritirata – gli hanno permesso di preparare ed accogliere, come grazia, l’incontro col Signore, ossia l’ “andare” e il “rimanere” con Lui, per sempre.

Tutto ciò è apparso evidente anche nell’invocazione del salmo: «Spera l’anima mia, attendo la sua parola. L’anima mia è rivolta al Signore più che le sentinelle all’aurora» (Sal 129, 5-6).

L’impegno pastorale per don Nini fu sempre connesso allo studio e all’insegnamento, in particolare lo studio e l’insegnamento della teologia che, in lui, fu vera passione che lo conduceva ad approfondire culturalmente la fede. Si lasciava interpellare sia dalla grande storia sia dalle vicende spicciole della cronaca, cercando di trovare in tutto le linee profonde per la vita dell’uomo, della società, della Chiesa.

Don Nini ebbe numerosi allievi, presbiteri, diaconi, laici e laiche, che incontrò in tutto il suo ministero ed anche nell’ultimo periodo – qui a Mestre – dove era collaboratore apprezzato del Duomo.

Tutta la sua vita ebbe per filo conduttore la ricerca di un dialogo più intenso con Dio per conoscerlo e amarlo sempre più; si trattava di un colloquiare teologico a cui aveva dedicato tutta l’esistenza, un fitto interloquire con Lui, il Signore, ossia il solo Maestro che sostiene, conduce, illumina e indica la strada.

Rileggiamo, pensando alla sua esistenza, l’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus. Lungo la strada Gesù, Risorto, incontra e si prende carico della vita di questi due discepoli che hanno deciso di lasciare Gerusalemme e vanno, probabilmente a casa, verso il villaggio di Emmaus. Gesù fa dire loro i dubbi, i timori, le attese e le speranze, tutto ciò che in loro è rimasto ancora senza risposta e poi – con un’attenzione che, in qualche modo, ricorda l’impegno assiduo con cui don Nini concepiva lo studio e l’insegnamento – spiega loro il senso delle Scritture alla luce della Parola, alla luce della Pasqua che è già avvenuta (e i due discepoli lo sanno bene) ma che essi non avevano ancora colto come annuncio vero e valido per la loro vita.

Il richiamo di Gesù non lascia indifferenti nemmeno noi che, oggi, ci sentiamo rivolgere queste parole: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti? Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24,25-26). E, allora, Gesù Risorto ci prende ogni volta per mano e ci conduce al dialogo e all’incontro autentico con Lui, affinché lo possiamo riconoscere e, quindi, convertire e “accendere” il nostro cuore chiedendogli di rimanere per sempre con noi (cfr Lc 24,29).

Per riconoscere il Risorto, infatti, non basta (anzi ci può portare fuori strada) la semplice esperienza fatta di sensazioni e sperimentazioni, di impressioni e ragionamenti; è necessaria un’ulteriore luce: è il balzo della fede, l’affidarsi a Dio con tutta la vita fino alla fine.

Così il volto di Gesù diventa “riconoscibile”, “vero”, “significativo” per la nostra vita e domanda d’essere testimoniato con gioia e trasparenza ovunque. In tal modo la fede diventa il sapere che illumina e che dà il gusto di Dio a tutti gli altri saperi e dona alla vita personale, familiare e sociale una profondità e una pienezza altrimenti sconosciute.

L’impegno “intellettuale” di don Nini per un serio approfondimento culturale della fede – che riteneva indispensabile per ogni credente del nostro tempo – trova un riscontro autorevole nelle parole di san Giovanni Paolo II: “La sintesi fra cultura e fede non è solo una esigenza della cultura, ma anche della fede… Se, infatti, è vero che la fede non si identifica con nessuna cultura ed è indipendente rispetto a tutte le culture, non è meno vero che, proprio per questo, la fede è chiamata ad ispirare, ad impregnare ogni cultura. È tutto l’uomo, nella concretezza della sua esistenza quotidiana, che è salvato in Cristo ed è, perciò, tutto l’uomo che deve realizzarsi in Cristo. Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta” (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al congresso nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale, 16 gennaio 1982).

Alla sorella e al fratello di don Nini, ai familiari ed amici dico la mia vicinanza. Uno speciale ringraziamento a Paola e al diacono Benito che, con la loro famiglia, hanno accolto don Nini e lo hanno assistito in casa – soprattutto in questi ultimi anni – donandogli affetto, gioia ed amicizia.

Il Signore Risorto accolga don Nini nella pace del suo Regno e finalmente gli doni la visione completa di tutto ciò che nella fede ha sinora potuto intravedere, insieme alle risposte definitive a quel cammino umano e teologico di ricerca e di studio che lo ha caratterizzato sempre in tutta la vita.

Adesso, carissimo don Nini, sei entrato nella casa del Padre dove un giorno speriamo tutti di ritrovarci insieme “…e così per sempre saremo con il Signore” (1Ts 4,17).