Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione della festa di S. Francesco di Sales patrono dei giornalisti (Venezia / Cripta della Basilica di S. Marco, 2 febbraio 2019)
02-02-2019

S. Messa in occasione della festa di S. Francesco di Sales patrono dei giornalisti

(Venezia / Cripta della Basilica di S. Marco, 2 febbraio 2019)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi amici e amiche della carta stampata, ma anche della rete,

celebriamo oggi la liturgia eucaristica in onore di Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.

Vorrei con voi riflettere sull’importanza, sulla delicatezza, sulla grandezza del compito di chi comunica oggi. E, intanto, vorrei partire dal tema: “Siamo membra gli uni degli altri”. Papa Francesco, come al solito, ha avuto coraggio perché in un mondo sempre più individualista ha scelto un tema controcorrente che sottolinea l’importanza di restituire alla comunicazione una propettiva più ampia e, soprattutto, la necessità di rimettere al centro la persona.

La persona è relazione: vive nelle relazioni, cresce nelle relazioni, si impoverisce nella mancanza di relazioni: La relazione è intesa come un dialogo e come un’opportunità d’incontro con l’altro.

Ma la rete è una comunità di persone? E, se guardiamo al social web, noi ci poniamo una domanda fondamentale: fino a che punto lì si realizza una comunità? Un milione di contatti non fanno un incontro, eppure abbiamo bisogno dei contatti e i contatti possono aiutarci a incontrarci reciprocamente. Esiste un vero “noi” nella rete? E noi, per quanto è possibile, contribuiamo a costruirlo? Un noi fondato anche nell’ascoltare l’altro, nel dialogo, nell’uso responsabile del linguaggio.

Le parole sono come pietre, anzi… fanno più male di una pietra certe volte, ad esempio quando sono ingiuste, quando non possono essere verificate o quando sono coperte dall’anonimato. Internet, oltre ad essere un luogo della comunicazione in tempo reale, può essere un luogo di umanità oppure un luogo usato per distruggere l’altro. Contattare dieci, venti, trenta o sessanta persone in un giorno non significa, però, averle incontrate…

Se, come comunità, ci sta a cuore il nostro futuro, i nostri bambini, dovremmo anche preoccuparci del fatto che, certe volte, i bambini di tre o quattro anni non sanno fare una digitazione fondamentale – importantissima per il cristiano – che è questa: “Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo”.

Noi, a cui sta a cuore il futuro, come educhiamo i nostri bambini e i nostri adolescenti? Insegniamo loro i limiti, insieme alle possibilità della rete? Non si tratta, certo, di vietare in modo improprio – si otterrebbe esattamente il contrario proprio da bambini e adolescenti (e non solo da loro) – ma piuttosto di descrivere loro i limiti di uno strumento che può anche dare le vertigini per la sua onnipotenza.

Il Papa qui ci aiuta e, come in altri ambiti, ci indica una strada che lui per primo percorre – con gli aiuti certamente necessari – mettendosi in gioco in quanto personalmente presente nella rete.

Alla disinvoltura con cui noi usiamo i vari  dispositivi – smartphone, computer, apparati multimediali – non sempre corrisponde la conoscenza di un alfabeto appropriato. C’è poi anche un’etica nell’usare questi strumenti. Difficilmente ci soffermiamo a valutare l’incidenza che questi strumenti hanno nei nostri comportamenti e sulle nostre relazioni. E una troppo facile possibilità di comunicazione può rendere la comunicazione banale, soprattutto tra gli adolescenti. Chiediamoci dunque: come abitiamo il tempo della rete? Come ci sentiamo nella rete?

La carta stampata, lo sappiamo bene, è indebolita da un forte calo di vendite. Alcune statistiche dicono che nel decennio 2007/2016 siamo arrivati – come vendita di copie – a un crollo del 48% e siamo tornati ai livelli di vendita dei quotidiani che avevamo nel ventennio tra la prima e la seconda guerra mondiale. E, soprattutto, noi sappiamo che la carta stampata fatica ad agganciare i giovani.

Comprendiamo, allora, quanto sia attuale ed anche profetica la lettera – sotto forma di motu proprio – con cui Papa Francesco ha istituito la Segreteria per le Comunicazioni di cui oggi abbiamo qui con noi il direttore Andrea Tornielli, direttore della linea editoriale di tutti i media  della Santa Sede che fanno capo a questo dicastero, e che ha accettato di conversare con noi su Papa Francesco, la Chiesa e la comunicazione.

Avviandomi alla conclusione, voglio leggere quanto il Papa scrive proprio in questa lettera:  “L’attuale contesto comunicativo caratterizzato dalla presenza e dallo sviluppo dei media digitali, dai fattori della convergenza e dell’interattività, chiede un ripensamento del sistema informativo…” e impegna quindi la Chiesa a riorganizzarsi – le riorganizzazioni costano fatica: quando si toccano degli equilibri non è facile riuscire a riorganizzare –  ma valorizzando “quanto nella storia si è sviluppato all’interno dell’assetto della comunicazione” della Chiesa (Papa Francesco, Lettera apostolica in forma di motu proprio per l’istituzione della Segreteria per la Comunicazione, 27 giugno 2015).

Come Vescovi del Triveneto, nei giorni successivi all’Epifania facciamo solitamente un incontro di studio che dura due giorni. Quest’anno abbiamo proprio trattato come comunicare nella Chiesa, come comunicare dentro la Chiesa, come comunicare all’esterno della Chiesa, come dire la nostra fede senza gridarla, non essendo solo degli operatori ma anche delle persone di fede, rispettando la laicità della professione giornalistica.

Cari amici, mi sembra di poter dire che davanti agli occhi del Papa non scorrono tanto degli strumenti o dei mezzi; il Papa ha in mente una dimensione esistenziale, cioè un ambiente di vita, una rete dove le persone – sarà utopia cristiana ma il mondo è andato avanti anche attraverso le utopie e, se è migliorato, è migliorato proprio perché qualcuno ha parlato con convinzione di realtà che altri non vedevano ancora – dilatano e comunicano i confini delle proprie conoscenze e relazioni. La rete, quindi, come un vero spazio sociale.

Non c’è un ambito dell’esperienza umana in cui la comunicazione, i giornali, la rete, non siano diventati parte costitutiva delle relazioni interpersonali e dei processi sociali ed economici. Chi ha cambiato di più l’Italia nei decenni scorsi? La televisione, che adesso – lo sappiamo benissimo – non è più l’unico mezzo. Ma intanto la televisione ha unificato, da Bolzano a Lampedusa.

Questo ambiente, che il Papa intravvede e indica, è caratterizzato molte volte dal protagonismo degli utenti poiché in rete ognuno può dire quello che vuole. E chi ha tempo da dedicare solo alla rete può dire un’infinità di cose. E non sempre c’è tempo e non è neanche opportuno smentire sempre, perché si rischia anche di dare visibilità a chi magari cerca solo quella…

Questa libertà d’accesso alla rete, questa libertà di espressione, favorisce allora la convivenza tra posizioni diverse e questo può essere buono e può farci crescere ma rischia anche che la verità non sia più nelle cose, non sia più obbiettiva, ma la verità sia della maggioranza.

Non conta più l’intrinseca validità, l’onestà di una persona o di una situazione: importante è “ripetere” certe notizie. Ciò che conta allora – e lascio questo punto come riflessione per me e per voi – non è più la verità ma l’attesa, l’aspettativa, degli utenti.

Qui si apre una questione delicata – umana e anche cristiana – e chi opera in questo mondo è chiamato ad una grande competenza, ad un grande aggiornamento, ad una grande intelligenza e anche ad un criterio di moralità, di etica. Chiediamo al nostro patrono San Francesco di Sales di ispirarci a essere sempre dei bei giornalisti, dei buoni operatori della rete.