Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione del pellegrinaggio mariano alla Basilica della Salute (Venezia, 3 ottobre 2020)
03-10-2020

 S. Messa in occasione del pellegrinaggio mariano alla Basilica della Salute

(Venezia, 3 ottobre 2020)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Ricominciamo il momento di preghiera mariano del primo sabato del mese con questo primo sabato di ottobre e sappiamo che nel primo sabato si ricorda soprattutto l’apparizione di Fatima; nell’ottobre del 1917, infatti, la Madonna concluse un tempo determinato e circoscritto che aveva dedicato, in modo particolare, ai piccoli.

Il messaggio di Fatima – dobbiamo metterlo bene in chiaro – riguarda le persone semplici che, secondo il Vangelo, sono coloro che ascoltano la voce di Dio, il messaggio di Dio, la parola di Dio.

Il Vangelo di oggi, allora, bene ci introduce in questa prospettiva con Gesù che esulta nello Spirito Santo e dice: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Lc 10.21).

La Vergine Santissima a Fatima sceglie dei bambini e noi dovremmo andare a vedere chi furono questi bambini perché molte volte – pensando a Lourdes, a Fatima, alle varie rivelazioni e apparizioni, a Caterina Labourè e alla medaglia miracolosa – noi restringiamo tutto all’apparizione e invece è molto importante vedere come da quell’incontro con Maria la vita di Francesco, Giacinta, Lucia e Bernadette sia cambiata radicalmente.

Sarebbe bello riprendere in mano – attraverso gli atti di beatificazione, che non è sempre facile recuperare, ma ci sono anche delle biografie serie – quale fu l’atteggiamento e il cambiamento di vita di queste persone, di questi piccoli. E allora si comprenderebbe il senso dell’apparizione: la conversione!

Caterina Labourè – depositaria della visione della medaglia miracolosa – morì a settant’anni; ebbe le apparizioni quando era novizia. Se un giorno andrete a Parigi, fate un passo a Rue du Bac e rimarrete colpiti perché – in una città secolarizzata come è Parigi -, esiste una chiesa (che era la cappella della casa madre e la casa delle novizie delle suore dette “Cappellone”, le suore di San Vincenzo) in cui trovate un gran numero di persone in preghiera silenziosa.

Le apparizioni non sono il gioco di qualcuno che si vuole accreditare dicendo di avere chi sa quali poteri e strumentalizzando i santi; le apparizioni segnano l’inizio di un cambiamento, di una conversione.

Ringrazio il Rettore che ha citato quel breve passo della lettera pastorale in cui si dice che l’essenziale è il Signore, l’essenziale è la conversione. E quando noi siamo papà e mamme convertititi, religiose e religiosi convertiti, sacerdoti e vescovi convertiti, tutto il resto ne deriva di conseguenza.

Il Vangelo di oggi parla dei semplici e la semplicità è il risultato di un cammino molto lungo. E anche il Salmo proclamato diceva: “…con ragione mi hai umiliato” (Sal 119,75).

Noi abbiamo bisogno anche del tempo dell’umiliazione e non come un tempo da vivere sperando che passi presto ma come un tempo in cui rimanere e riflettere, riflettere di fronte a Dio, di fronte alle grandi domande della vita: a che età sono arrivato, quanto ho da vivere, cosa ho fatto, sono riuscito a chiamare importanti le cose importanti o ho dato importanza alle cose più sciocche, stupide e divisive che possono esserci nelle relazioni umane, in famiglia e nella Chiesa?

Il libro di Giobbe – ne abbiamo letto praticamente la conclusione – ha come protagonista non un ebreo ma uno sceicco arabo e ci riporta al tema del dolore, al perché a me è capitato questo, al tema di Dio.

Vi ricordate la traversata degli apostoli nel lago di Genesaret? La barca sta affondando e Gesù dorme, non sanno più cosa fare e Gesù continua a dormire o, meglio, c’è ma non parla, c’è ma non interviene. E allora Pietro lo sveglia: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?” (Mc 4,38).

Quante volte noi, provati nella vita personale e familiare ci ritroviamo in questa invocazione, in questo grido, in questa protesta di Pietro: ma, Signore, non ti interessa proprio niente di quello che mi sta accadendo? La risposta di Gesù è: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” (Mc 4,40).

La questione fondamentale è la fede e, se vogliamo essere persone di carità, dobbiamo essere prima persone di fede perché la fede è l’inizio della relazione, da parte mia, verso Dio riconosciuto come Padre e come Signore, come perdono, come conversione, come riconciliazione. Io non posso arrivare alla carità se non ho la fede e non posso avere la speranza cristiana ma solo le piccole speranze umane (“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo”). E allora noi andiamo a cercare il potente di turno, quanti potenti di turno abbiamo già visto crollare nella vita politica … E quanti onnipotenti sono svaniti nel nulla (“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo”): è una frase tratta dal libro del profeta Geremia (cap. 17 versetto 5), ma il tema ci rimanda anche al contenuto del Salmo 1, l’inizio della preghiera di Israele, dove ritroviamo lo stesso concetto.

Accennavo al problema del dolore e al problema del perché. Romano Guardini, grande teologo, diceva: “La domanda più impegnativa è quando io unisco queste due parole: perché a me, perché proprio a me e perché non agli altri?”.

Giobbe è un uomo universale; è appunto uno sceicco arabo e non appartiene all’ebraismo, ma ci dice che questi problemi sono i problemi dell’uomo, sono i problemi di ciascuno di noi, di ogni comunità, di ogni famiglia, che ogni persona incontra nella sua vita. Dio perché il male? Perché l’ingiustizia e la sofferenza?

Soprattutto sottolineiamo quel passaggio della lettura di oggi che è un po’ il cuore, la cifra, il senso complessivo del lungo libro di Giobbe: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto. Perciò mi ricredo e mi pento…” (Gb 42,5-6).

Certo, Dio può essere conosciuto in diversi modi e, ad esempio, studiando la teologia. Cari seminaristi, mi raccomando di studiarla, perché è una grande risorsa nella vita di fede e nella vita del ministro ordinato. Studiatela, perché la teologia si impara anche a seconda dell’età che abbiamo e studiare certe cose a vent’anni e poi continuare a studiarle a trenta o a cinquanta vi permetterà una comprensione ben diversa di quanto avevate inteso e compreso vent’anni prima. Usate bene il tempo del Seminario – e, talora, si rischia di perderne molto -, ma per fare questo la prima responsabilità è affidata a voi; meno male che abbiamo il Rettore e il Padre spirituale però, alla fine, il Rettore e il Padre spirituale consigliano e indirizzano, non sono infallibili eppure sono persone di buona fede e di esperienza e che sono qui a pregare prima di fare. Poi, però, il Padre spirituale, il Rettore e il Vicerettore affidano voi stessi a voi.

Lo studio è importante e si può conoscere Dio studiando, certo, ma si può anche arrivare alla conoscenza di Dio attraverso la bellezza, guardando un tramonto o un’alba, sentendo una musica o un’armonia. Non cito degli autori perché ognuno ha le sue preferenze, ma ci sono certe musiche e certe melodie che allargano il cuore e ci fanno percepire qualcosa che va oltre.

Certo, sono modi per conoscere Dio, come anche contemplare il microcosmo e il macrocosmo e io credo che i più facilitati, per certi aspetti, dovrebbero essere i medici perché un medico che – anche semplicemente – osserva un occhio e l’immagine che viene trasmessa al cervello dovrebbe rimanere sconcertato dall’ordine, dal progetto e dal fine che ne emerge.

Ma poi, vedete, la vera conoscenza di Dio si acquisisce in un altro ambito; è all’interno della propria vita che si vede l’umano, il contingente, la precarietà e il desiderio di andare sempre oltre quello che si è raggiunto. Noi, a volte, pensiamo e diciamo che l’erba del vicino è sempre più verde;  non perché è più verde, ma perché è del vicino! Noi desideriamo sempre qualcosa che non abbiamo e nel momento in cui ce l’abbiamo non ci interessa più perché è nostra e vogliamo avere altro; l’uomo è intessuto di infinito.

I temi della vita vissuta e del dolore rappresentano, in un certo senso, la conoscenza “ultima” fra le conoscenze “penultime”, perché la vera conoscenza ultima ci è poi riservata nell’incontro con Dio. E la teologia cerca di spiegare quale sarà questa conoscenza “ultima” dicendo: tu non conoscerai Dio dall’esterno, ma Dio entrerà dentro di te e ti dirà chi è Dio.

La Madonna a Fatima, in pochi mesi e quindi in un tempo circoscritto, ha parlato a dei bambini e ha detto cosa sarebbe successo nel ventesimo secolo. Adesso gli storici ricordano che ci fu un Papa genovese – Benedetto XV – il quale, commentando la pace di Versailles (1919, subito dopo la fine della prima guerra mondiale), disse così: “Hanno dichiarato un’altra guerra”. E noi sappiamo poi come sono andati gli avvenimenti dal 1919 al 1939… E la Madonna di Fatima aveva detto: “Se non vi convertirete, inizierà una guerra che sarà peggiore di questa”. Era il 1917: Fatima, la prima costituzione laicista dell’epoca moderna (quella messicana), la rivoluzione d’ottobre in Russia (“Se la Russia non si convertirà”)…

Ascoltare Dio ed essere semplici vuol dire avere uno sguardo sulla realtà e sul mondo. Il convertito mistico non è colui che pensa dai tetti in su; è colui che cammina con i piedi per terra, ma con lo sguardo rivolto in alto.

Proseguiamo, dunque, questo momento di preghiera mariana – che vedremo poi come concretizzare anche nei prossimi primi sabati del mese – con lo spirito di chi vuol essere semplice, vuole ascoltare la parola di Dio e vuole saper stare nel tempo che Dio gli ha assegnato.  S.