Omelia del Patriarca nella S. Messa “in Coena Domini” (Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco - 13 aprile 2017)
13-04-2017

S. Messa “in Coena Domini”

(Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco – 13 aprile 2017)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Fratelli e sorelle carissimi,

inizia con questa celebrazione l’unico Triduo: Giovedì, Venerdì e Sabato Santo, Domenica di Risurrezione. È importante capire che abbiamo iniziato un’unica azione liturgica, i vari momenti di questa celebrazione sono distinti ma non separati.

Abbiamo ascoltato dal Vangelo di Giovanni – che era presente agli avvenimenti che descrive – quello che potrebbe essere un progetto di vita spirituale, una sapienza da condurre dentro la nostra vita di tutti i giorni, perché o si è cristiani è tutti i giorni o non si è ancora cristiani.

Abbiamo bisogno di riscoprire la Parola di Dio come bussola, riferimento, interpretazione, sapienza, giudizio sulla nostra vita. E allora in questi quindici versetti del Vangelo di san Giovanni c’è un progetto: un progetto di vita cristiana dove il centro è Lui, è Gesù, a cui non viene strappata la vita ma che dona la sua vita: “Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10,18).

Di lì a poco, nell’orto degli Ulivi, a quelli che lo cercavano per catturarlo Gesù dirà: “«Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!»… Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra” (Gv 18, 4-6).

Lui – che è il centro, il Signore – lo dice anche chiaramente ai suoi apostoli: “Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono” (Gv 13,13).  Gesù ribadisce con forza questo “Io Sono” perché “Io Sono” era il nome non espresso, ma detto, di Dio.

Pensiamo all’Esodo, alla vocazione di Mosè: “Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi»” (Es 3,13-14).

E Gesù – soprattutto nelle diatribe con gli scribi giudei, farisei, riportate puntualmente soprattutto dal Vangelo di Giovanni  – ritorna spesso su questa affermazione: “Io Sono”. “… prima che Abramo fosse Io Sono” (Gv 8,58), “Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono” (Gv 13,13), “Io sono la via, la verità, la vita” (Gv 14,6).

Ma ritorniamo a questa pericope del Vangelo che dovrebbe diventare bussola di vita cristiana: Gesù, il Signore, è colui che lava i piedi e chiede di lavarceli reciprocamente gli uni gli altri. La lavanda dei piedi: dobbiamo accettare  di entrare in questa logica divino-umana.

Prima di tutto, ricordiamo Pietro: “Tu non mi laverai i piedi in eterno!” (Gv 13,8).  L’inizio della vita cristiana, l’inizio della vita di fede, è riconoscere che abbiamo bisogno di essere lavati e che da soli non ci possiamo pulire. E tutte le volte che l’umanità ha pensato di pulirsi o salvarsi da sola ha creato dei mostri, dei superuomini. La teoria del superuomo ha portato alle tirannie del Novecento.

Stiamo vivendo anni, mesi e giorni in cui è necessario molto pregare. Gli avvenimenti ci dicono che una flotta sta raggiungendo una penisola, che uno Stato mediterraneo è in lotta e in guerra fratricida da sei anni, che ci sono migrazioni legate alla povertà e a politiche sbagliate e che rischiano di creare conflitti.

Questo brano del Vangelo è la sapienza nella vita di una persona, è la sapienza nelle relazioni tra le persone, è la sapienza ultima anche delle relazioni politiche. Il Signore è colui che lava i piedi e chiede all’umanità di compiere, a sua volta, questo gesto.

La pericope del Vangelo termina con la consegna che Gesù dà ai suoi discepoli: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13, 14-15).

L’Eucarestia è spiegata bene dal gesto della lavanda dei piedi: è quell’amore che si dona, il chicco di grano che produce molto frutto morendo. E l’Eucarestia è il centro della Chiesa, è l’origine della Chiesa, è il culmine della Chiesa; è la vera pastorale della Chiesa ma è anche quella sapienza di cui il mondo ha bisogno. Solamente un’umanità eucaristica, che si dona, può salvare il mondo.

Compiremo fra poco il gesto della lavanda dei piedi. Ringraziamo i nostri fratelli che ci aiuteranno a vivere e a ritornare al cenacolo di Gerusalemme di duemila anni fa; tra di loro c’è un papà e un figlio che vengono da Aleppo, la città martire. Preghiamo molto.

Guardiamo al Signore e soprattutto guardiamo al Calvario, dove il Signore consegna l’umanità a Maria, perché Maria è la porta attraverso la quale Gesù è venuto al mondo e Maria è la porta attraverso la quale Gesù vuole tornare nel mondo.

Invochiamo Maria madre della misericordia perché ci doni la misericordia, perché ci aiuti a essere anime, corpi e comunità eucaristiche, perché riusciamo a mantenere in questi anni, in questi mesi e in questi giorni, la sapienza della Croce.

Nella scena del Calvario – che domani contempleremo nella liturgia dell’Adorazione della Croce – c’è lo spaccato, la fotografia, dell’umanità: Gesù in croce che salva l’umanità che accoglie la sua salvezza, l’umanità che deride il Signore crocifisso. Iniziamo questo Triduo guardando a Lui, il Signore.