Omelia del Patriarca nella S. Messa della solennità dell’Immacolata Concezione di Maria (Venezia / Basilica S. Marco, 8 dicembre 2021)
08-12-2021

S. Messa nella solennità dell’Immacolata Concezione di Maria

(Venezia / Basilica S. Marco, 8 dicembre 2021)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi fratelli e sorelle,

il cammino dell’Avvento ci pone dinanzi la figura di Maria, l’Immacolata, capolavoro della grazia di Dio, immagine personale dell’attesa, madre universale dell’umanità.

Con l’odierna solennità mariana si conclude anche l’anno dedicato a san Giuseppe indetto, l’8 dicembre 2020, da Papa Francesco per ricordare i 150 anni dalla solenne proclamazione di san Giuseppe patrono universale della Chiesa da parte del beato Pio IX.

Le letture, appena proclamate, hanno racchiuso in un quadro il messaggio della salvezza cristiana che trae origine dall’azione provvidente di Dio che opera nella storia dell’uomo. Esse ci hanno condotto nel mistero grande della storia, ossia la libertà di Dio e la libertà degli uomini.

La libertà è fra Dio e l’uomo. Innanzitutto c’è la libertà di Dio, che precede e genera la libertà dell’uomo che segue ed è generata dalla libertà di Dio, ma che sempre rimane libertà piena e realissima.

La Chiesa, all’inizio del tempo di Avvento, ci accompagna al Santo Natale invitandoci a guardare la persona di Maria che – in quanto Immacolata – è la risposta a Dio dell’umanità che si era consegnata al peccato sin dall’inizio, come narra il racconto della Genesi (Gen 3,9-15.20).

Maria, in questo senso, è davvero il capolavoro della grazia di Dio. E se è vero che Maria è “una di noi” che condivide tutta la realtà umana, ancor più è vero che Maria – in quanto Immacolata – è di fronte all’umanità in maniera unica come un corpo estraneo, come un’isola felice.

Sì, perché in Lei il divino entra in modo unico nell’umano, attraverso ciò che di più umano c’è nell’uomo: la libertà. La libertà nel suo imprescindibile rapporto con la grazia.

Nella sua persona Maria, l’Immacolata, esprime e realizza il progetto voluto da Dio, dall’origine, e che non si era realizzato a causa dell’avversario: il nemico, Satana, colui che divide, il diavolo che Gesù definirà (cfr. Gv 8,44) “fin da principio” l’omicida, il menzognero e il padre della menzogna. E questo è il dramma del peccato che, dall’origine, accompagna l’umanità che ha voluto un proprio progetto, abbandonando quello di Dio.

In tal senso è interessante leggere il romanzo “I demoni” di Fëdor Dostoevskij in cui uno dei protagonisti, il cinico Pëtr Stepanovič, si caratterizza anzitutto non come colui che odia ma come colui che è “attraversato” dal peccato della menzogna.

Con l’Immacolata, invece, si attua l’umanità come Dio l’aveva pensata e voluta. Fra Dio e il bene c’è la libertà, fra Dio e il male c’è la libertà; la libertà onnipotente di Dio e la libertà fragile degli uomini che costituiscono il mistero grande della storia.

Maria, nella sua persona, rappresenta la forma sublime di salvezza che, in Lei, si realizza in modo unico perché, appunto, è l’Immacolata, Colei che è rimasta fedele a Dio per sempre, unica creatura.

Maria, quindi, non è stata salvata come avviene per gli altri, ossia rialzandosi dalla caduta (dopo la caduta), ma per una grazia sublime e senza neanche che Maria cadesse.

A partire da questo singolare privilegio dobbiamo intendere le parole conclusive della prima lettura di oggi quando Dio proclama di fronte al serpente, nel modo più alto e chiaro, la radicale opposizione tra Maria e il peccato, ossia il Maligno: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gen 3,15).

Il brano della lettera agli Efesini (1,3-6.11-12) richiama la grandezza del piano di Dio che si caratterizza per una sapienza eterna che precede le scelte storiche dell’uomo: “In lui – Cristo – ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (Ef 1,4). Ma tra Dio e il bene c’è la libertà, la nostra libertà.

Maria fa pienamente parte di questo progetto eterno di Dio. Non potrebbe esserci Gesù, il Salvatore, se non ci fosse Sua Madre. Quindi è la vicenda di Gesù che realizza il progetto di Dio che, a sua volta, non prescinde dall’Immacolata, come bene aveva compreso Charles Péguy che ha scritto così: “Tutte le questioni spirituali, eterne e carnali, gravitano attorno ad un punto centrale e a cui non finisco di pensare e che è la chiave di volta della mia religione. Questo punto è l’Immacolata Concezione”.

Péguy, dopo aver smarrito la fede negli anni della giovinezza e dopo l’esperienza del socialismo che lo aveva deluso, dopo la delusione quindi di una giustizia solo umana e sociale, trova come motivo in grado di ricondurlo alla fede cristiana proprio l’incarnazione perché, in essa, ogni divisione si ricompone in unità ed ogni sofferenza trova il suo significato.

Il centro del cristianesimo è – e sempre rimane – il Cristo crocifisso e glorioso ma Péguy, non legato a schemi teologici, non ha timore di “spodestare” Gesù Cristo, inizio e termine di ogni realtà e disegno. Il suo è un richiamo esplicito: “Questo punto è l’Immacolata Concezione”. Ciò non fa problema, perché in Maria tutto è riferito a Cristo.

Péguy ci ricorda, così, che la redenzione si rende presente nella storia con l’Immacolata poiché proprio con l’Immacolata il divino si inserisce nell’umano. Maria, l’Immacolata, è sintesi della logica che presiede alla salvezza voluto da Dio per l’umanità.

Lo stesso Péguy racchiuderà anche in una sorta di poesia litanica le sue intuizioni sull’Immacolata: «Vi sono giorni in cui santi e patroni non bastano più… Bisogna prendere allora il coraggio a due mani e volgersi direttamente a Colei che è al di sopra di tutto. Essere arditi… Sempre qualcosa manca alle creature, e non soltanto di non essere Creatore. Alle carnali, sappiamo, manca d’esser pure; alle pure, dobbiamo saperlo, d’esser carnali. Una sola è pura pur essendo carnale; una sola è carnale pur essendo pura. Ecco perché la Vergine non è solo la più grande benedizione discesa su tutto il creato; non solamente la prima fra tutte le donne “benedetta fra tutte le donne”; non solamente la prima fra tutte le creature; ma l’unica, l’infinitamente unica infinitamente rara creatura» (Charles Péguy).

Nel piano salvifico l’iniziativa è di Dio e non potrebbe essere altrimenti; l’opera di Dio, però, sollecita e chiede sempre la collaborazione umana – da cui mai prescinde – e tale collaborazione umana ha un nome preciso: l’Immacolata, la madre di tutta l’umanità.

Ecco perché Maria ci viene proposta all’inizio del tempo di Avvento per prepararci degnamente al Natale. Avvento significa attesa e l’attesa richiede di guardare oltre di sé. Maria è l’icona dell’attesa in quanto va al di là e oltre i suoi progetti personali, aprendosi a Dio che interpella e sollecita la libertà di Maria.

Maria ci ricorda che fissare il proprio sguardo (e, quindi, fondare la propria vita) su Gesù non penalizza la propria persona né, tantomeno, la diminuisce; fa ritrovare, piuttosto, l’autenticità del vivere umano.

Così Maria, come Colei che attende, matura in sé un io forte e attento alle esigenze degli altri che per Lei sono l’umanità intera di cui è la madre. Questa è l’Immacolata, questo è l’Avvento che per noi – non per Lei – deve essere conversione innanzitutto di fede. Questo è il modello di Chiesa che vogliamo fare nostro nel cammino sinodale che – a livello universale, nazionale e locale – stiamo percorrendo.

Dopo l’annunciazione, narrata nel Vangelo (Lc 1,26-38), sappiamo che Maria raggiunge la cugina Elisabetta: è una scena in cui Maria porta Gesù perché, in Lei, l’Avvento non ha coinciso col desiderio ma è stato coinvolgimento totale, “realizzazione” del Suo sì credente.

“Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38) sono le ultime parole detta da Maria all’angelo. Non è solo spettatrice in attesa della venuta del Signore, perché lo accoglie e lo rende presente nel suo sì: questo è il vero Avvento sostanziale a cui dobbiamo guardare come persone e comunità.

Ecco perché, a Cana di Galilea, Maria potrà osare anche di fronte alla risposta di Gesù: “Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2,4). Maria, l’Immacolata, può osare perché Lei – “piena di grazia” – è chiamata a collaborare alla venuta dell’ora di Gesù. E, in quanto Immacolata, entra in modo unico nell’ora di Gesù, nell’opera di Dio per la salvezza dell’umanità.

San Paolo lega l’opera di Dio e l’ora di Gesù a Maria: “…quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4,4).

L’Immacolata, la “piena di grazia”, la perdonata per eccellenza, continua ad operare – come già redenta – per la nostra salvezza.

Qui c’è tutto il senso dell’Avvento, il senso del Natale, il senso della Pasqua. E tutto è già nel sì di Maria, l’Immacolata, che è attesa operosa del Signore, attesa che rende presente la sua venuta, ossia il Santo Natale. E spero che non abbiamo paura a nominarlo.

Buona festa dell’Immacolata a tutti!