Omelia del Patriarca nella S. Messa del giorno di Natale (Venezia, Basilica cattedrale di S. Marco - 25 dicembre 2020)
25-12-2020

S. Messa del giorno di Natale

(Venezia, Basilica cattedrale di S. Marco – 25 dicembre 2020)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

a coloro che partecipano “in presenza” a questa Eucaristia nella basilica marciana e a chi è collegato tramite Antenna 3 e il settimanale diocesano Gente Veneta rivolgo l’augurio di un santo Natale e che i nostri cuori incomincino ad amare!

Il protrarsi della pandemia ci porta a vivere un Natale particolare, segnato da non poche limitazioni imposte dall’autorità pubblica per il bene comune, prima fra tutte il non poter vivere pienamente, in famiglia e insieme ai nostri cari, questi giorni. E non tutti quelli che avrebbero voluto essere qui in basilica sono potuti venire…

Tutto questo non ci impedisce di “fare” Natale, di lasciar risuonare nel nostro cuore e nelle nostre famiglie la bella notizia di questo giorno: “…il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv, 1,14). Dio, nel Bambino nato a Betlemme, si è manifestato come Colui che si abbassa per condividere le fatiche, le sofferenze, le fragilità, le debolezze umane.

Il prologo del Vangelo secondo Giovanni, appena ascoltato, ci indica la grandezza di questo evento che vale anche per noi, oggi: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (GV 1,4-5).

Sì, il Natale è la festa di Gesù, il Figlio di Dio che nasce bambino dal grembo di una donna, il Dio-con-noi. Lui è la pienezza della vita; è la luce che risplende e non può essere vinta dalle tenebre, da nessuna delle tenebre che ci avvolgono e ci angustiano e che nascono dalla menzogna, dal mentire a sé e agli altri; Lui è la luce e chi non ha da temere nulla agisce nella luce, non nelle tenebre; è Lui che ci rivela il mistero di Dio e ce lo rende finalmente accessibile e avvicinabile perché – lo abbiamo appena ascoltato – “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18); Gesù, il Figlio, è Colui che ci “spiega” chi è Dio e ci “riconduce” al nostro Dio che è Padre di tutti. E Giovanni ci dirà che è Amore e chi non ama (e odia) è nelle tenebre.

Gesù è luce degli uomini, è luce che splende nelle tenebre; nasce di notte, per sconfiggere le tenebre. Le letture della notte di Natale hanno sottolineato tale aspetto che qui desidero richiamare.

Le parole del profeta Isaia – che risalgono al secolo VIII a.C. – sono, specialmente in questo tempo di pandemia, cariche di suggestione: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse… Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9,1.5). Torna, quindi, il tema delle tenebre.

Parole che Luca riprende all’inizio del Vangelo: “Mentre [Maria e Giuseppe] si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia… C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce (Lc 2,6-9). Il Natale di Gesù è festa di luce e di verità, una luce che avvolge l’umanità.

Similmente nella lettera di san Paolo a Tito si indicano i “contenuti” e gli effetti di questa luce donata al mondo: “…è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà…” (Tt 2,11-12). È, insomma, una grazia di salvezza che libera dal male – e da dove inizia il male se non dal nostro cuore e dalla mancanza di verità? – e da ciò che è solamente “mondano” e ci conduce a vivere in maniera rinnovata sui binari della pietà, della giustizia e della sobrietà.

Dalla luce del Natale scaturisce una nuova speranza e una nuova gioia, speranza e gioia “cristiane” che il Bambino, nato a Betlemme, ci restituisce.

Ecco perché è importante che, come cristiani, cogliamo questo Natale faticoso e la dolorosa occasione di questa pandemia per riflettere e “liberare” il Natale stesso da quelle immagini fuorvianti e da quei contenuti mondani di cui era stato rivestito.

Il Natale da tempo, aveva infelicemente assunto forme non sue. Il Natale autentico, il Natale di Gesù, non è quello ristretto nei criteri commerciali e consumistici del lusso, dei regali costosi, delle grandi abbuffate, delle feste smodate o della vacanza in località esclusive e in cui neppure si nomina o ricorda il festeggiato.

La nascita di Gesù a Betlemme ci racconta tutt’altro. Certo, i legami umani, le relazioni con parenti e amici ed anche lo stesso gesto del dono da porgere e ricevere sono elementi preziosi da coltivare, ma tutto ciò deve completare in modo sobrio ed equilibrato, e mai sostituire, il festeggiato e la vera festa: Gesù, il suo e il nostro Natale.

Se ci lasciamo toccare ed illuminare dalla luce del Natale, dalla Verità vivente che è Gesù Cristo, cambia e riparte la nostra vita, cambia e riparte la nostra storia, quella delle nostre famiglie, delle nostre città, della società intera che ha bisogno e ha nostalgia sempre più forte di pienezza e redenzione di vita, di vicinanza solidale, di riconciliazione, di giustizia, di verità, di luce, di pace, di speranza.

Il Natale di Gesù è luce, speranza, opportunità di ripartenza e rinnovamento per tutti (non solo per noi o per il nostro gruppo): non solo per i bambini e i ragazzi, per i giovani, gli adulti e gli anziani presi singolarmente, ma per le comunità e la società.

Se, infatti, accogliamo questa luce, cambiano anche le priorità, le direttrici, gli stili di vita a livello economico, sociale, culturale e politico: la persona torna al centro – con le sue esigenze e le sue fragilità – e così anche, per tutti, il diritto ad una vita dignitosa, al lavoro; il bene comune non rimane un’utopia ma la ricerca di soluzioni, perseguendo la libertà, la giustizia, l’equa distribuzione delle risorse e la pace ad ogni livello.

A Natale scopriamo il volto del Dio-con-noi e lo percepiamo vero e vicino, capace perciò di dare senso e speranza alla nostra vita e di liberarci, perciò, anche di tanti retaggi pagani, di antichi timori o di superstizioni. Il cristiano non è un uomo che maledice, è un uomo che benedice. E il Natale non è Dio che entra nel mondo per maledire, ma per benedire. Le mani del cristiano, del battezzato, del prete, sono mani che devono benedire e congiungersi nella preghiera.

La fede cristiana è speranza, come ci aveva ben ricordato Benedetto XVI nell’enciclica “Spe salvi”, attraverso un interessante raffronto con la vita precedente la venuta di Cristo e la pienezza della rivelazione cristiana.

“Quanto sia stato determinante per la consapevolezza dei primi cristiani l’aver ricevuto in dono una speranza affidabile – osservava -, si manifesta anche là dove viene messa a confronto l’esistenza cristiana con la vita prima della fede o con la situazione dei seguaci di altre religioni. Paolo ricorda agli Efesini come, prima del loro incontro con Cristo, fossero «senza speranza e senza Dio nel mondo» (Ef 2,12). Naturalmente egli sa che essi avevano avuto degli dèi, che avevano avuto una religione, ma i loro dèi si erano rivelati discutibili e dai loro miti contraddittori non emanava alcuna speranza. Nonostante gli dèi, essi erano «senza Dio» e conseguentemente si trovavano in un mondo buio, davanti a un futuro oscuro. «In nihil ab nihilo quam cito recidimus» (Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo) dice un epitaffio di quell’epoca…” (Benedetto XVI, Lettera enciclica Spe salvi, n. 2). Un uomo, insomma, sospeso tra il nulla e il nulla e il destino è ricadere nel nulla…

Il Natale sconvolge questa visione: Dio è con noi e noi conosciamo il volto di Dio, scopriamo che Dio è Padre, ci benedice e vuole che ci benediciamo gli uni gli altri, che Dio è Amore e poiché è Amore eterno ci salva per l’eternità.

Con Gesù Cristo – che ci svela il volto di quel Dio sino ad allora imperscrutabile e inaccessibile – si spalanca un futuro “vivibile” perché, appunto, segnato ed accompagnato da una “speranza affidabile”. È un dono che, oggi specialmente, non possiamo permetterci di sciupare, di non accogliere, di non annunciare.

Anche la famosa frase di Orazio – “Carpe diem”, ossia: “Afferra il giorno / Cogli l’attimo” – era, in un certo senso, la sintesi del paganesimo e rivelava una filosofia che puntava sì a vivere bene il momento presente ma non avendo certezza e nemmeno speranze fondate sulla possibilità e sulla bontà di un futuro.

Il Natale, invece, ci fa vivere l’evento che cambia la storia. E quando Dio assume la fragile carne umana è l’Eterno che irrompe nel tempo e, da quel momento, la speranza assume un volto umano concreto, un nome preciso. Non è più solo un desiderio o una illusione; è la realtà che accade e chiede di essere accolta, chiede la nostra conversione.

Il sacramento del Battesimo ci libera da ogni paura, da ogni incrostazione pagana e mondana; è, in fondo, questo il senso delle “promesse” battesimali per cui rivestiti di Cristo, siamo inseriti nella Verità vivente che è la sua persona; è Lui che ha dato inizio alla famiglia umana, alla Chiesa, alla fraternità universale. Ripensiamo la festa del Natale e soprattutto recuperiamola nel suo vero significato: il Dio-con-noi che ci rende “fratelli tutti”.

Non c’è verità se non c’è amore e non c’è amore senza verità. Chi scompone le due cose non persegue né la verità né l’amore ma persegue se stesso.

“L’importante è Gesù”, l’ha ripetuto di recente Papa Francesco: “Se la nascita di Gesù non tocca la vita nostra – la mia, la tua, tutte – se non tocca la vita, passa invano… Il Natale sia per ciascuno occasione di rinnovamento interiore, di preghiera, di conversione, di passi avanti nella fede e di fraternità tra noi. Guardiamoci intorno… il fratello che soffre, dovunque si trovi, il fratello che soffre ci appartiene. È Gesù nella mangiatoia: chi soffre è Gesù…” (Papa Francesco, Angelus del 20 dicembre 2020).

Chi dice di credere e non ama i propri fratelli, ed anzi li maledice e li odia, come fa a dire che crede?

E, soprattutto, come aveva affermato in una catechesi di qualche tempo fa sulla speranza che sgorga per tutti noi da questa festa, “il Natale di Cristo, inaugurando la redenzione, ci parla di una speranza diversa, una speranza affidabile, visibile e comprensibile, perché fondata in Dio. Egli entra nel mondo e ci dona la forza di camminare con Lui: Dio cammina con noi in Gesù e camminare con Lui verso la pienezza della vita ci dà la forza di stare in maniera nuova nel presente, benché faticoso… Sarà veramente una festa se accoglieremo Gesù, seme di speranza che Dio depone nei solchi della nostra storia personale e comunitaria. Ogni “sì” a Gesù che viene è un germoglio di speranza” (Papa Francesca, Catechesi all’udienza generale del 21 dicembre 2016).

Carissimi, interroghiamoci se il nostro cuore ama; solo allora celebriamo davvero il Natale che, quest’anno, ci offre l’opportunità di diventare sempre più discepoli del Bambino nato a Betlemme e che chiede di essere da noi riconosciuto e adorato, chiede amore e dona amore.

Ci accompagni in questo cammino la Vergine Maria che, con il suo sì, ha reso possibile il Natale e ha dato alla luce Gesù, donandolo al mondo. Ci guidi anche san Giuseppe, uomo del silenzio ma sapiente Custode del Redentore.

Che il Natale doni a tutti – soprattutto a chi è più provato dalle sofferenze, dalle solitudini e dai disagi della pandemia – un po’ di conforto, di consolazione e anche di letizia.

Buon Natale a tutti, di pace e di speranza, nella verità e nell’amore, perché oggi è nato per noi l’unico Salvatore, Cristo Signore!