Omelia del Patriarca nella S. Messa del giorno di Natale (Venezia, Basilica cattedrale di S. Marco - 25 dicembre 2017)
25-12-2017

S. Messa del giorno di Natale

(Venezia, Basilica cattedrale di S. Marco – 25 dicembre 2017)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Cari fratelli e sorelle, a tutti auguro un Natale di pace!

Lasciamo che il Santo Bambino ci guardi e noi andiamo a Lui, come duemila anni fa vi andarono i pastori: è l’unico modo per fare Natale.

La parola “conversione” ci porta a pensare subito a qualche comportamento da correggere, ma a Natale la conversione chiede qualcosa di più: aprirsi a Dio, alla Sua grazia, alle Sue scelte. Solo tale abbandono ci apre la strada della conversione.

Ma il vertice, o il punto d’arrivo, suppone sempre un punto di partenza. Lasciamo, allora, echeggiare in noi le domande sul senso della vita, quelle domande che vengono prima di ogni altra domanda. Chi sono? Da dove vengo? Qual è il senso della vita? Che cosa c’è dopo questa vita? Esiste la giustizia?

Sono domande che ci interpellano e che mettono in questione la nostra umanità. Rimuoverle significa moltiplicare i problemi, non risolverli e, alla fine, rinunciare alla propria umanità.

L’uomo, infatti, è l’essere che si interroga su tutto e sarebbe una contraddizione in termini se non si interrogasse proprio su di sé, sul suo destino. Alcune domande scavano dentro di noi e darvi risposta non richiede solo intelligenza ma anche cuore. Un cuore ben disposto, libero, coraggioso.

Certo, anche per il cristiano, il Natale può diventare folklore, pura devozione o consumismo. Il Natale, invece, ha la forza in sé di cambiare sia la nostra vita sia il mondo, salvandoli.

A Natale, infatti, Dio si fa uomo e assume tutto l’umano. Sì, Dio si fa uomo! E questo ribalta sia l’immagine che l’uomo ha di Dio sia quella che l’uomo ha di sé, ecco la radicale conversione che ci viene richiesta.

A Natale accade l’improbabile e sembra una fiaba; troppo bello per essere vero… eppure è vero!

Ilario di Poitiers, uno dei grandi padri della Chiesa, proclama: ”L’invisibile, Colui che non può essere contenuto in nessuno umana realtà, Colui che non si può vedere, sentire e toccare, ecco, è nel giaciglio stretto da fasce… Colui, per mezzo del quale l’uomo è stato fatto, non aveva bisogno di diventare uomo; mentre noi avevamo necessità che Dio diventasse uomo e abitasse in noi… assumendo l’umanità, venisse dentro di noi” (Ilario di Poitiers, Lodi alla Madonna).

Con Papa Benedetto e Papa Francesco diciamo che Dio non può essere ridotto a un’etica o a una delle tante filosofie; al contrario, Dio si dona a noi perché Dio è colui che ci viene incontro e, in modo incessante, ci ricerca fino a farsi uomo, fino a prendere una carne umana.

Dio è Colui che cerca l’uomo per fare comunione con Lui; Dio viene incontro all’uomo e l’appuntamento tra Dio e l’uomo avviene in Maria di Nazareth, la Vergine Madre.

A Natale salta ogni schema e Dio entra in rapporto con l’uomo, in maniera inimmaginabile, come Lui vuole; a Natale Dio va oltre quello che l’uomo può pensare.

Dio – questo è il Natale – ci incontra nel modo più umano. L’uomo diventa la passione di Dio e nell’incarnazione Dio incontra l’umanità nel modo estremo, definitivo, totale; tutta l’umanità, ogni uomo, tutti i popoli, ogni cultura. Tutto viene sanato, salvato e reso felice dal Bambino di Betlemme.

A Natale realmente, e in modo visibile, scopriamo che l’uomo interessa a Dio e Dio, nascendo bambino, si fa carico di “tutto” l’uomo. “Tutto” l’uomo: concepimento, nascita, vita, morte. Tutto l’uomo entra a far parte della sfera divina; Dio si riveste di carne umana e così assume una storia pienamente umana.

Ogni uomo – per quanto dimenticato, per quanto povero, per quanto discriminato – non può però esser espropriato della propria umanità. Potrà esser umiliato e potrà essere violato nel modo più disumano, ma l’uomo rimane sempre tale. E Dio è, alla fine, più forte di ogni ingiustizia e di ogni prevaricazione.

A Natale la scelta di Dio colma ogni discriminazione contro l’uomo e ogni popolo. A Natale la vicinanza di Dio ad ogni uomo dimenticato e disprezzato è più forte del crimine più terribile. Per usare l’espressione cara a Papa Francesco: Dio è più forte di ogni tentativo di scarto. Per Dio farsi uomo vuol dire raggiungere tutti gli uomini, nessuno escluso.

A Natale Dio raggiunge ogni uomo e ogni popolo, anche i più abbandonati e vilipesi. Non si dà, così, più razza o popolo esclusi dal gesto di Dio. Se Dio si rende presente nell’umanità, allora, nessuno più potrà sentirsi escluso e potrà escludere nessuno; non c’è colore della pelle, non c’è lingua, non c’è cultura, non c’è razza, non c’è continente che non entrino nell’abbraccio di Dio e dei suoi discepoli.

Secondo tale logica dobbiamo intendere il Vangelo secondo Matteo sul giudizio universale: «“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti… risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? …straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? … malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”.  …risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”»  (Mt 25,34-40).

A Natale, allora, siamo invitati a guardare il Bambino – il Dio che si fa uomo – e tirarne le conseguenze, secondo le nostre concrete e reali possibilità: aprirci all’uomo.

“Accogliere” non vuol dire fare ciò che è impossibile ma ciò che è nelle nostre possibilità di fare e questo, ovviamente, ci chiama a responsabilità! Ci sarà chiesto quello che potevamo fare; niente di più, niente di diverso.

Così il povero, grazie alla sua povertà, arricchisce il ricco non perché un giorno il povero potrà restituire magari con gli interessi – anzi, probabilmente, non potrà mai restituire… – ma perché, con la sua povertà, dà occasione a chi possiede di compiere gesti di gratuità e benevolenza che lo arricchiscono in umanità ma soprattutto nella carità.

La carità è, infatti, la vera ricchezza che né ruggine né tarme possono consumare (cfr. Mt 6,19) e che permane sia nel tempo sia nell’eternità; il povero, in tal modo, arricchisce il ricco.

Gesù viene per incontrarci nella povertà delle povertà, la povertà per eccellenza: il peccato, da cui si origina ogni altra povertà, dentro e fuori dell’uomo. Nel libro della Genesi il dialogo tra Dio, Adamo, Eva e il serpente ne è l’attestazione chiarissima (cfr. Gen 3,8-24).

La povertà è materiale e spirituale e Gesù è l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, con tutti i ricordi e le suggestioni che tali parole portano in sé dall’Antico Testamento. E, fra poco, nei riti di comunione, sentiremo ripetere: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo…”.

E, giova ricordarlo, è esattamente nel peccato del mondo che sono inscritte e contenute tutte le varie povertà.

Il Natale, quindi, porta in sé questo paradosso: il povero arricchisce il ricco. Chi dona a un povero, infatti, “fa un prestito al Signore” (Prv 19,17) e Dio non dimentica mai di restituire.

Nel Natale siamo così invitati a incontrare ogni povero con una fede che si fa amore, ossia con opere di misericordia spirituali e corporali. Sì, perché la pienezza della fede è l’amore.

A tutti auguro un Natale in cui l’improbabile accada, come duemila anni fa a Betlemme, ossia che la Vergine diventi Madre, che il Figlio eterno di Dio diventi Figlio dell’uomo, che i poveri arricchiscano i ricchi e che i pastori – gli ultimi della scala sociale del tempo – diventino i primi annunciatori di quella che è la notizia per eccellenza della storia: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che Egli ama” (Lc 2,14).