Omelia del Patriarca nella S. Messa con gli “Adoratori per la Vita” nella cappella dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre (25 ottobre 2018)
25-10-2018

S. Messa con gli “Adoratori per la Vita” nella cappella dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre

(25 ottobre 2018)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

abbiamo ascoltato dal Vangelo (cfr. Lc 12,49-53) come Gesù non sia venuto a portare la pace ma la divisione. Se non fosse benintesa tale affermazione, rischierebbe d’esser stravolta e si farebbe di Gesù un guerrafondaio o – nella migliore delle ipotesi – un guerrigliero. Nulla di tutto questo!

Gesù, al contrario, è mite e umile di cuore e ci chiede di imitarlo proprio in queste virtù (cfr. Mt 11,29). Il punto, allora, è un altro: Gesù – nel Vangelo secondo Luca – intende porre una questione che, molte volte, è tralasciata pur essendo discriminante.

Siamo chiamati a costruire la pace e ad impegnarci per arrivare all’unità ma interpellandoci sempre su quale fondamento vogliamo costruiamo la pace o edificare l’unità, perché una pace ingiusta o un’unità fondata sulla menzogna sono la negazione di ogni pace e unità. Si possono dare, infatti, una pace ingiusta e un’unità fittizia.

La pace e l’unità non sono in sé “assoluti” ma il frutto di scelte giuste e vere che domandano d’ esser “verificate”, ossia rese vere. Non bastano, infatti, scelte sincere perché la sincerità – che è atteggiamento soggettivo – chiede ancora d’esser verificato da una obiettiva corrispondenza al vero.

Un tema su cui si può cadere in una forma di facile riduzionismo è proprio quello dell’accoglienza quando si tratta della vita nascente.

Dobbiamo interrogarci, innanzitutto, su un punto: da dove inizia l’accoglienza? Talvolta, per escludere qualcuno, si ricorre ad artifici verbali non rispondenti alla realtà; penso a quelle espressioni che tendono ad insinuare a dire che la vita inizia non al momento del concepimento ma in una fase successiva, servendosi appunto di accorgimenti linguistici e, insomma, di parole.

Dal momento in cui si accende la vita, la vita è presente e chiede, quindi, d’esser accolta, rispettata e amata con tenerezza senza “se” e senza “ma”.

Papa Francesco, spesso, ritorna alle notissime parole di Caino che hanno determinato a costruire la storia dell’umanità: “Sono forse io il guardiano di mio fratello?” (Gn 4,9). Caino per la Bibbia è il primo omicida della storia.

Il comandamento “non uccidere” – quando è riferito alla vita nascente – costituisce la prima e più radicale accoglienza che si possa pensare, perché è relativa all’inviolabilità della vita. Tale comandamento risuona al centro delle dieci parole del Sinai, le dieci parole che stanno alla base della Alleanza, ossia della vera pace e della vera unità fra Dio e gli uomini (cfr. Es 24,38). In esse si proibisce, innanzitutto, l’omicidio.

Papa Francesco recentemente è ritornato con forza, in modo chiarissimo, sul rispetto della vita nascente – e per questo è stato anche contestato – nel testo che segna, in un certo senso, le linee del pontificato: l’Evangelii gaudium.

Ecco le sue parole: «Proprio perché è una questione che ha a che fare con la coerenza interna del nostro messaggio sul valore della persona umana, non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana» (Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 214).

Poi Papa Francesco precisa che bisogna impegnarsi di più per favorire l’accoglienza della vita soprattutto nei confronti di chi è provato da situazioni di obiettiva difficoltà. E, inoltre, rimarca come fino ad ora non si sia riusciti a fare quanto si sarebbe dovuto, accompagnando in modo adeguato quelle donne a cui l’aborto si presenta – o viene presentato – come la soluzione rapida alle loro difficoltà. E qui l’attenzione va riservata, particolarmente, alle donne che portano in sé un figlio frutto di violenza o concepito in un contesto di estrema povertà (cfr. Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 214).

Alcuni giorni fa abbiamo celebrato la memoria liturgica di san Giovanni Paolo II; desidero allora richiamare qui l’enciclica Evangelium vitae in cui fin da allora (era il 1995) si sottolineava quanto Papa Francesco ha poi ribadito, con forza, nell’Evangelii gaudium.

Mentre riascoltiamo quanto diceva san Giovanni Paolo II, gli domandiamo che ci ottenga di accompagnare con amore e verità quelle situazioni di fragilità che riguardano l’accoglienza della vita ed esorto, così, le comunità delle parrocchie e delle collaborazioni parrocchiali ad essere vive e attive in questo cammino di accoglienza della vita nascente.

«Le scelte contro la vita – scriveva san Giovanni Paolo II – nascono, talvolta, da situazioni difficili o addirittura drammatiche di profonda sofferenza… Tali circostanze possono attenuare anche notevolmente la responsabilità soggettiva… Tuttavia oggi il problema va ben al di là del pur doveroso riconoscimento di queste situazioni personali. Esso si pone anche sul piano culturale, sociale e politico, dove presenta il suo aspetto più sovversivo e conturbante nella tendenza, sempre più largamente condivisa, a interpretare i menzionati delitti contro la vita come legittime espressioni della libertà individuale, da riconoscere e proteggere come veri e propri diritti. In questo modo giunge ad una svolta dalle tragiche conseguenze un lungo processo storico, che dopo aver scoperto l’idea dei “diritti umani” – come diritti inerenti a ogni persona e precedenti ogni Costituzione e legislazione degli Stati – incorre oggi in una sorprendente contraddizione: proprio in un’epoca in cui si proclamano solennemente i diritti inviolabili della persona e si afferma pubblicamente il valore della vita, lo stesso diritto alla vita viene praticamente negato e conculcato, in particolare nei momenti più emblematici dell’esistenza, quali sono il nascere e il morire» (San Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium vitae, n.18)

La preghiera è la via per ottenere ciò che si fatica a raggiungere rimanendo sul puro piano del ragionamento, del dialogo e del confronto quando si trattano temi che, purtroppo, è difficile affrontare senza rimanere impigliati a visioni ideologiche o al pensiero unico e dominante che, sottilmente, s’insinua ovunque e condiziona.

Sì, la preghiera aiuti i cuori e le menti ad aprirsi a questa accoglienza prima e fondamentale, che viene prima di ogni altra accoglienza certamente doverosa.

Accogliere la vita umana, là dove essa palpita dal primo istante, il momento del concepimento, non è prerogativa che appartiene ad una determinata fede religiosa o comunità civile ma è qualcosa che avviene in nome e in forza della comune appartenenza all’umanità.

Un uomo è un uomo: è ciò che ci deve bastare! La vita umana è vita umana: è ciò che ci deve bastare!

Con questo semplice e universale principio si possono riconoscere i diritti degli altri uomini che vengono dopo quello che è il diritto primo: poter venire al mondo. Senza tale diritto ogni altro verrà meno.