Omelia del Patriarca nella S. Messa a Sotto il Monte Giovanni XXIII in occasione della peregrinatio dell’urna con il corpo di san Giovanni XXIII nella Diocesi di Bergamo (Sotto il Monte / Santuario “San Giovanni XXIII” - 2 giugno 2018)
02-06-2018

S. Messa a Sotto il Monte Giovanni XXIII in occasione della peregrinatio dell’urna con il corpo di san Giovanni XXIII nella Diocesi di Bergamo 

(Sotto il Monte / Santuario “San Giovanni XXIII” – 2 giugno 2018)

Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi,

in questa celebrazione dedicata alle famiglie desidero, innanzitutto, rivolgere un affettuoso pensiero a Papa Francesco che – nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia ci ricorda: «La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa…». E subito dopo afferma: «L’annuncio cristiano che riguarda la famiglia è davvero una buona notizia» (Papa Francesco, Esortazione apostolica Amoris laetitia, n.1).

Ringrazio il vescovo Francesco per l’invito a presiedere questa Eucaristia e faccio mie le Sue parole a riguardo della comunione fra Chiese particolari, espressioni concrete della Chiesa universale che vive nei differenti territori.

Un saluto cordiale va poi, oltre che alle famiglie qui convocate, agli amici dell’Avis che oggi vivono un momento significativo nel pellegrinaggio all’urna di San Giovanni XXIII; la testimonianza che voi date, col dono del sangue, è vera forma di inculturazione della fede oggi.

Viviamo questa Eucaristia, che ci fa già entrare nella solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, con la grande gioia che viene dal sentirci oggi ancor più uniti a san Giovanni XXIII le cui venerate spoglie sono in mezzo a noi nel contesto di una peregrinatio che, come un vero abbraccio di carità, ci tocca profondamente.

Tutti, per differenti motivi, siamo legati a san Giovanni XXIII. Oggi, in particolare, affidiamo ad Angelo Giuseppe Roncalli – che proprio qui, a Sotto il Monte, ebbe i suoi natali – tutte le famiglie.

San Giovanni XXIII durante la preghiera dell’Angelus dell’11 gennaio 1959 così diceva della famiglia: «Anche il Papa che vi parla è uscito, come voi, come tutti, da una casa: e pensa con intima commozione a ciò che valsero nell’animo suo di fanciullo gli esempi di pietà religiosa e di virtù domestiche trovati nella casa dove è nato. Ogni famiglia, infatti, fondata sull’operosità, sul mutuo rispetto, sul timor di Dio, è la forza e la robustezza dei villaggi, delle città, delle nazioni; è nucleo e fondamento di ogni virtù, difesa contro ogni pericolo di corrompimento, risorsa di sane e sempre nuove energie per il benessere dei singoli e del consorzio civile».

Nel testamento spirituale, redatto a Venezia il 29 giugno 1954 – quando era Patriarca -, Roncalli ricorda d’esser «nato povero, ma da onorata e umile gente», al punto di sentire il bisogno di scrivere: «Alla mia diletta famiglia “secundum sanguinem” – da cui non ho ricevuta alcuna ricchezza materiale – non posso lasciare che una grande e specialissima benedizione, con l’invito a mantenere quel timore di Dio che me la rese sempre così cara ed amata, anche semplice e modesta, senza mai arrossirne: ed è il suo vero titolo di nobiltà» (Giovanni XXIII, Il Giornale dell’anima e altri scritti di pietà, pag. 645, San Paolo 1989).

Come apprezziamo queste parole oggi, immersi in una società e in un contesto culturale che inventa formule sempre più “leggere”, “disinvolte” e “deboli” in ordine al matrimonio e alla famiglia e ci rimanda a ciò che un secolo fa, con acume, scriveva Charles Péguy: “C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moderno: è il padre di famiglia” (e noi possiamo anche aggiungere: la madre). Sì, è proprio così, dal momento che la società attuale – con le sue chiusure individualiste – fatica a comprendere o anche solo ad immaginare il valore del sì dell’uomo e della donna, un sì detto per sempre.

Papa Francesco, nell’esortazione Amoris laetitia sulla realtà e sulle sfide delle famiglie, così si è espresso: “…«bisogna (…) considerare il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto»” (Papa Francesco, Esortazione apostolica Amoris laetitia, n.33).

Come ricordano le parole del citato Angelus di Papa Giovanni, il matrimonio – oltre alla sponsalità – si apre alla paternità e alla maternità e per questo è atto sorgivo della famiglia, piccola chiesa domestica e cellula che fonda realmente la società. Tanto che, davvero, si può affermare che “il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa” (Papa Francesco, Esortazione apostolica Amoris laetitia, n.31).

Il nostro tempo è segnato – come detto – da un forte individualismo, incompatibile spiritualmente e pedagogicamente con la famiglia secondo il Vangelo; si dà così un conflitto col pensiero dominante ispirato da molti circuiti mediatici. Sempre più si usa il pronome “io” e sempre meno il pronome “noi”. La famiglia, dunque, risente di tante fragilità eppure rimane risorsa per la Chiesa e per la società.

Col matrimonio non si è più due “io” posti l’uno di fronte all’altro o l’uno a lato dell’altro, due “io” che, ogni tanto, si incontrano; piuttosto, si è chiamati a costruire un soggetto nuovo che – rispettando le differenti personalità e valorizzandone la reciprocità – costruisce un “noi” condiviso, da promuovere ogni giorno – come dice Papa Francesco – in modo “artigianale”.

Proprio attraverso tale cammino, l’uomo e la donna – in modo libero – si appartengono in modo nuovo. E così i due “io” sono uniti uno all’altro e, nello stesso tempo, s’impegnano per giungere alla pienezza del loro essere personale.

Il matrimonio è progetto di Dio, appartiene alla storia della salvezza, sia nell’ambito della creazione (reciprocità uomo-donna) sia della grazia (sacramento). Per Gesù il matrimonio appartiene all’uomo e alla donna, è costituito dalla loro promessa fedele ed esclusiva, si radica nel loro essere e ne esalta la reciprocità. Non è, quindi, realtà estemporanea che, di volta in volta, si lega arbitrariamente alla cultura dominante, destinata in poco tempo a passare; no, il matrimonio esprime l’essere stesso dell’uomo e della donna.

È bello, quindi, riscoprire la grandezza del matrimonio che – prima di tutto – è vocazione, è risorsa, è ricchezza per la Chiesa, il sacramento, e anche per la società civile dando vita alla famiglia, la cellula originaria.

Gesù, poi, ci rivela che nell’alleanza sponsale uomo-donna vi è un riflesso reale dell’alleanza fra Dio e Israele ma, soprattutto, fra Lui e la Chiesa sua sposa, per cui Egli ha dato se stesso amandola sino alla fine. Sì, il sacramento significa che l’uomo e la donna s’impegnano e si donano reciprocamente con tutto il loro essere (spirito, anima, corpo) in modo pieno e totale così da costituire un’unità di vita a partire dal dono delle loro persone; tale dono chiede d’esser vissuto come segno e realtà del Regno, ossia in Cristo; questo è il sacramento.

Col sacramento del matrimonio, il cristiano – ossia il battezzato/a – si trova in una situazione ecclesiale nuova; il sacramento del matrimonio dona, infatti, una reale novità in Cristo. E gli sposi cristiani sono chiamati a essere in maniera crescente, innanzitutto l’uno per l’altro, via privilegiata a Dio e, quindi, chiamati a scoprire e risvegliare nell’altro il volto di Dio.

Così – nonostante i propri limiti, le mutevolezze e il peccato – sono in Cristo sposi e, quindi, anche se talvolta non sembrano più esservi appigli umani, sempre sarà possibile e ragionevole attendere pazientando e, così, sull’esempio di Gesù Cristo, essere disponibili al perdono proprio in forza di quel “sì” detto in Cristo. Questo è il sacramento e la forza della grazia!

In tal modo, nonostante le povertà umane, si tratta di un “sì” detto in forza del sacramento che partecipa dell’amore di Dio. Mai, quindi, ci si deve chiudere e irrigidirsi nel solco di una ristretta prospettiva umana. In Cristo, infatti, si diventa finalmente capaci di un dono più grande, un dono d’amore, di perseveranza, di perdono, aprendosi al “per sempre” e al perdono evangelicamente dato “settanta volte sette” (cfr. Mt 18,22).

Ecco perché tutti ci dobbiamo interrogare e procedere ad un radicale capovolgimento, per cui io so che Gesù – Figlio di Dio – mi ama personalmente e condivide con me l’alleanza matrimoniale. Mi dà così la forza per amare, anche quando umanamente sembra non esservi più motivo. E c’è la grande risorsa della preghiera, che è benedizione particolarissima quando è la famiglia a pregare insieme.

Dovremmo riflettere di più su questo e, soprattutto, pregare di più. Il giovane Roncalli – quand’era in Seminario a Bergamo – a proposito dei pensieri e “fastidi di famiglia” osservava: «… io li ha rassegnati tutti al Cuore benedetto di Gesù, l’amor mio. Egli sa che io non desidero già ai miei cari ricchezza, piaceri, ma solo la pazienza e la carità» (Giovanni XXIII, Il Giornale dell’anima e altri scritti di pietà, pag. 133, San Paolo 1989).

L’amore sponsale, nel sacramento, non è semplice sentimento o solo atto di volontà, ma un lasciarsi raggiungere e portare dall’amore di Cristo; il sacramento del matrimonio è un piccolo ma realissimo riflesso dell’amore fedele di Cristo crocifisso per la sua Chiesa donato a un uomo e a una donna che si amano.

Nel sacramento si vive una relazione personale con Cristo e la libertà dell’uomo è sostenuta, arricchita e stimolata a donarsi ulteriormente dalla grazia stessa del sacramento. Ogni atto di fede e di amore provoca – “chiama fuori” – una nuova donazione: è la vita nuova di chi riceve la forza “vivificante” dallo Spirito. Così chi è sposato nel Signore ha detto il suo “sì” in Cristo e ama perché Qualcuno lo ama per primo e proprio da questo Amore nasce il suo amore.

Il sacramento del matrimonio – e, quindi, la vita della famiglia – è questo; tutto il resto è conseguenza.

Nel “Giornale dell’anima” – opera curata dal Cardinale Loris Capovilla (che ricordiamo con affetto a tre anni dalla scomparsa) – tornerà più volte l’esempio di virtù e di amore trasmesso e ricevuto in famiglia. Ancora nel testamento spirituale, già citato, scriveva: «La carità verso i poveri è una tradizione della nostra famiglia, di cui io conservo il ricordo fino dalla mia infanzia. Il farle onore attirerà anche per l’avvenire molte benedizioni» (Giovanni XXIII, Il Giornale dell’anima e altri scritti di pietà, pag. 651, San Paolo 1989).

Affidiamo dunque questa sera, a san Giovanni XXIII, il Vangelo del matrimonio e della famiglia affinché possa intercedere e ottenere le grazie di cui tutte le nostre famiglie hanno bisogno – specialmente quelle più segnate da fragilità e prove – e doni a ciascuno di poter testimoniare la gioia e la bellezza dell’amore fecondo fra l’uomo e la donna.

Proseguiamo, allora, questa Eucaristia nella solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo e lasciamoci guidare ancora dalle parole del santo Papa Giovanni XXIII che, anche stasera, ci spinge ad «una nota ripetuta (…) di adorazione a Gesù, Re immortale e glorioso dei popoli e dei secoli» e incoraggia il nostro spirito a «godere della soavità salutare della assicurazione infallibile del Divino Redentore e Maestro: Ecce ego vobiscum sum, io sono con voi!. Tale è, infatti, la Santa Eucaristia, sempre con noi nel quotidiano servizio della vocazione propria di ciascuno…» (Giovanni XXIII, Solennità del Corpus Domini, 21 giugno 1962).

Lasciamoci raggiungere dalla sua accorata preghiera: «Gesù, panis vere, unico e solo cibo sostanzioso delle anime, raccogli tutti i popoli (oggi potremo dire anche: raccogli tutte le famiglie) attorno alla mensa tua: essa è divina realtà sulla terra, è pegno di favori celesti, è sicurezza di giuste intese tra le genti, e di pacifiche competizioni per il vero progresso della civiltà. Nutrìti da Te e di Te, o Gesù, gli uomini saranno forti nella fede, gioiosi nella speranza, operosi nelle molteplici applicazioni della carità. Le volontà sapranno superare le insidie del male, le tentazioni dell’egoismo, le stanchezze della pigrizia…» (Giovanni XXIII, Solennità del Corpus Domini, 21 giugno 1962).

L’Eucaristia è sempre una sintesi tra celebrazione e adorazione. Quando celebriamo bene, sentiamo il bisogno di avere il tempo dell’adorazione. E quando adoriamo l’Eucaristia non possiamo non celebrarla. È la presenza e la realtà dell’ultimo e definitivo dono che il Signore ci ha fatto e che dice la qualità, la significanza (o l’insignificanza) di una Chiesa, di una comunità, di un vescovo, di un prete, di consacrati e di laici che vivono il loro battesimo.

Chiediamo al Signore d’esser Chiese e famiglie “eucaristiche” e, come ricorda l’apostolo Paolo – nella prima lettera ai Corinzi – di poter mangiare e bere sempre degnamente il corpo e il sangue del Signore (1Cor 11, 23-34).