Meditazione del Patriarca Via Crucis diocesana con i giovani dal Parco Albanese della Bissuola alla chiesa parrocchiale della Beata Vergine Addolorata (Mestre, 8 aprile 2017)
08-04-2017

Via Crucis diocesana con i giovani dal Parco Albanese della Bissuola alla chiesa parrocchiale della Beata Vergine Addolorata

(Mestre, 8 aprile 2017)

Meditazione del Patriarca mons. Francesco Moraglia[1]

 

 

Abbiamo scelto quest’anno un tragitto che ci ha immesso in una realtà importante e che riguarda molti giovani nella nostra città. Abbiamo attraversato un parco; un parco che dovrebbe essere un luogo di incontro, di svago, di dialogo, di arricchimento reciproco… Ma sappiamo anche che qui – in alcune ore del giorno, in alcuni spazi del parco e nelle sue adiacenze – ci sono giovani come voi che bruciano la loro vita ogni giorno.

Questo cammino con il Signore – perché la Via Crucis è un camminare col Signore – l’abbiamo fatto anche con loro e per loro. Forse ci guardavano da lontano, sorridendo, o forse incuriositi… alcuni forse ricordando che da bambini, nelle nostre parrocchie, nei nostri patronati, avevano ricevuto un messaggio diverso che poi non sono riusciti a custodire per fragilità o per delle “assenze” nella loro vita. Abbiamo inteso percorrere questa strada non per giudicare, ma per suscitare forse dei ricordi, una nostalgia…

Io ringrazio tutti voi che siete presenti, perché il primo dono che ci facciamo è l’essere presenti e sappiamo tutti che è facile trovare giustificazioni per non essere presenti… Potevate fare dell’altro, in questo sabato sera ormai nelle vicinanze delle feste, e invece siete venuti. Ringrazio in modo particolare i miei confratelli sacerdoti – i parroci, i cappellani – che vogliono bene alla loro gente e cercano di essere sempre presenti dove la loro gente va e partecipa. Ringrazio anche il sindaco, che ha voluto pregare con noi e ha voluto con noi percorrere questo tragitto; con noi ha voluto essere un segno.

Ringrazio anche chi ci ha aiutato in questa meditazione tra cui Francesca, che ci vede dal cielo: “Molti mi dicono che non sembro malata, da come reagisco.. E molti mi chiedono come riesco ad affrontare questa esperienza. Merito mio, del mio carattere, di mia madre che ha vissuto con me attimo per attimo questi anni? No: è grazie al Signore a cui mi sono sempre rivolta e affidata”.

Ringrazio i giovani della parrocchia che ci ospita, perché ci hanno ricordato che molte volte noi pensiamo alle cose che mancano invece di rimboccarci le maniche; piangiamo su quello che non c’è e non pensiamo ad andare incontro a chi ha lasciato e non frequenta più i nostri ambienti. Soprattutto ci hanno ricordato che il Signore chiama per nome: “Maria!”. E allora quella donna che prima piangeva s’illumina (cfr. Gv cap. 20). Chiedete al Signore di sentire il vostro nome pronunciato da Lui: la vita cambia. E allora non si piange più, come è successo ai due discepoli di Emmaus.

Troppe volte, cari ragazzi, siamo ripiegati su noi stessi… Forse abbiamo anche dei motivi per essere tristi e talvolta scoraggiati, ma la soluzione non è mai quella di piangerci addosso, anche se questa risposta è molta umana. La vera risposta è guardare al Signore, è’ avere un rapporto con Lui, è fare come Francesca che ha detto: “Lo sento presente nella mia camera, seduto sul mio letto, vicino a me, che mi parla”.

Ringrazio anche i giovani delle comunità parrocchiali di S. Maria del Carmelo e di S. Pietro Orseolo perché ci hanno offerto una parola che io voglio lasciare a voi; è una parola importante. Passi i giorni a studiare e l’esame ti va male, cerchi lavoro e nessuno ti risponde, contavi su una storia di amore con una persona e ti accorgi che tutto è finito… Davanti a queste situazioni bisogna saper ricominciare. Ricominciare dall’amore.

Cari ragazzi, l’amore di Dio ci chiede di camminare con le proprie gambe, anche a piedi nudi certe volte… Sì, certe volte il Signore ci chiede di camminare a piedi nudi sui sassi, sui rovi e sulle spine. Perché questo è il nome cristiano dell’amore: la croce.

E io, allora, vi pongo una domanda: quando guardate la croce, quando la volete prendere sul serio, che cosa genera e produce in voi? Paura, forse? Speriamo che non mi tocchi e, se ci sono in mezzo, speriamo che passi presto?

Non condanniamo questi stati d’animo, certo, ma capite che sono ancora troppo umani. Sono solo umani.  La croce è capire che in quei momenti nella nostra vita come è avvenuto nella Sua – anche Gesù, infatti, ha detto: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!» (Lc 26,39) – ci stiamo salvando e stiamo salvando gli altri.

Il tempo della croce è il tempo in cui impariamo a vedere, a capire, a gustare le cose in modo diverso. È il momento in cui impariamo anche quelle parole che potremo dire un domani a chi attraverserà la stessa strettoia.

Guardate: il Signore poteva salvare il mondo in mille altri modi. Ma ha scelto la croce. E allora qui c’è la risposta a tante domande: certo, non sono risposte facili, ma sono le risposte che Dio ha dato al mondo.

Cerchiamo di porci queste domande, poniamoci queste domande nei nostri gruppi, poniamoci queste domande anche quando siamo insieme agli altri, perché allora scopriremo un’umanità diversa. Non un’umanità che nasce al di fuori di noi, ma un’umanità che nasce da noi.

Buona Settimana Santa a tutti!

[1] Il testo, non rivisto dall’autore, riporta la trascrizione dell’intervento pronunciato dal Patriarca in tale occasione e mantiene volutamente il carattere colloquiale e il tono del “parlato” che lo ha contraddistinto.