Meditazione del Patriarca alla Via Crucis diocesana con i giovani (Chirignago, 23 marzo 2013)
23-03-2013

Via Crucis diocesana con i giovani

 

(Istituto Don Orione / Chiesa parrocchiale di S.Giorgio – Chirignago, 23 marzo 2013)

 

 

Meditazione del Patriarca mons. Francesco Moraglia [1]

 

 

 

 

 

 

‘Quando camminiamo senza la croce, quando edifichiamo senza la croce, quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore. Siamo mondani, ma non discepoli del Signore’. Ho voluto riprendere queste parole del Papa Francesco perché ci riportano al cuore del Vangelo. San Paolo ci ricorda che siamo stati battezzati nella sua morte, cioè siamo sepolti insieme con Cristo. La croce è, allora, esplicitare il nostro battesimo. La croce per il cristiano è una risorsa, anche quando avremo pochi istanti di vita, anche quando sapremo che non arriveremo a domani… La croce, cioè il Risorto, ci permette di non disperare. La croce per il cristiano è una risorsa, è un valore nuovo alla vita.

 

La Via Crucis di questa sera era costruita sulla testimonianza di tre cristiani che hanno saputo rilanciare la croce nella loro vita. Noi abbiamo bisogno di vedere persone che si lasciano afferrare dalla croce e che danno un senso nuovo alla loro vita a partire dalla croce. La croce è l’ora di Gesù, la croce è il cuore del Vangelo: gli esperti ci dicono, infatti, che i Vangeli nascono inizialmente come racconti della Passione del Signore; poi hanno delle aggiunte, hanno delle esplicitazioni, ma i vangeli hanno un cuore, hanno una radice. È la croce gloriosa di Cristo.

 

Noi dobbiamo pensare cristianamente la croce. E la croce pensata cristianamente è il Risorto. Ma il Risorto appare sempre portando nella sua carne gloriosa i segni dei chiodi, i segni delle ferite. La croce come sapienza del vivere della Chiesa: la Chiesa e il mondo hanno bisogno di persone che rilanciano nella loro vita la croce di Cristo.

 

Abbiamo ascoltato le testimonianze di Shahbaz Bhatti, di père Christian de Chergé e di Annalena Tonelli: mi richiamavano la spiritualità di Francesco d’Assisi che va ai poveri perché ha incontrato Cristo. Francesco sarà santo non perché va ai poveri, ma perché incontrando Cristo va ai poveri secondo quella povertà che non è una scelta sociologica, ma è apertura ad un amore che chiede di accorgersi innanzitutto delle persone che non sono amate.

 

Dobbiamo cercare di andare alla scuola del Vangelo e cioè alla scuola del Crocifisso, alla scuola del Risorto. C’è un cammino di educazione alla croce: io accolgo veramente la vita come un dono quando la so donare, non prima. E allora devo cercare degli spazi di gratuità e di dono, nella mia vita, per poter dire che la sto accogliendo come un dono.

 

La scuola della croce, educarsi alla croce, è aprirsi al perdono. Fare il primo passo.  E ci si educa al perdono quando non si è solo attenti ai nostri diritti, quando si riesce ad avere un cuore largo pur sapendo di aver ragione, quando si rinuncia volontariamente a qualcosa a cui potrei non rinunciare… Questa è la logica della croce.

 

La croce non è una disgrazia e non dobbiamo pensare alla croce come ad una iattura: ‘Peccato che sia finita così, mi sarei immaginato un Cristo vincitore delle vittorie umane…’. Ma questo è Giuda Iscariota che, ad un certo punto, non sa più che farsene di Gesù, a cominciare da quando Gesù – secondo la cronologia di Giovanni un anno prima della morte – annuncia loro l’eucaristia. L’eucaristia è il grande luogo della croce: il convivio sacrificale, il sacrificio conviviale. L’eucaristia, non dimentichiamolo la domenica è sempre un fatto di sangue, perché l’eucaristia è il corpo dato ed è il sangue effuso.

 

‘Io vorrei – riprendo ancora Papa Francesco – che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la croce del Signore, di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla croce, e di confessare l’unica gloria, Cristo crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti”. Fino alla fine della storia dell’umanità ci sono e ci saranno uomini crocifissi: crocifissi dalle malattie, crocifissi dalla povertà, crocifissi dalla maldicenza, dalla calunnia, dall’ingiustizia… Cerchiamo di essere quella parte dell’umanità che non lascia soli questi crocifissi. Bisogna che la croce diventi un sapere di vita, diventi un modo di pensare, diventi uno stile per le nostre comunità e per ciascuno di noi.

 

La Settimana Santa – con la sua ricchezza di segni, di parola di Dio, di silenzi, di gesti liturgici, di adorazione – sia un cammino di comprensione verso la croce gloriosa, verso il Risorto.

 

 


[1] Il testo – non rivisto dall’autore – riporta la trascrizione dell’intervento pronunciato dal Patriarca in tale occasione e mantiene volutamente il carattere colloquiale e il tono del ‘parlato’ che lo ha contraddistinto.