Intervento del Patriarca in “Venezia, pane e religione: 1600 anni di lievito di pace, di cultura e di futuro” - Dialogo tra esponenti delle comunità cristiane sul valore sacro e sociale del pane (Mestre – Chiostro del Museo M9, 25 settembre 2021)
25-09-2021

 “Venezia, pane e religione: 1600 anni di lievito di pace, di cultura e di futuro” – Dialogo tra esponenti delle comunità cristiane sul valore sacro e sociale del pane

(Mestre – Chiostro del Museo M9, 25 settembre 2021)

Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Rivolgo il mio saluto ai fratelli nella fede cristiana – l’Archimandrita Athenagoras Fasiolo, Vicario del Metropolita Polykarpos, e padre Hamazasp Vartabed Kechichian, Vicario abbaziale di S. Lazzaro degli Armeni – e saluto anche le autorità che hanno voluto essere presenti e gli organizzatori della Confcommercio, in particolare il vicedirettore Francesco Antonich che modera questo dialogo che ci pone di fronte all’universalità del pane che contraddistingue e accompagna molte civiltà (quella cristiana in modo speciale), molte città (anche Mestre di cui ricordiamo in questi giorni il patrono) e la vita di ogni persona, famiglia e comunità.

Forse non ci facciamo più caso, ma è significativo che le parole “compagnia” / “compagno” – che indicano comunemente legami e situazioni di amicizia e affetto – hanno un’origine precisa; vengono dal latino “cum panis”, ossia “compagno” e “compagnia” rimandano alla condivisione dello stesso pane, partecipando a quello che è il gesto fondamentale nella vita, il nutrimento. Chi mangia lo stesso pane è compagno, è una compagnia.

Sì, c’è il pane materiale ma anche quello spirituale, della cultura, della socialità, dei valori condivisi. E coloro che mangiano lo stesso pane, inevitabilmente, “condividono anche la vita con tutto ciò che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze” (Mario Rigoni Stern).

 La “compagnia” e, in fondo, la stessa storia degli uomini nasce da questa condivisione fondamentale e profonda, capace di riunire nel presente e di progettare un buon futuro, magari a partire proprio da una condivisione che inizia o a tavola o davanti ad un pezzo di pane.

Il pane chiama, insomma, a raccolta e ad unità, anche perché nasce da un processo di comunione ed è frutto di una ricreata e ritrovata unità: tante spighe, tanti chicchi di grano… poi, alla fine, un unico pane, pur in forme e con sapori differenti.

Il pane richiama la vita ed è rinvio continuo alle realtà fondamentali dell’esistenza. E non è un caso che Gesù lo abbia voluto far entrare nella preghiera per eccellenza, il “Padre nostro” – con la richiesta “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” – e sia divenuto anche elemento essenziale dell’Eucaristia, ossia la “compagnia” di Gesù con l’uomo, ovvero la comunità cristiana/la Chiesa.

Gesù stesso dice d’essere Lui il vero pane – “il pane della vita” (Gv 6,48) – e questo è il culmine dell’incarnazione di Dio che, in Gesù, si fa uomo: “…il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14).

Qui c’è tutta la concretezza e il realismo della fede cristiana, altro che la religione intesa come oppio dei popoli o realtà consolatoria ed estraniazione dal mondo! Dio fa sua la debolezza e la fragilità dell’uomo, diventa una cosa sola con l’uomo e per tutta l’umanità Gesù dona la vita sulla croce e prima di questo atto, come sappiamo, nell’ultima cena Gesù anticipa ritualmente il mistero della sua morte. E per tutto questo utilizza proprio il pane: “Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me»” (Lc 22,19).

Perché proprio il pane? Perché il pane era il cibo di tutti e per tutti. E quindi Gesù ci ha detto: senza tale gesto non potete vivere, come non si può vivere se non ci si nutre.

 Il pane diventa così segno della Sua vita offerta per gli uomini, anzi il pane col vino è reso il sacramento della Sua presenza in mezzo a noi, l’Eucaristia, che ogni giorno celebriamo e adoriamo.

“Verbum caro, panem verum / verbo carnem efficit” (“Il Verbo fatto carne cambia con la sua parola il pane vero nella Sua carne”) proclama l’inno antichissimo “Pange lingua” – composto nel sesto secolo da Venanzio Fortunato e ripreso alcuni secoli dopo da Tommaso d’Aquino – ancor oggi cantato per raccontare l’atto eucaristico costitutivo. La Parola genera il Sacramento, dalla Parola all’Eucaristia: è la salvezza dell’uomo questo pane che è il Suo corpo, un pane di benedizione, un pane spezzato in riscatto per molti, un pane che redime e riunisce.

Gesù ha scelto il pane come segno reale per “rimanere” in mezzo a noi in modo che sia il cibo fondamentale della nostra vita spirituale come lo è il pane per la vita fisica. Da quel pane e dal comando del Signore (“Fate questo in memoria di me”) nasce e si forma la Chiesa e la domenica, che è il giorno del Signore e della comunità, il giorno dei legami fondamentali da coltivare sempre. La domenica è, per eccellenza, il giorno eucaristico!

È interessante ricordare che i cristiani, sin dai primissimi tempi, sono identificati come coloro che si ritrovano per “spezzare il pane”. Il libro degli Atti degli Apostoli presenta le prime comunità in questo modo: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” e ancora “Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo” (At 2,42.46). C’è, dunque, una fedeltà associata a questo pane da spezzare insieme, a questo sacramento da celebrare insieme.

Da come nasce e si confeziona il pane sant’Agostino ha tratto ispirazione per indicare coloro che diventano cristiani ed hanno intrapreso la via del discepolato: “Questo pane predica la vostra storia. È spuntato come il frumento nei campi. La terra lo ha partorito, la pioggia lo ha nutrito e lo ha aiutato a maturare e a diventare spiga. La fatica umana lo ha condotto sull’aia, lo ha trebbiato, raccolto, deposto nel granaio, trasferito al mulino. Lo ha macinato, impastato, cotto. Tenete a mente che simile è anche la vostra storia. Neppure voi esistevate prima di essere stati creati, siete stati condotti sull’aia del Signore, vi hanno trebbiato con le loro opere […] i predicatori del vangelo. Poi vi siete messi in fila per il battesimo. Vi siete sottoposti al carico del digiuno e alle pratiche di cacciata del male. Siete arrivati fino al fonte battesimale. Siete stati impastati diventando così un’unica pasta. Siete stati cotti nel forno dello Spirito Santo diventando così vero pane divino” (Agostino d’Ippona, Discorsi n.229).

Il pane, oltretutto, rimanda ad un senso di attesa e di preparazione. Prima di arrivare al prodotto finito, infatti, ci sono dei tempi da rispettare e anche dei terreni specifici di semina – ricordiamo la parabola del seminatore -, ci sono i momenti della mietitura – “…alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4,45) – e quelli di lavorazione e d’impresa umana che preludono alla fecondità e produttività finale ma che vanno sempre seguiti con attenzione.

Il pane, allora, richiama virtù precise: la perseveranza, la costanza (come l’agricoltore di cui parla la lettera di Giacomo che “aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge” – Gc 5,7) e la speranza che è, appunto, l’attesa operosa, una virtù umana, sociale e civile che non sempre siamo capaci di praticare.

Che cosa dice, in conclusione, il pane ai cristiani ma anche a tutti gli uomini? Ritorniamo alla domanda del “Padre nostro” – “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” – e raccogliamo anche una bella riflessione del Santo Padre su questo punto: “Il pane che il cristiano chiede nella preghiera non è il “mio” ma è il “nostro” pane. Così vuole Gesù. Ci insegna a chiederlo non solo per sé stessi, ma per l’intera fraternità del mondo. Se non si prega in questo modo, il “Padre nostro” cessa di essere una orazione cristiana (…). Questa preghiera contiene un atteggiamento di empatia, un atteggiamento di solidarietà. Nella mia fame sento la fame delle moltitudini (…) Il pane che chiediamo al Signore nella preghiera è quello stesso che un giorno ci accuserà. Ci rimprovererà la poca abitudine a spezzarlo con chi ci è vicino, la poca abitudine a condividerlo. Era un pane regalato per l’umanità, e invece è stato mangiato solo da qualcuno: l’amore non può sopportare questo. Il nostro amore non può sopportarlo…”

E ancora: “L’orazione cristiana comincia da questo livello. Non è un esercizio per asceti; parte dalla realtà, dal cuore e dalla carne di persone che vivono nel bisogno, o che condividono la condizione di chi non ha il necessario per vivere… “Padre, fa’ che per noi e per tutti, oggi ci sia il pane necessario”. E “pane” sta anche per acqua, medicine, casa, lavoro… Chiedere il necessario per vivere” (Papa Francesco, Catechesi sul Padre nostro all’udienza generale del 27 marzo 2019).

Pane e realismo nella vita, pane e capacità di accogliere un dono che viene dall’alto e capacità di saperlo lavorare con le doti e le risorse umane richieste: pane e tenacia / costanza / perseveranza, pane e speranza / attesa, pane e convivialità, pane e condivisione, comunione, unità tra differenti.

A tutto questo, anche oggi, il segno semplice ed elementare del pane sollecita ciascuno di noi nel realizzare le nostre vite personali e quelle delle nostre famiglie insieme al futuro della società, dell’economia, del lavoro, delle nostre città.