Intervento alla Festa del Creato (Altino, 1 ottobre 2017)
01-10-2017

Festa del Creato (Altino, 1 ottobre 2017)

Intervento del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

“L’ardente aspettativa della creazione (…) è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità (..) nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati” (Rm 8, 19-24).

A questa aspettativa, a questa grande speranza – che riguarda tutti noi, figli di Dio amati e salvati – è legato e allude certamente il nostro ritrovarci qui anche quest’anno per la Festa del Creato. Sì, “Tutto l’Universo attende”.

Attende, innanzitutto, l’impegno dei cristiani chiamati a ricordarsi ogni giorno e a ribadire che “il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ n. 12). E perciò da custodire e ri-creare continuamente.

Sono contento che abbiate messo la riflessione e, soprattutto, l’attualizzazione dell’enciclica Laudato si’ al centro della vostra e della nostra attenzione (in questa giornata e non solo…) in quanto – come afferma Papa Francesco in questo testo – le convinzioni di fede offrono ai cristiani “motivazioni alte per prendersi cura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili. Se il solo fatto di essere umani muove le persone a prendersi cura dell’ambiente del quale sono parte, «i cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede». Pertanto, è un bene per l’umanità e per il mondo che noi credenti riconosciamo meglio gli impegni ecologici che scaturiscono dalle nostre convinzioni” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ n. 64).

E’ interessante notare come le riflessioni del Papa sull’ambiente, sulla cura della casa comune, ci riconducono di continuo alla centralità del elemento “umano”, del valore e della dignità dell’uomo che deve risaltare in ogni azione e in ogni momento, anche negli aspetti di vita economica, finanziaria e sociale dove pure la tecnica, l’efficacia, la legge dei numeri hanno la loro parte. Viene, infatti, ribadito qui quello che già il Concilio Vaticano II sosteneva: “L’uomo è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Gaudium et spes n. 63).

Papa Francesco ci rimanda così all’esigenza di un’ “ecologia integrale” che tiene conto, oltretutto, del fatto vi è una “particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà. Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ n. 139).

In questo contesto mi permetto di suggerirvi la ripresa di un testo rivelatosi “profetico” e di cui ricorre quest’anno il 50° anniversario della promulgazione. Mi riferisco alla lettera enciclica Populorum progressio di Papa Paolo VI.

Mi chiedo spesso, in questo periodo: se si fosse dato maggior ascolto a quanto Paolo VI scriveva nel lontano 1967, prima che si affermasse la globalizzazione e prima che le migrazioni assumessero le attuali dimensioni, ci troveremmo oggi nella drammatica situazione che siamo chiamati ad affrontare e in cui l’Italia, l’Europa e anche tanti organismi internazionali mostrano tutta la loro difficoltà e impreparazione?

In quegli anni diventava evidente il fatto che la giustizia non poteva più caratterizzarsi unicamente a livello personale o di sole classi sociali; la questione sociale diventava così planetaria mentre sempre più si approfondiva la frattura tra Nord e Sud del pianeta.

“Oggi il fatto di maggior rilievo, del quale ognuno deve prendere coscienza – scrive Paolo VI – , è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale… Si tratta di un insegnamento grave che esige una applicazione urgente. I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore all’appello del suo fratello” (Paolo VI, Lettera enciclica Populorum progressio n.3).

Ricordo anche l’insegnamento socio-economico del beato Giuseppe Toniolo per il quale l’etica non può mai rimanere esterna all’economia; l’economia è sempre, infatti, in funzione dell’uomo. Ed esiste una economia dal volto umano che è attenta all’uomo, impegnata a far sì che l’uomo raggiunga il suo fine e risponda sempre più alla vocazione personale. Secondo tale prospettiva, non si può spiegare l’economia rimanendo unicamente alle formule, ai numeri, alle statistiche. Insomma, escludendo l’etica non si può parlare di sviluppo degno dell’uomo; infatti, in quanto immagine di Dio, l’uomo è il centro di tutto e, quindi, anche del discorso economico.

La socialità, l’etica e la religione sono, insomma, fra loro congiunte e questo permette di superare una visione riduttiva e solo tecnica dell’economia e, prima ancora, della società; si perviene a una visione obiettivamente concreta dell’economia, non astratta, in cui si considera l’uomo che – in quanto persona – è primo fruitore dell’economia.

Col passare del tempo è diventato comune parlare di “sviluppo umano” e di “capitale umano” intendendo, con tale espressione, che l’uomo è la risorsa che deve inserirsi, secondo la sua specificità, in ogni momento del ciclo lavorativo.

Ebbene proprio Paolo VI, ci ha regalato in quel testo di 50 anni riflessioni importanti e, appunto, profetiche. L’impianto dell’enciclica Populorum progressio è semplice e lineare, presenta due grandi sezioni non a caso intitolate: “Per uno sviluppo integrale dell’uomo” e “Verso lo sviluppo solidale dell’umanità”.

Significativo è poi il paragrafo intitolato “Visione cristiana dello sviluppo”; in esso si tratta dello sviluppo di tutto l’uomo che mai può esser ridotto a pura crescita e, tanto meno, a crescita solo economica. L’uomo, qui, è considerato non come astrazione o realtà solitaria ma inserito nel contesto sociale e ambientale al quale appartiene, come “parte” dell’intera umanità.

Osserva in proposito Paolo VI: “Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Com’è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto: “noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera” (Paolo VI, Lettera enciclica Populorum progressio, n.14).

Insieme all’idea di un progresso che non escluda nessuno – aperto a “tutti gli uomini” – si deve così porre attenzione anche alla qualità dello sviluppo. Qui è in causa la crescita integrale dell’uomo, un vero umanesimo che – per esser realmente tale – deve riconoscere la totalità dell’uomo.

E tale progresso non potrà coincidere con progetti solo economici e, in particolare, col progetto capitalistico finalizzato al profitto, a prescindere da quale sia il prezzo che si dovrà pagare, anche a costo di smarrire i valori specificamente umani.

La persona è insieme “identità e relazione” e, quindi, un “tutto” strutturato anche “socialmente”: l’uomo non è mai un’isola. Di fatto, un uomo “solo” non esiste; è pura astrazione, concretamente non si dà.

Si può quindi parlare di un vero sviluppo sociale e umano, di una vera “cura” dell’ambiente complessivo del nostro universo se prendiamo le distanze da ogni forma di “riduzionismo”, iniziando da quello economico; l’uomo che non ha potuto giungere a una sufficiente formazione culturale e spirituale non potrà esprimersi sul piano umano, con categorie e linguaggi idonei, nello stesso modo in cui l’uomo denutrito sul piano fisico, essendo privo di forza e vitalità, non potrà vivere.

Emerge la necessità di una formazione umanistica in grado di esprimere valori morali, spirituali, cristiani, fondati sulla ragione che è il mezzo più idoneo per incontrare chi non appartiene alla nostra cultura e ha una fede diversa dalla nostra. Il mondo ha bisogno di uomini in grado di elaborare un pensiero antropologicamente fondato e, allo stesso tempo,  saggiamente critico. Solo così le conoscenze tecnico-scientifiche – soprattutto in un epoca come la nostra, pervasa da una diffusa mentalità funzionalista – potranno essere aiutate e sorrette da un reale e vivace umanesimo fondato su Gesù Cristo: è il messaggio che la Chiesa Italiana ha voluto dare, con forza, nel Convegno Ecclesiale di Firenze nel novembre del 2015.

Tale umanesimo permetterà a noi uomini del Terzo Millennio di non smarrire la nostra umanità, ci consentirà di nutrirci e testimoniare valori realmente degni dell’uomo – e, quindi, umani e cristiani -, come cinquant’anni or sono richiedeva Populorum progressio. Avremo così la capacità di amare, la forza di instaurare rapporti di amicizia e guardare al bene sommo della libertà a partire dalla verità e dall’amore, incominciando dalla libertà che fonda ogni altra libertà, ossia la libertà religiosa.

“Ogni uomo – scrive ancora Paolo VI – è membro della società: appartiene all’umanità intera. Non è soltanto questo o quell’uomo, ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo plenario. Le civiltà nascono, crescono e muoiono. Ma come le ondate dell’alta marea penetrano ciascuna un po’ più a fondo nell’arenile, così l’umanità avanza sul cammino della storia. Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere” (Paolo VI, Lettera enciclica Populorum progressio n.17).

Il messaggio di Populorum progressio può esser racchiuso in una duplice affermazione: non vi è economia che attraverso l’uomo e per l’uomo; nessun uomo o popolo può essere deliberatamente escluso.

Ma, nel contesto di questa Festa del Creato, voglio consegnarvi il paragrafo dedicato alla destinazione universale dei beni: “…la Bibbia, fin dalla prima pagina, ci insegna che la creazione intera è per l’uomo, cui è demandato il compito d’applicare il suo sforzo intelligente nel metterla in valore e, col suo lavoro, portarla a compimento, per così dire, sottomettendola al suo servizio. Se la terra è fatta per fornire a ciascuno i mezzi della sua sussistenza e gli strumenti del suo progresso, ogni uomo ha dunque il diritto di trovarvi ciò che gli è necessario. Il recente concilio l’ha ricordato: “Dio ha destinato la terra e tutto ciò che contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, dimodoché i beni della creazione devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo la regola della giustizia, ch’è inseparabile dalla carità”. Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa: non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria” (Paolo VI, Lettera enciclica Populorum progressio n.22).

“Tutto l’Universo attende…“. Attende nella speranza, attende il nostro impegno, attende le nostre azioni concrete a favore dell’uomo e per la buona cura della casa comune. E alcune, immagino, le sentiremo tratteggiare più avanti con la presentazione di un “presidio permanente” sulla  Laudato si’. Ma attende anche con fiducia e con gioia.

Papa Francesco conclude così l’enciclica Laudato si’: “Alla fine ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio  e potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo, che parteciperà insieme a noi della pienezza senza fine (…) La vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati. Nell’attesa, ci uniamo per farci carico di questa casa che ci è stata affidata, sapendo che ciò che di buono vi è in essa verrà assunto nella festa del cielo. Insieme a tutte le creature, camminiamo su questa terra cercando Dio, perché «se il mondo ha un principio ed è stato creato, cerca chi lo ha creato, cerca chi gli ha dato inizio, colui che è il suo Creatore». Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ n. 12).