Primo corso di formazione dei volontari nelle carceri veneziane. L’intervento del Patriarca

Ufficio Stampa del Patriarcato

 Sabato 30 aprile 2022

 

PRIMO CORSO DI FORMAZIONE DEI VOLONTARI PER GLI ISTITUTI PENITENZIARI DEL PATRIARCATO DI VENEZIA

L’INTERVENTO DEL PATRIARCA IERI PRESSO LA SALA CONVEGNI DEGLI SCALZI

 

«La misericordia propriamente non fa parte del diritto, come qualcosa di esterno ad esso, ma rispettando le caratteristiche proprie del diritto consente di amministrare la giustizia in modo più umano. Questo perché c’è una amministrazione umana del diritto».

Il Patriarca Francesco Moraglia ieri, venerdì 29 aprile, è intervenuto al primo appuntamento di formazione per i volontari della Pastorale degli Istituti penitenziari del Patriarcato di Venezia. Il corso “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi” è promosso e organizzato dalla Pastorale degli Istituti Penitenziari, curata dal sacerdote diocesano don Antonio Biancotto.

Questo nuovo cammino di formazione è una felice “prima volta”, una novità, non solo nel Patriarcato di Venezia. Vi ha preso parte anche la direttrice del carcere maschile e femminile di Venezia, dott.ssa Immacolata Mannarella, insieme al Comandante delle Guardie Carcerarie e all’Educatore Capo Area.

L’incontro si è svolto presso la sala dei convegni del convento dei Carmelitani Scalzi di Venezia, ha avuto inizio il corso di formazione per i volontari degli istituti penitenziari del Patriarcato di Venezia. Un cammino che proseguirà fino a giugno di quest’anno, articolato in otto incontri, ogni venerdì, dalle 18.30 alle 20.

Il primo relatore del corso è stato proprio il Patriarca Francesco che, sviluppando il tema “Motivazioni spirituali del volontariato negli istituti penitenziari”, ha proposto la figura del venerabile Jacques Fesch, giovane laico francese, in causa di beatificazione, nato nel 1930 e morto per esecuzione della condanna capitale il primo ottobre del 1957 in un carcere parigino. Dopo aver subito un’infanzia difficile, con un padre violento e cinico, Jacques si avvicina alla malavita. Il padre giungerà anche a deporre ubriaco al suo processo. Questo testimone dimostra, per il Patriarca, come anche il contesto del penitenziario può esser un luogo di rinnovamento e rinascita: «Jacques, pur essendo imputato di gravi reati, compie un cammino di conversione reale, sviluppando un rapporto esemplare con i compagni di carcere e suscitando ammirazione, diventando un esempio per gli altri. Vi sono delle lettere tenerissime di lui alla moglie scritte dal penitenziario».

Per giungere a queste ripartenze, per Francesco Moraglia, chi esercita un servizio in carcere deve guardare in modo benevolo il detenuto e saper far rete con tutti: «Il volontario non deve identificare il detenuto con il suo passato e accompagnarlo a guardare invece alla dignità della sua persona e a tutte le componenti della sua umanità, per aiutarlo a compiere un cammino. In questo servizio il volontario deve saper dialogare con le altre competenze e professionalità presenti nell’istituto penitenziario, dalla direzione agli educatori, in modo da favorire la rieducazione del detenuto, nella consapevolezza che anche chi ha compiuto gravi delitti può riscattarsi. Il carcere può, e deve, essere un luogo di rinnovamento umano e spirituale delle persone».

Arrivare alla rieducazione è un cammino che presuppone, per il Patriarca, una adeguata comprensione di cos’è realmente la giustizia, in cui un elemento importante è l’esercizio della misericordia: «La misericordia propriamente non fa parte del diritto, come qualcosa di esterno ad esso, ma rispettando le caratteristiche proprie del diritto consente di amministrare la giustizia in modo più umano. Questo perché c’è una amministrazione umana del diritto. Dobbiamo parlare di giustizia “umana”. La giustizia rende un importante servizio all’uomo e alla società. Dell’uomo dobbiamo farci carico con lo strumento della legge e della sua corretta applicazione. Ma la giustizia, in quanto strumento umano e applicato da uomini, è fallibile. Nella misura in cui si riconosce fallibile e perfezionabile – infatti vi sono infatti leggi che possono e devono essere aggiornate e il giudice stesso è soggetto all’errore – per poter ristabilire l’ordine della giustizia dobbiamo guardare a tutto l’uomo, a 360 gradi, per ricostruire l’umanità e anche il senso di responsabilità, cominciando dal riconoscimento del male compiuto. La bontà della pena si misura in base al bene delle singole persone. Il bene comune deve riguardare, infatti, tanto al bene delle singole persone quanto quello della comunità».

Infine, per il Patriarca Francesco il penitenziario rimane la cartina al tornasole di un Paese: «Un carcere rimane sempre lo specchio per verificare se una società funziona. Lo Stato, per questo, nell’esercitare il suo compito di punire il condannato deve sempre guardare al dettato costituzionale che punta alla rieducazione (articolo 27). La giustizia deve essere realmente tale, adeguata al caso concreto, e che non sia né buonista né crudele, poiché in entrambi i casi non sarebbe vera giustizia. Domandiamoci allora: a quale sistema penitenziario consegniamo il condannato che deve fare un cammino? Si tratta di un vero accompagnamento? Si offre una vera rieducazione? Non è lecito trincerarsi dietro ai problemi strutturali del nostro sistema penitenziario, lasciando cadere le difficoltà su chi opera in carcere; si tratta, invece, di un tema che deve essere affrontate politicamente. Le carenze, molte volte, non sono di chi opera in carcere, per questo anche il volontario deve essere capace di “fare catena” e comunicare con altri, rispettando le regole e cooperando con tutti, a garanzia di tutti quelli che lavorano in una struttura penitenziaria».

Alleghiamo due foto dell’appuntamento.

 

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