25 aprile: l’omelia del Patriarca alla festa del patrono. San Marco, geniale annunciatore della “gioia dirompente del Vangelo”, con un linguaggio comprensibile a tutti

“Oggi, 25 aprile, Venezia e tutte le genti venete sono in festa e celebrano il loro santo patrono, le cui reliquie furono traslate in città – in modo avventuroso – nell’anno 828 da due mercanti: Buono da Malamocco e Rustico da Torcello. Secondo la tradizione, Marco avrebbe evangelizzato le nostre terre del Nordest e per questo Marco è il patrono delle genti venete e della Chiesa di Venezia ed è il titolare della Patriarcale Basilica Cattedrale. Ma, come sappiamo, Marco – oltre ad essere il nostro patrono – è autore del Vangelo che ne porta il nome; è lui che ha concretizzato il genere letterario detto, appunto, “vangelo”; euanghèlion significa semplicemente buona notizia. Per questo¸ dobbiamo nutrire verso di lui una particolare gratitudine. E proprio su questo punto desidero soffermarmi, perché il rischio di smarrire – almeno in parte – la gioia dirompente del Vangelo è reale da parte del credente, soprattutto oggi”: è iniziata così l’omelia del Patriarca Francesco Moraglia durante la messa solenne presieduta la mattina di lunedì 25 aprile a Venezia nella basilica cattedrale intitolata appunto al patrono S. Marco, alla presenza anche delle autorità civili e militari.

“Marco – ha proseguito mons. Moraglia – ci dice, per primo, che Dio fa visita all’uomo e ne provoca sia l’intelligenza sia il cuore. I Vangeli nascono, proprio, da tale esigenza: l’obbedienza a Cristo che manda i suoi a predicare la buona novella. E il mettere per iscritto la vicenda di Gesù, da parte della Chiesa, dice la volontà di non allontanarsi dai fatti, quando gli accadimenti non sono più vicini a chi li ha vissuti o li ha sentiti narrare. Marco, che rimane fedele a quanto ha ricevuto dalla Chiesa, esprime in modo geniale l’annuncio ecclesiale detto Vangelo. Lo stile di Marco è essenziale, è immediato… Tutto questo, però, non vuol dire che il nostro evangelista non sia abile narratore; è vero il contrario. I discorsi di Marco, infatti, esprimono bene la cifra della concretezza e vivacità; l’uso del verbo è frequentemente al presente e ciò dà vivacità, ritmo, attualità. In ogni modo, Marco – all’interno del  suo stile personale – possiede uno sguardo teologico profondo con cui rilegge la vita di Gesù nella prospettiva della Pasqua. Col genere letterario “Vangelo”, Marco dice la sua volontà e il suo impegno ad annunciare Gesù e ci indica una strada che in seguito diventerà “norma” per tutta la Chiesa. In quest’azione evangelizzatrice, Marco s’impegna e trova un linguaggio adatto e comprensibile per quanti non appartengono al mondo ebraico nel quale Gesù era vissuto, aveva predicato e compiuto i segni del Regno. Si tratta della prima forma di inculturazione del Vangelo che, secondo il mandato di Gesù, deve essere annunciato ovunque, in tutti i tempi e ad ogni uomo”.

Per il Patriarca Francesco “il mondo che Marco ha dinanzi – gli uomini e le donne con cui entra in dialogo, la stessa comunità in cui vive – sono, per lui, opportunità e occasioni per il nuovo annuncio. L’operazione “Vangelo” compiuta da Marco dice, in modo eloquente, una volta per sempre, come nella Chiesa vi sia spazio per tutti e come la Chiesa tenda la mano ad ogni uomo, agli uomini di ogni epoca – anche della nostra – e ci insegna pure come l’umanità di Gesù sia il veicolo privilegiato per aprirsi, nella fede, alla divinità non intesa come astrazione ma come il Volto misericordioso del Padre che ci accoglie nel perdono. Il centurione, infine, giunge alla fede per il tramite dell’umanità di Cristo e proprio nel momento della sua morte esclama: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”. Marco si rivolge dunque, col suo Vangelo, a quelli che non appartenevano al mondo ebraico; va incontro a tutti, non esclude nessuno. La sua parola non discrimina e non scarta ma, piuttosto, vuole tutti includere. Vengono alla mente le parole di Papa Francesco sulla perenne giovinezza e universalità del Vangelo che sembrano ribadire – a duemila anni di distanza – la scelta di Marco”.

“Anche noi, oggi, sull’esempio dell’evangelista Marco, siamo chiamati – ha concluso – a parlare agli uomini privilegiando l’umanità di Gesù Cristo. Non abbiamo più di fronte il mondo pagano del I secolo ma la nostra epoca con le sue povertà, le sue opportunità, le sue fragilità e le sue risorse. Ad esempio si può oggi dire ai giovani: se non sei collegato con Gesù a causa del tuo peccato – che può prendere la forma dell’egoismo, del bullismo, della banalizzazione della vita affettiva oppure di una vita che esclude i tuoi familiari o chi non ti aggrada – è come quando tu non hai campo e non riesci a collegarti e in tali situazioni provi cos’è la solitudine e l’isolamento… Ecco, questo è un modo di evangelizzare stando in mezzo alla gente e immerso nel nostro tempo, sempre in fedeltà a Gesù Cristo e al suo Vangelo di sempre. Tutto avviene, ovviamente, cercando un linguaggio autentico, concreto e semplice che sia capace di comunicare senza “ridurre” Dio e il suo mistero alla nostra misura umana, in sintonia con l’uomo d’oggi, le sue ferite, le sue attese, le sue domande, anche non espresse, affinché la Chiesa raggiunga tutti gli uomini e le donne disponibili all’ascolto. Così la Parola di speranza, che il discepolo di Gesù è chiamato a dire, muove dall’umano ma – va ribadito – lo supera, trasfigurandolo per far propria la cifra che l’uomo porta in sé, ossia l’immagine e la somiglianza di Dio. San Marco – il nostro evangelista, il protettore della Chiesa di Venezia e delle genti venete – conduca anche noi, oggi, alla riscoperta del vero volto di Gesù figlio di Dio, rivelatore del volto misericordioso del Padre”.

Ha concelebrato la messa solenne in S. Marco anche il vescovo di Leeds (Inghilterra) mons. Marcus Stock, a cui il Patriarca Francesco ha rivolto gli auguri di buon onomastico. Sempre al termine dell’omelia mons. Moraglia ha voluto ricordare in modo particolare il suo predecessore, il card. Marco Cè: “Portava il nome di Marco, portava nel suo sacerdozio episcopale il carisma dell’evangelizzatore. Vi invito sin d’ora il 12 maggio p.v. alle ore 18.00, in questa basilica, per uno speciale ricordo del card. Cè – con la presentazione di un libro che raccoglie alcune sue meditazioni – che culminerà con la celebrazione eucaristica. Invito soprattutto i confratelli a diffondere la notizia”. E poi ha salutato e ringraziato il card. Loris Capovilla, sempre molto legato alla festività marciana, e ha dato lettura del messaggio da lui inviato in tale occasione (il testo completo dell’omelia è allegato in calce).