Le collaborazioni pastorali


È ufficialmente aperto nel Patriarcato di Venezia il cantiere delle “collaborazioni pastorali” . Il quadro diocesano delle collaborazioni – spiega il vicario episcopale per la pastorale don Danilo Barlese – “è stato annunciato e indicato a tutti, insieme all’elenco dei sacerdoti moderatori e incaricati. C’è ora un grande lavoro da compiere nell’avvio e nel consolidamento di queste realtà che si stanno gradualmente costituendo, con modi anche differenti tra loro, e sono chiamate progressivamente a prendere forma”. Soprattutto si tratta di individuare quel gruppo di persone – espressione delle differenti vocazioni – che si pone più stabilmente a servizio della collaborazione pastorale nel cosiddetto “cenacolo”, definito dal Patriarca Francesco Moraglia (nella lettera “Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù”, Marcianum Press 2016) “una piccola comunità che vive una reale esperienza di Chiesa, una concreta formazione al discepolato che guarda all’imitazione di Cristo e alla comunità apostolica.. quel soggetto, nello stesso tempo, evangelizzato ed evangelizzatore (per) suscitare e vivere una presenza efficace della comunità cristiana sul territorio”.

La costituzione dei cenacoli è la priorità indicata dal Patriarca ai sacerdoti “moderatori”: “Bisogna far partire subito questo soggetto comunitario. Non è una scuola di teologia ma una piccola comunità che prega, sta insieme e si mette in gioco, secondo la peculiarità e la vocazione dei suoi membri. È un gruppo necessariamente ristretto non per escludere altri ma per condurre un cammino e portare avanti un impegno”. Lo scopo è sempre la “missionarietà”: i cenacoli dovranno essere “stantuffi di missionarietà”, ad imitazione della comunità cristiana primitiva.

Le attenzioni pastorali e i criteri di fondo che devono guidare vita, azioni, impegni e… preoccupazioni della Chiesa veneziana sono stati ribaditi da mons. Moraglia nella lettera uscita a marzo 2016:

  • la trasmissione e la testimonianza della fede alle nuove generazioni;
  • la cura delle famiglie;
  • lo sguardo della Chiesa sulla società (formazione dei cristiani adulti).

Non sono attenzioni “separate” o scollegate tra loro, perché riguardano la vita quotidiana e i nodi fondamentali dell’esistenza di ogni persona e famiglia. Chiamano in causa la dimensione vocazionale della vita, specialmente nei più giovani, ma anche la formazione e la catechesi necessarie per coltivare una fede concreta e forte – scriveva il Patriarca – di uno “sguardo di ragione e soprattutto di misericordia sulle realtà penultime per una vita evangelicamente buona”, l’educazione all’amore e all’affettività (con percorsi adatti ad ogni età), la volontà di rendere la pastorale familiare e il rispetto della vita – in tutti i suoi momenti, senza “scarti” – istanze abituali di pastorale ordinaria. Il tutto sempre nella “sinodalità”, nel camminare assieme tra preti, diaconi, religiosi, religiose, laici, parrocchie, associazioni, movimenti ed ogni singola espressione ecclesiale.

Per il Patriarca il prete “moderatore”, poi, è “colui che coordina, concorda e verifica i passi del cammino concreto e reale della collaborazione pastorale. È figura che fa da collegamento. Ha la funzione di chi tesse una rete, con fatica, con pazienza e senza scoraggiarsi”. Sarà così chiamato, con i confratelli e i laici che collaborano con lui, ad “individuare percorsi di pastorale comune” in quei campi individuati insieme e su cui si riscontrano le maggiori fatiche e difficoltà, promuovere la vita fraterna dei sacerdoti, coordinare la vita liturgica della collaborazione (ad esempio gli orari delle messe), informare adeguatamente la gente sui passi via via compiuti, cominciando anche a ragionare su presenza e distribuzione futura in quel territorio delle “risorse sacerdotali”. E sarà, infine, anche un elemento determinante nella preparazione della prossima Visita pastorale che partirà nel 2017.

(testo tratto dall’articolo di Alessandro Polet pubblicato su Avvenire il 4 novembre 2016)