Nel 40° Anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium

Nel 40° Anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium
Per riprendere il filo’ Il 4 dicembre 1963 veniva promulgata dal Concilio Vaticano II la Costituzione sulla Liturgia Sacrosanctum Concilium. Fu il primo documento prodotto da quella straordinaria assemblea di tutti i vescovi del mondo, che ha segnato profondamente la vita della Chiesa. Da circa quarant’anni, infatti, quel Concilio e gli importanti documenti da esso promulgati costituiscono il punto di riferimento obbligato per chi voglia sapere che cosa la Chiesa pensa di se stessa e quale debba essere la sua missione in questo mondo. Giovanni Paolo II all’inizio del terzo millennio ne ha riaffermato il valore e l’attualità, invitando tutta la Chiesa a promuoverne la lettura e l’assimilazione. In preparazione al grande Giubileo del 2000 aveva chiesto alla Chiesa di interrogarsi sulla recezione del Concilio (Tertio millennio adveniente , n. 36). A Giubileo concluso gliel’ha riconsegnato come ‘una sicura bussola che orienta il cammino del secolo che si apre’ (Novo millennio ineunte, n. 57). ‘A mano a mano che passano gli anni quei testi non perdono il loro valore né il loro smalto’, scrisse il papa. Infatti non avevano semplicemente lo scopo di definire lo status quo, ma di aprire ad un nuovo futuro proponendo un modo nuovo di essere Chiesa, fedele alla Tradizione, obbediente alla voce dello Spirito Santo e attento ai segni dei tempi, in un mondo che cambia rapidamente e che sembra voler fare a meno di essa. Per mezzo di questo Concilio la Chiesa ha ritrovato la sua identità più profonda e la sua immagine di popolo di Dio, che in Cristo morto e risorto e nel dono dello Spirito costruisce la sua unità e la rende visibile, affinché il mondo veda in esso ‘il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano’ (Lumen gentium, n.1). ‘Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione’ sembra sia stato il filo conduttore di tutti i principali documenti promulgati. Giovanni Paolo II ha fatto di questo progetto ‘la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo’ (Novo millennio ineunte, n.43).
L’esperienza liturgica alla base del nuovo progetto ecclesiale Il primo argomento assunto dal Concilio Vaticano II è stata la riforma liturgica. Fu un grande atto di coraggio. I Vescovi in questo modo non solo hanno messo le mani su un rituale ritenuto intoccabile e divenuto per molti aspetti anacronistico e incomprensibile, ma soprattutto hanno ridefinito la Chiesa, la sua vita e la sua azione pastorale partendo dalla sua Liturgia, ossia partendo dal suo modo di intendere e di celebrare “i santi misteri”. Ne è venuto fuori un lavoro, che ha del “prodigioso”. Non si può non riconoscervi l’ispirazione e l’azione dello Spirito Santo. La Chiesa ha ritrovato “la sorgente” del proprio esistere e del proprio operare in favore dell’umanità. Il “mistero” di Cristo, morto e risorto, come “mistero pasquale”, cioè come evento salvifico determinante e definitivo, è ritornato ad essere il motivo e l’oggetto principale della Liturgia dei cristiani. Il mistero pasquale è ritornato ad essere il filo conduttore della “storia della salvezza” e della Liturgia che la prolunga nel tempo della Chiesa. La Liturgia non è più semplicemente un opera meritoria per la vita eterna, ma è il mezzo normale e ordinario attraverso il quale la vita presente diventa vita eterna essa stessa, perché per opera dello Spirito Santo viene resa conforme a quella di Cristo. La Liturgia assume di nuovo lo scopo di rendere attuale l’amore di Dio che salva e i gesti salvifici di Cristo che lo manifestano. Non sono i riti che ci salvano, ma l’incontro con Cristo, che i riti in qualche modo rendono visibile e operante e che la fede fa riconoscere. La Liturgia, infatti, non avrà più lo scopo di mostrare quello che noi siamo capaci di fare per Dio, ma avrà lo scopo di mostrare quello che Dio continua a fare per noi, affinché davvero ‘tutti gli uomini siano salvi’ in Gesù Cristo, ossia tutti possano godere il beneficio della sua redenzione e della “consolazione” del suo Spirito, offerti per mezzo di Lui “una volta per sempre”. In questo modo la Chiesa riscopre tra le righe della propria storia quasi bimillenaria la sua originaria destinazione, vale a dire quella di “servire” il Dio-che-salva mediante le azioni liturgiche. Essa non è la detentrice esclusiva dei mezzi che salvano, ma è il segno umano, che Dio stesso ha scelto e di cui si serve per continuare a “scendere” in mezzo all’umanità e a rimanervi come “Emmanuele”. E la sua preoccupazione principale d’ora in poi non sarà quella di individuare e organizzare gli elementi rituali adeguati a celebrare la trascendenza di Dio e degni di essere fatti alla sua presenza, ma quella di indicare e far recepire il significato profondo delle sue azioni liturgiche e la maniera più adeguata di esprimerlo e di farlo accogliere.
Perché ricordare Queste sono le prime e più importanti affermazioni di fede che la Costituzione Sacrosanctum Concilium raccoglie nei primi numeri e che indicano il valore enorme dell’opera riformatrice intrapresa dal Concilio. La Costituzione sulla Liturgia non a caso e non solo per ragioni cronologiche fu il primo documento del Concilio Vaticano II. Lo disse esplicitamente Giovanni XXIII alla chiusura del primo periodo di lavoro, l’8 dicembre 1962, e Paolo VI alla sua promulgazione l’anno seguente: ‘Il tema trattato prima d’ogni altro, per la sua natura e per la dignità che ha nella Chiesa, è la santa Liturgia’ Il nostro animo ne esulta di profondo gaudio. Così facendo abbiamo conservato la giusta gerarchia delle cose e dei doveri; con ciò abbiamo professato che il primo posto è di Dio e che nostro primo dovere è la preghiera a Dio; la Liturgia è la prima fonte di quel divino scambio per cui ci è comunicata la vita stessa di Dio, la prima scuola del nostro animo, il primo dono al popolo cristiano’, il primo invito all’umanità che sciolga la sua lingua reciprocamente con noi’. Votato quasi all’unanimità (2147 favorevoli, 4 no e 1 nullo) il 4 dicembre 1963, questo documento ebbe attuazione pratica prima ancora che il Concilio finisse. Già il 7 marzo 1965, inizio della Quaresima di quell’anno, incominciarono i primi cambiamenti. Da quel giorno, infatti, i presbiteri si trovarono per la prima volta faccia a faccia con le loro assemblee per una Liturgia che doveva essere “nuova” non soltanto per alcune novità rituali introdotte, ma soprattutto per il ‘nuovo soggetto celebrante’ che cominciava ad avere (ossia tutta l’assemblea radunata con il suo pastore) e per lo spirito e il significato che dovevano animarla (ossia un’esperienza e una manifestazione di comunione in Cristo risorto). Ricordarne la promulgazione quarant’anni dopo significa allora, per i più anziani, ritornare a respirare lo spirito profetico con cui l’hanno accolta e poi servita con la loro competenza e la loro professionalità. Ma significa anche ritornare a credere al progetto liturgico che questo documento ha delineato e che anch’essi durante questi primi quarant’anni, pur tra forti resistenze, si sono impegnati a realizzare. Per i più giovani, invece, questa commemorazione può significare un invito a conoscere a fondo questo documento, ad assimilarne lo spirito e a impegnarsi anch’essi, affinché il progetto liturgico da esso delineato non venga stravolto, ma semmai migliorato. Non può essere ancora un documento d’archivio o di semplice consultazione. Esso è e rimarrà, chissà fino a quando, la carta fondamentale che ispira e regola il modo di intendere e interpretare l’azione cultuale della Chiesa, affinchè non sia ritualismo formale, ma espressione di fede e operazione di salvezza, che cambia e fa star bene coloro che direttamente o indirettamente ne sono coinvolti.
La riforma continua Per le bellissime cose che vi sono scritte la Sacrosanctum Concilium sembra essere essa stessa, si potrebbe dire, una celebrazione della liturgia ‘in spirito e verità’ come non mai. In pratica, però, la sua promulgazione non fu sufficiente perché la liturgia diventasse in breve tempo ‘una celebrazione in spirito e verità’ ovunque. Evidentemente neppure una buona carta costituzionale poteva bastare da sola a far uscire la liturgia dal ritualismo di cui si era per così dire ammalata. Bisognava lavorare anche su altri fronti della vita della Chiesa. Il Concilio pare ne fosse ben consapevole, vista la gran mole di documenti promulgati, dalla Costituzione Dei Verbum sulla rivelazione alla Gaudium et spes sulla Chiesa e il mondo contemporaneo. Non bastava, infatti, cambiare i riti e la lingua per fare un’autentica riforma liturgica. Anche nella tradizione biblica dell’AT ci furono delle grandi riforme liturgiche. Ma hanno funzionato quando insieme ci fu anche una riforma religiosa, sociale e politica del popolo di Dio. Perché una liturgia senza giustizia e senza amore reciproco è una liturgia senza Dio, falsa e insopportabile. Iniquità e liturgia, oppressione e liturgia, malavita e liturgia non possono convivere. Liturgia e vita personale e collettiva non possono essere separate (cfr. art. 9). Se non c’è vita nuova in Cristo e nella Chiesa, ma anche nella società civile, non ci potrà mai essere una nuova liturgia. Non ci potrà mai essere la liturgia della nuova carta costituzionale: quella che è chiamata ‘fonte e culmine della vita della Chiesa’ perché ogni volta dovrebbe produrre e raccogliere, trasformandole in segno di salvezza, la nuova umanità (1 Cor. 15, 22) e la nuova creazione Cor. 5, 17), che il mistero pasquale di Cristo ha inaugurato e che la comunità cristiana sta realizzando e sperimentando (cfr. art. 10). La liturgia non si fa solo per coltivare la speranza di questa novità. Dev’ essere anche la sua manifestazione. Ancora in fieri, se vogliamo. Ancora piena di imperfezioni. Ancora perfettibile. Comunque già presente. E proprio per questo, motivo di gioia, di benedizione e di speranza. Come un albero che si presenta con suoi frutti non ancora maturi.
Tra problemi veri e falsi In questi quarant’anni ci siamo preoccupati di tante cose. Noi in particolare, anche attraverso questi incontri, ci siamo preoccupati che il canto e la musica divenissero parte integrante della celebrazione liturgica e più in generale della vita dei cristiani. Ci siamo preoccupati che il popolo di Dio tornasse a cantare i canti rituali e anche quelli che accompagnano i riti, perché il canto unisce il cuore e le voci dei presenti e contribuisce a creare comunione. Ci siamo preoccupati di formare musicisti e animatori perché il popolo di Dio avesse qualcuno che lo aiutasse a riprendere il proprio ruolo anche in ordine al canto e a svolgerlo adeguatamente. Abbiamo litigato molto sui repertori, sulle forme musicali, sugli stili, sui testi, sul ruolo delle corali, ecc.. Probabilmente continueremo a farlo ancora per molto tempo. Anche questo fa parte del gioco. Può servire a migliorare e a produrre cose di migliore qualità. Ci sono ancora tante questioni aperte e tanti vuoti da colmare. La rapida evoluzione dei tempi e delle culture non permette di fermarsi ai risultati ottenuti. D’altra parte lo Spirito Santo ci chiede materiale musicale adeguato alle persone che vivono e celebrano nel loro oggi religioso e culturale. Comunque non saranno sicuramente i nostri litigi, nè le nostre inadempienze e neppure le nostre ‘brutture musicali’, come qualcuno definisce molti dei canti in circolazione, a minacciare o a bloccare la riforma liturgica iniziata quarant’anni fa. Non saranno neppure le forti resistenze che ancora incontra nè le sconvolgenti e scandalose concessioni fatte anche recentemente da vescovi e alti prelati alle richieste dei tradizionalisti. Non vale la pena prendersela più di tanto. La vera minaccia della riforma liturgica è ancora una volta la vita cristiana e la vita delle comunità che non cambia; è ancora la vita che, anziché volare al soffio dello Spirito negli spazi della vera novità, creando rapporti umani più accoglienti e più forti, rimane incatenata alle proprie ideologie e ai propri schemi mentali e religiosi; è ancora la vita che non diventa ‘vita pasquale’, libera da ogni idolatria e sempre disponibile al dono di sé, frutto bello e gustoso dell’incontro con ‘Colui che fa nuove tutte le cose’, compresa la Liturgia. Questo è il vero problema. Questo è il fronte aperto della riforma liturgica sul quale è necessario concentrare forze e risorse, se si vuole che la Liturgia sia un’esperienza di vita nuova e non semplicemente un’esperienza accanto alla vita.
D. Franco Gomiero Mestre, 9 novembre 2003