VIII Assemblea diocesana dei fidanzati con il Patriarca
Si è svolta in basilica di San Marco domenica 10 marzo 2002
20-03-2002

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Presentazione

Marina Salvador: Benvenuti a questa ottava Assemblea dei Fidanzati; un caro benvenuto a tutti voi che vi state preparando al matrimonio; un benvenuto ai sacerdoti e agli animatori che vi accompagnano in questa formazione e che siamo contenti di vedere qui ogni anno. E un grande saluto al nostro Patriarca!
E’ vero che questa è ormai casa sua, ma visto che è qui da una sola settimana, Gli rinnoviamo il benvenuto in questa Diocesi, tra di noi.
La comunità cristiana è interessata al vostro matrimonio e questo incontro, in questa splendida Basilica illuminata proprio per questa occasione a festa, per conversare con il Vescovo; è proprio un segno per affermare che la Chiesa ha a cuore il vostro matrimonio e che la comunità cristiana è davvero interessata a voi. E’ bello incontrarsi qui e voi lo confermate intervenendo così numerosi da tutta la Diocesi.

Gianpaolo Salvador: Ci troviamo qui perché questa Basilica, oltre che essere meta dei turisti, è anche meta dei cristiani, soprattutto quando si incontrano insieme per le occasioni importanti con il loro Vescovo qui, in questa sede. Perché questa è la Basilica di San Marco ed ha un valore, oltre che storico e artistico, anche per le origini della fede dei veneti; infatti vi è custodito il corpo di San Marco che, secondo la tradizione è venuto qui – mandato dal primo papa San Pietro – per evangelizzare le terre del Veneto. Marco poi ha continuato la sua missione fino ad Alessandria d’Egitto, dove è morto martire; ma i veneziani volevano qui il suo corpo e non solo per motivi religiosi. Comunque, con la loro abilità e furbizia, sono riusciti a sottrarlo (qualcuno mi suggerisce “rubando”) ad Alessandria e a trasportarlo qui, eludendo ogni forma di controllo e di sorveglianza; dall’anno 868 dopo Cristo il corpo di San Marco è qui, in questa Basilica, con tutto il significato simbolico che
è associato a lui. Ha un valore per la fede anche per questi splendidi mosaici che raccontano in modo straordinario la storia della salvezza: fuori nell’atrio, l’Antico Testamento, qui all’interno il Nuovo Testamento.
Marina diceva che siamo numerosi e proveniamo da tutta la Diocesi, vediamo se è proprio così, cominciando a valutare quanti arrivano dalle zone più lontane, cioè dal Litorale: Caorle, Jesolo e Eraclea. Dall’altra parte abbiamo i rappresentanti della Riviera del Brenta: San Pietro di Oriago. Da Mestre, Marghera e dintorni abbiamo il grosso. Venezia con le Isole si difende bene e vediamo che c’è anche qualche speranza che, dopo il matrimonio, qualcuno si fermi a vivere qua.
Come diceva Marina, il Patriarca Angelo ha fatto il suo ingresso proprio in questa Basilica una settimana fa e quando ha saputo di questa tradizione ha detto “E’ proprio una bella cosa e vengo volentieri, con entusiasmo”.. E dunque lasciamo la parola a lui che non vuole farvi una predica ma vuole intrattenersi e dialogare con Voi. La parola va al nostro Vescovo-Patriarca Angelo Scola.

Intervento del Patriarca

Per me il fatto che il mio primo impegno pubblico, dopo il nostro incontro di amicizia di domenica scorsa, sia proprio questo, con voi, è stata davvero una sorpresa molto lieta e un augurio molto bello.
Perché? Prima vi dico la ragione più banale, più ovvia, e poi quella più decisiva. La ragione più banale è che – forse voi non lo sapete – in questi venti anni passati mi sono molto occupato del matrimonio e della famiglia. Perché sono stato nominato – nell’81 – professore del Pontificio Istituto di Studi sul Matrimonio e la Famiglia, che ha una sede centrale a Roma e dieci sezioni in tutto il mondo (a Washington; a Città del Messico; a Salvador di Baia; a Cotonou in Benin, nell’Africa Sub-Sahariana; a Changanacherry nel Kerala, in India; a Melbourne in Australia; a Ballina in Irlanda e per l’Inghilterra; a Gaming, vicino a Vienna, per quanto riguarda tutto il mondo tedesco; a Valencia in Spagna). Negli ultimi sette anni, come Rettore dell’Università Lateranense, sono stato anche il Preside di questo Istituto nel quale ho insegnato, a sacerdoti e a laici che frequentano questa scuola dopo aver già conseguito una Laurea per specializzarsi, proprio il tema del rapporto tra l’uomo e la donna come fondamento del matrimonio e della famiglia. Ma questo non è il motivo principale per cui sono stato lietamente sorpreso e oggi sono entusiasta di vedervi, perché questo evidentemente è “un lavoro” (anche se un po’ particolare) che la Provvidenza mi ha dato in sorte.
Il motivo profondo per cui sono proprio contento di questo incontro è che io sono convinto che la vita di tutti noi, la tua o la mia – la mia di prete di sessant’anni e la tua di giovane donna che sarai moglie fra tre o sei mesi -, si sviluppa giorno per giorno intorno a due elementi: l’elemento degli affetti e l’elemento del lavoro.
Tutti gli uomini, da quando si svegliano la mattina a quando vanno a letto la sera, vivono sempre facendo leva su questi due aspetti: affetti e lavoro. E affrontano tutte le circostanze della vita – quelle belle e meno belle; quelle abituali, che si ripetono, e quelle straordinarie – sempre coinvolgendo la loro persona con gli altri, attraverso gli affetti e il lavoro. Allora il matrimonio è la modalità formidabile, cioè assolutamente potente ed efficace, per educarsi permanentemente a vivere gli affetti e imparare cosa significhi “amare”.
Su questo terreno, l’uomo e la donna sono sorretti anche nell’affrontare l’altra dimensione espressiva della loro personalità: il lavoro. Quando vi svegliate alla mattina e dovete andare a lavorare o in università, e la sera prima avete avuto un incontro particolarmente intenso con la vostra fidanzata o con il vostro fidanzato, tornando a casa dal quale avete pensato “Ma guarda, non avevo mai capito quella cosa lì, come l’ho capita questa sera..!”.. Bene: il mattino dopo vi trovate dentro un’energia dive
rsa. Perché l’uomo è uno. Se mi fa male l’alluce del piede faccio più fatica a parlare. Così, se attraverso gli affetti capisco qualcosa di più di me o riesco ad accettare un po’ di più il mio temperamento, magari un po’ focoso, questo incide sul mio modo di lavorare, crea un’armonia.
Voi ora siete nell’imminenza del passo decisivo della vostra vita, circa l’edificazione tra di voi di una dimora – cioè di un luogo stabile, di una casa -. Ma la parola “dimora”, anche se sembra difficile a prima vista, è più potente perché non dice solo i muri, dice proprio la forza del bene che vi volete. State per costruire una dimora che assicurerà la crescita di quella dimensione fondamentale del vostro io, della vostra libertà, che è l’educazione dell’affezione. Voi siete perciò in un momento assolutamente straordinario della vostra vita, in un momento di grazia. Io non uso ora questa parola immediatamente nel senso del Catechismo, ma con l’accezione che viene data a questo termine, quando di un artista bravo si dice che è “in un momento di grazia” o che un bravo pittore è “in un momento di grazia”.. Bene, voi siete “in un momento di grazia” straordinario.
Faccio una piccola parentesi. Se non capite qualcosa, alzate la mano e io ripeterò; però dobbiamo intenderci su cosa significhi capire. Capire non è vedere. Oggi noi siamo dominati dalla televisione perciò ci sediamo davanti allo schermo, dentro una passività, e subiamo tutte le immagini. Noi tante volte pensiamo che capire significhi che ogni parola, ogni frase detta da colui che parla debba subito risultare chiara a me. Questo non è possibile, per mille ragioni.
Capire vuol dire avere il cuore spalancato all’altro che parla e, se l’altro gioca la sua vita, gioca la sua persona in quello che dice, delle dieci parole che dice ce ne sarà una che ti colpirà profondamente. E allora vai dietro a quella parola e lentamente, nel tempo, tante cose che oggi intuisci appena diventeranno chiare. Per esempio, noi abbiamo letto cinquec
ento volte il brano della samaritana nel Vangelo, ma quando io, domenica scorsa, me lo sono trovato davanti, qui a Venezia, ho capito delle cose che non avevo mai capito in cinquant’anni. Capire è un cammino, è come vivere.

1. Voglio dirvi una sola cosa, prima di iniziare il dialogo. La prendo da un filosofo francese purtroppo oggi un po’ dimenticato: Gabriel Marcel. È una frase sull’amore: “Ama veramente chi dice all’altro “Tu non puoi morire””. In ognuno di noi è inscritto questo insopprimibile desiderio di durare per sempre e l’amore è come il grande mezzo, la grande via perché questa possibilità straordinaria, eppure così umana, possa attuarsi.
Questo vale per la bellezza. Perché la televisione ci mostra tutta questa, talvolta purtroppo equivoca, ostentazione della bellezza femminile, se non perché – anche nei suoi aspetti degenerati e negativi – esprime questo bisogno che uno sia bello per sempre?
Questo vale per la salute. Quando ci ammaliamo, il bisogno di durare per sempre diventa in noi così forte che chiediamo salute e mettiamo in campo qualunque cosa pur di riottenerla.
Questo vale per la verità. Quando ci accorgiamo fino in fondo che la nostra fidanzata o il nostro fidanzato quando dichiara “Ti voglio bene e ti voglio sposare” dice davvero la verità, sentiamo subito, nel cuore, crescere l’onda di questo “per sempre”!
Ebbene, l’amore è il luogo della educazione al “per sempre”, cioè l’amore – e qui mi rendo conto di fare un passaggio un po’ difficile – è il luogo e la strada, la modalità per compiere il desiderio. Abbiamo accennato alla samaritana – la protagonista del brano del Vangelo della settimana scorsa su cui abbiamo meditato insieme quando sono diventato il vostro Patriarca -, e lì tutto il discorso è sull’acqua che toglie la sete per sempre. L’amore è la grande scuola del desiderio e, in questo senso, è la grande scuola della libertà perché il desiderio è la strada della libertà.

2. Io dico sempre – lo facevo quando ero Vescovo a Grosseto, quando stavo in mezzo agli studenti universitari, lo faccio con gli sposati e quindi lo faccio anche con voi che adesso siete i miei figli – ai giovani: “Sfido qualunque di voi a poter dire alla donna a cui vuol bene, se vuol bene; alla donna di cui è innamorato, se è innamorato seriamente; sfido ognuna di voi, se è innamorata seriamente, a dire al suo uomo,”Io ti amo” senza aggiungere “per sempre”.
E’ impossibile dire “io ti amo” senza aggiungere “per sempre”! Perché “ti amo” vuol dire esattamente quel che ha scritto Gabriel Marcel. “Ti amo” vuol dire che io voglio che tu non finisca più. L’amore è la via pratica a questo. È il concreto di questo.
Lo ripeto sempre, quando penso a come si guardavano la mia povera mamma e il mio povero papà dopo cinquant’anni di matrimonio. Quale fascino emergeva dal loro sguardo di marito e moglie dopo cinquant’anni di vita insieme..! È una cosa di una bellezza infinitamente superiore alla fragilità fisica dovuta all’età avanzata o al peso della salute sempre più malferma e della vecchiaia. Quello sguardo era uno splendore di bellezza. Erano più belli (scusate il paradosso) di quando avevano vent’anni.
Non si può dire “ti amo” senza aggiungere “per sempre”. Non mi interessa se tu sai che, magari mezz’ora dopo aver detto “ti amo per sempre”, non ce la farai a rispettare il “per sempre”, perché questo è un altro problema. Ed è proprio su questo che c’è molta confusione oggi.
Io dico – e la mia non è una sfida formale, non lo dico tanto per dire – a te che vieni da Caorle o che vieni da Oriago o che vieni da Mestre o dal Lido: “Se hai potuto dire con verità alla ragazza che porterai all’altare fra qualche mese o qualche settimana “Ti amo” senza aggiungere “per sempre”, alzati ed obietta. Prova! Se ce n’è uno solo che ha potuto dire così, si alzi e obietti”. Io non ci credo. Non è possibile! Su questo siamo tutti d’accordo e dunque posso andare avanti.

Allora, è questo che spiega perché siete qui. E’ questo tesoro che la Chiesa custodisce da duemila anni sulla potenza di quell’Uomo straordinario che disse alla samaritana “Io ho l’acqua che ti toglierà definitivamente la sete”.. Magari, da quando hai fatto la cresima sino a un anno fa, quando hai cominciato il corso dei fidanzati, in chiesa ci sei andato di rado. Magari hai sentito la chiesa come troppo estranea alla tua vita, come una cosa astratta. L’hai sentita solo come un insieme di dottrine, di riti, di precetti che ti sembravano rigidi, che ti sembravano urtare la tua umanità e il tuo desiderio di vita. Però adesso sei qui, perché tu questo “per sempre” lo vuoi. Tu vuoi una compagnia, un’amicizia, un luogo che difenda l’amore che la tua donna ha per te e che tu hai per lei. Tu lo vuoi come un grande bene e capisci, anche se faticosamente, che l’amicizia in Gesù è questo luogo.
Questo è il senso del Sacramento del Matrimonio.
Sono certo che i vostri sacerdoti e gli amici che vi hanno aiutato in questo cammino e sono qui -sacerdoti e amici che ringrazio di cuore perché fanno un lavoro splendido -, vi hanno già detto queste cose. Perciò si può veramente andare rapidi.

3. Aggiungo l’ultimo punto. Quando, per rispondere all’affermazione di Gabriel Marcel “Ama colui che dice all’altro: “Tu non puoi morire””, la Chiesa ti chiede il matrimonio-sacramento, cioè ti chiede di affermare in maniera fedele, stabile e pubblica, con un impegno solenne, fedele, pubblico e stabile, davanti a tutti, che la nuova cellula di società e di Chiesa che stai costruendo ti trova consapevole di ciò che è in gioco, tu sei un po’ preso da timore e da tremore, perché conosci la tua fragilità.
Sei un po’ preso da timore e da tremore di fronte a questo “per sempre” che vuoi con tutto il tuo cuore, ma di fronte al quale ti chiedi “Ne sarò capace?” Tanto più in un mondo in cui domina una mentalità che ci fa credere il contrario, convincendoci che non è veramente libero colui che imposta legami di amore – sponsale, filiale, di amicizia – duraturi, ma chi,
al contario, è capace di rompere i legami.
Il nostro, infatti, è un mondo rovesciato: per spiegarlo faccio un esempio. Nel calcio ci sono i “fondamentali” (chi gioca al calcio sa bene di cosa si tratta): talvolta la mentalità dominante ha, per così dire, confuso i fondamentali. Per cui per esempio si tende a dire che uno è tanto più libero quanto più è in grado di rompere i legami. Questa è un’idea superficiale di libertà. Uno è tanto più libero quanto più si lega in maniera giusta all’altro perché, legandosi all’altro in maniera autentica, costruisce. Esattamente come accade per un popolo. La grande storia di Venezia non sarebbe potuta accadere senza i legami stabili di popolo che le famigli hanno cementato.
Ecco perché capisco che, di fronte alla prospettiva del “matrimonio-sacramento-fedele-pubblico-stabile”, uno abbia paura; perché si sente fragile e perché la mentalità dominante non lo aiuta.

Vi faccio un’unica raccomandazione: l’amicizia che la Chiesa vi offre, l’accoglienza che questa stupenda Basilica oggi vi fa, non è una fine, non conclude qualcosa, al contrario è un inizio. Inizia qualcosa. Dovete restare fedeli a questo inizio; a tutti gli amici più grandi che vi hanno accompagnato; al contesto della Parrocchia che vi ha aiutato; al sacerdote che vi ha dato una mano nel momento difficile; al vostro Patriarca; a tutti.
Non fatevi scrupolo di domandare aiuto quando sarete nel bisogno; non abbiate paura della vostra fragilità; non abbiate paura delle circostanze difficili o avverse. Affrontiamole insieme. State dentro. Mettete la vostra casa nella grande casa della Chiesa, che è il luogo della nuova, grande parentela in Gesù.

Per aprire la discussione vi cito uno dei più grandi scrittori e poeti di tutti i tempi, Shakespeare, che, in un suo sonetto scrive “Amore non è amore/ se muta quando nell’altro scorge mutamenti/ o se tende a recedere quando l’altro si allontana”. Il poeta è sempre un genio, perché sa cogliere ciò che noi normalmente non
cogliamo. Pensate al genio che è dentro a questi mosaici… Così il “per sempre” fa valere la sua forza.
Nel terzo punto voglio dire che la fragilità non è un’obiezione al “per sempre”.. Si tratta di sapere come affrontarla. E, per fare questo, non bisogna avere una teoria a priori, bisogna avere un luogo di amici col quale affrontarla. La Chiesa è questo luogo. Per questo vi sposate in Chiesa. Per questo ricevete il Sacramento.
Del resto la stessa Chiesa è descritta dal Santo Vangelo come la sposa di Cristo che è lo sposo della Chiesa, e quindi sa bene di cosa parla, quando parla di sposi.

Dialogo con l’assemblea

1 – Domanda: Sono Davide della Parrocchia dei Frari. Volevo sapere da Lei come consiglia l’approccio alla vita coniugale cristiana nella società odierna, con gli aspetti che ha sottolineato poc’anzi.

Patriarca: La tua è una domanda decisiva, perché rivela la coscienza della sfida contenuta in questa visione delle cose. Attenti bene: questa è una visione umanissima. È cristiana nel senso che Cristo l’ha resa esplicita ed evidente a tutti, ma questo desiderio di amare per sempre ce l’ha nel cuore chiunque, anche il buddista, anche chi si ritiene ateo…
Però è vero che, come dice Davide, nella società di oggi vivere così è una sfida. Una sfida che può anche implicare qualche eroismo, ma non vorrei vi faceste un’idea sbagliata: vivere così è il modo più conveniente per vivere. Si è più felici vivendo così che non vivendo così… Vivere così vuol dire vivere per come le cose sono. Le cose stanno in questi termini: viverle quindi in questi termini vuol dire realizzare il desiderio del cuore, vuol dire mettere la libertà veramente a suo agio. Come ci dice Gesù: “Se vivete così sarete liberi davvero”.
Io credo che la risposta alla domanda di Davide esigerebbe un lungo percorso, che certamente verrà dalla sua vita. Verrà dalla vita tua e di Marianna, la tua fidanzata, giorno dopo giorno. Io vorrei che da oggi fossimo un contesto di amici, che
rappresentassimo una trama sicura nella quale tu e Marianna possiate sempre trovare un punto di paragone.
Comunque posso dire due cose: la prima condizione è che – nel quotidiano, giorno dopo giorno, secondo il ritmo del lavoro, dei figli che verranno, della casa da costruire e mantenere ecc -, voi non dimentichiate mai che dire “Ti amo” vuol dire desiderare e volere che l’altro non venga mai meno. La prima condizione è che teniate desto tutto lo slancio di amore che adesso avete dentro. Supponiamo che, di fronte a questo sole che ci viene in faccia, il rosone venga completamente chiuso e che improvvisamente San Marco sia completamente al buio e che uno di voi vada alla porta, la apra di qualche millimetro e una lama di luce ci ferisca.
Bene, io ti chiedo: “Fa in modo di aprire tutta la porta della tua libertà. Non tenere aperto solo un leggero spiraglio. Spalancala tutta.” Cioè: “Con Marianna gioca tutto”. E viceversa. “Metti in campo tutto: fatiche, dolori, difficoltà”, come del resto già stai facendo perché altrimenti non sareste arrivati alla soglia del matrimonio.
La prima condizione dipende da te e da lei; che questo desiderio di amare per sempre sia custodito come una perla preziosa. E, ogni volta che le circostanze lo metteranno in dubbio, tu e Marianna dovrete recuperarlo.
E qui entra in gioco la seconda condizione: non si può mantenere la porta spalancata da soli. Per questo esiste la comunità. Se tu sei qui è perché hai incontrato degli amici, il tuo parroco innanzitutto. Il giorno in cui sei andato a dirgli “Io voglio sposarmi l’anno prossimo” lui ti avrà risposto “Guarda, noi in genere prima del matrimonio facciamo questo cammino”. Non è un cammino scolastico, non è una disciplina moralistica. È una mano tesa, è un’amicizia che ti offre un contesto. E allora lì hai incontrato degli altri amici come te che stavano per sposarsi e delle persone già sposate che ti hanno aiutato a guardare certi aspetti.
La seconda condizione richiesta è restare fede
le a questo contesto.
Faccio un altro esempio: i cristiani, come noi siamo, tutte le domeniche si trovano insieme per celebrare l’Eucaristia; questo c’entra profondamente col modo con cui tu, Davide, guarderai negli occhi Marianna e i vostri bambini. Non è una cosa che non c’entra. Cos’è, infatti, l’Eucaristia? E’ la modalità con cui Colui che ci ha reso possibile il “per sempre” dell’amore – il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che ha dato la sua vita per noi peccatori -, entra nella tua settimana, nella tua vita e si rende presente come il cuore, il centro di una compagnia che – come dice la parola – condivide con te la vita passo dopo passo.
Se uno è una persona (uomo o donna) che vuole la libertà e se è fedele alla comunità cristiana, le due premesse per l’approccio a vivere il matrimonio – anche dentro una società difficile come la nostra – sono garantite. Il resto verrà. E’ indubbiamente solo un inizio di risposta.

2 – Domanda: Sono Domenico di Gambarare. Un grazie e una domanda. Grazie innanzitutto perché questo incontro quest’anno è stato possibile. Si era diffusa la voce che sarebbe stato rinviato. Ringraziamo perciò il nostro padre Patriarca, che ci ha chiamati già come figli e penso che come padre vorrà aiutarci ad approfondire e a riscoprire il valore dell’amore umano, in cui crediamo molto.
La domanda è questa: capita sempre più spesso che nei nostri gruppi di fidanzati si presentino coppie che già convivono, con bambini o già sposati civilmente e molte volte non si sentono accolti bene nella comunità cristiana. A volte ci sono dei pregiudizi reciproci e anche noi, animatori, facciamo fatica a coniugare la legge della Chiesa con il primato dell’amore umano. Vorremmo qualche indicazione a proposito. Grazie.

Patriarca: E’ chiaro che a volte la Chiesa sembra dire dei ‘no’. E la stampa, soprattutto, la presenta in continuazione come una sorta di matrigna che dice sempre dei ‘no’. No all’amore prematrimoniale; quindi no alla convivenza puramente civile;
no alla contraccezione; no al divorzio; no all’aborto; no all’eutanasia. Ma riflettiamo bene. Questi ‘no’ sono in realtà dei ‘sì’ perché sono il modo con cui la Chiesa (Chi è infatti, in questo momento, la Chiesa di Venezia? Siamo noi, qui). È il modo con cui gli amici di Cristo oggi, i fratelli in Cristo oggi, intendono difendere la realtà dell’amore, così come essa è. In questo senso l’amore compiutamente umano è l’amore che la Chiesa propone. La Chiesa infatti propone l’amore, non propone una cosa in più. La fede non è una veste come quella che il vescovo o il sacerdote indossano perché, giustamente, vogliono essere subito reperiti dai loro fedeli. La fede è la libertà che mediante il dono dell’acqua viva che è Gesù, si esprime fino in fondo. Quindi non c’è separazione tra amore umano e amore cristiano: l’amore cristiano è la verità dell’amore umano.
Quindi, quando la Chiesa sembra dire dei ‘no’, in realtà dice dei ‘sì’, perché intende difendere la pienezza dell’amore, il nesso inscindibile del “Ti amo” col “per sempre” che è questo rapporto. Dio è un Padre e, come tale, ci tratta come figli. Un figlio non è uno schiavo al quale imponi “Fai così”. Un padre non può che proporre le cose a suo figlio. La Chiesa propone. Quindi questo nesso tra il “Ti amo” e il “per sempre” implica oggi un lavoro tuo con la tua fidanzata e viceversa. Come domani il lavoro tuo e di tua moglie, per tutta la vita. In questo senso, la modalità con cui la comunità cristiana dice dei ‘no’ è la stessa con cui un padre e una madre dicono dei ‘no’ ai loro figli. Quei ‘no’ sono della stessa natura di quelli con cui il papà e la mamma quando eri bambino ti dicevano “No, non lì perché ti fai male; non lì perché cadi”.
[Qui a Venezia sono andato l’altro ieri a salutare i nostri amici sacerdoti alla Casa “Cardinal Piazza” e sono passato per la prima volta sulle fondamenta e un po’ di paura mi veniva, perché lì non c’è nessun parapetto, e io non sono un gran nuotatore. Cannaregio è bellissima.
Per certi versi è ancora più bella della parte centrale, per le case, i colori, il gioco della luce … Venezia è proprio una cosa dell’altro mondo, lo diceva anche Prodi stamattina, aggiungendo l’Europa deve recuperare il peso di Vienna e di Venezia.]
Sarebbe bello, ragazzi, fare anche un incontro dopo un anno che siete sposati, perché sarebbe bello vedere a quel punto come giocano le due dimensioni della vita: gli affetti e il lavoro… Sarebbe molto bello poter vedere come il fatto di generare una nuova famiglia cambi il modo di lavorare e quindi di incidere sulla vita sociale e politica. Sarebbe quindi interessantissimo vedere in azione insieme le due le dimensioni, perché affetti e lavoro fanno l’io, fanno l’uomo.
Tornando all’esempio di poco fa: quando la tua mamma o il tuo papà ti portavano in giro per le fondamenta, a tre anni, non ti lasciavano certo andare da solo… Presumo che ti tenessero a bada e se tu tendevi ad andare giù ti dicevano “No, questo no”. Ebbene: era forse una matrigna, la mamma perché ti diceva questo? Faceva un atto contro di te? Certamente no! Semplicemente, con quel ‘no’ esprimeva il suo bene. Così fa la Chiesa. Se si capisce questo, si capisce la ragione per cui il giudizio su questi atteggiamenti da parte della Chiesa resta netto. Perché sono atteggiamenti che, anche senza volerlo, senza che l’interessato ne abbia colpa, vanno comunque contro la verità del “Ti amo per sempre”, vanno contro la realtà com’è.
Io però sono convinto che la Chiesa, ossia la comunità cristiana, non faccia fatica ad essere accogliente con chi è disposto a cambiare. Questo è, infatti, il segreto della vita: essere disposti a cambiare.
Del resto basta aggiungere una cosa: esiste un altro luogo al mondo in cui sia stata inventata e praticata la parola perdono, come nella Chiesa Santa di Dio?
Finché non percepirete il mistero che sta dietro l’esperienza del perdono, non avrete ancora incominciato a capire l’amore.

3 – Domanda: Mi chiamo Cristina, abit
o a Mestre ma vengo da Pescara. Sull’altare si fa una promessa “Ti amerò per sempre”, ed è giusto essere consapevoli di questa promessa. Se però un giorno il compagno o la compagna dice “Non ti amo più”, allora è lecito credere da soli nel rapporto, cioè cercare in tutti i modi di tirare avanti il rapporto?

Patriarca: Cristina, tu poni una domanda molto profonda e molto vera, perché realista. Essa infatti mette in preventivo la fragilità propria e la fragilità dell’altro. E solo chi è realista è un uomo. Questo è un altro dei ‘fondamentali’ che traballano nella nostra convivenza. Noi, uomini di oggi, non siamo più capaci di stare dentro la realtà, forse perché siamo troppo invasi dall’artificio, dalla virtualità.. Tu poni una domanda realista alla quale io ho in parte già anticipato la risposta, però ti ringrazio molto perché mi consenti di tornarci sopra. L’ho anticipata citandoti Shakespeare, quando vi ho letto “l’amore non è amore se muta quando nell’altro scorge mutamenti o se tende a recedere – cioè a tirarsi indietro – quando l’altro si allontana”. Qui c’è il segreto della vita.
Nel brano del Vangelo della samaritana, che abbiamo letto insieme domenica scorsa, veniva spontaneo far riferimento ad una frase di San Paolo che avevamo letto poco prima, nella quale San Paolo dice che l’amore, che è Gesù Cristo, l’amore di Gesù Cristo si vede dal fatto che “quando eravamo ancora peccatori Egli ha dato la sua vita per noi”. Si può forse trovare qualcuno che, a fatica, dà la sua vita per un uomo giusto; ma per un peccatore? Gesù è uno che non ha teso a recedere perché io ero lontano.
“Ti amo” si lega a “per sempre”. “Ti amo” si lega a gratuità. L’amore vuole il bene dell’altro per l’altro e allora la fragilità dell’altro è come un’ultima pungolante, dolorosa, certo, provocazione alla gratuità. Ecco perché ho detto che noi cristiani non siamo uomini fuori dalla realtà, non parliamo dell’amore in questi termini come se fossimo dei marziani, noi siamo convinti – pur
essendo di fatto una minoranza – di essere dentro la realtà in modo più profondo. Tant’è vero che, se uno vive così… ma ve lo dico con un esempio.
Proprio a Venezia, qualche mese fa, c’è stata una mostra di Balthus, un grande pittore che amava dipingere figure femminili di adolescenti. Una mattina mi sono trovato a leggere i giornali sull’apertura di questa mostra a Venezia, mentre stavo andando a celebrare i matrimoni di due figli di miei amici, conosciuti da bambini. Sull’aereo, mentre volavo da Roma a Milano (perché un matrimonio era a Milano e l’altro a Lugano) mi dicevo “Come faccio a far capire a questi ragazzi che ho visto nascere, che ho visto in fasce, a cui voglio bene, questa idea del “Ti amo per sempre?” E, guardando quanto dicevano i critici su quest’artista che aveva sondato la figura femminile riuscendo senza dubbio a scoprirla nelle sue più intime profondità ecc. ecc., pensavo “Sì, questo sarà senz’altro un genio. Non voglio discuterne. Ma cosa ha scoperto, in realtà? Ha scoperto qualche frammento, qualche piccolo aspetto del suo inconscio, del suo io profondo e forse aiutato tutti noi a conoscerci meglio… Eppure la sua esperienza di amore è di gran lunga inferiore a quella di mio padre e mia madre, dopo cinquant’anni di matrimonio fedele”. Sfido chiunque su questo punto! Mio padre e mia madre, nell’esperienza di fatica e di perdono che senz’altro sarà costata loro per restare insieme sessant’anni, hanno capito cos’è l’amore, di più del genio Balthus. Perché non si sono tirati indietro quando l’altro si allontanava…
E’ comodo opporre compito a desiderio. È comodo opporre dovere a volere. Potrà essere un lavoro duro, ma è il lavoro del tuo futuro e della tua verità. È il lavoro del volto vero di tuo marito e di tua moglie e dei tuoi figlioli. È il lavoro della costruzione del volto vero di questa società.