DUOMO DI SAN LORENZO M. – MESTRE
VENERDÌ SANTO
MEDITAZIONE AL TERMINE DELLA VIA CRUCIS
(Lc 23,44-56)
CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA
Mestre-Venezia, 9 aprile 2004
1. «Ecco il legno della Croce, venite adoriamo». Tra qualche istante noi, in unità con tutto il popolo di Dio, saremo chiamati a compiere un gesto semplice e nel contempo sconvolgente: adorare il legno su cui il Redentore ha consegnato la Sua vita per la nostra salvezza. Tutta la celebrazione del Venerdì Santo si concentra in questo gesto semplice, di adorazione della Santa Croce cui è appeso il Giusto Innocente.
Un gesto semplice perché alla portata di tutti. Non esiste condizione, né circostanza in cui la libertà dell’uomo non possa piegarsi e baciare con profonda pietà – pietas, quell’amore riverente nei confronti di chi ci ha dato la vita ‘ il legno della Croce. Anche se ci trovassimo nella peggiore delle prove, noi potremmo adorare la Croce. È morto per noi, ci dice Paolo, quando «eravamo ancora peccatori» (Rom 5,8) e «quand’eravamo nemici» (Rm 5,10). E tuttavia in questo gesto ‘ noi lo sentiamo ‘ c’è qualcosa di sconvolgente. Si potrebbe addirittura dire che, per certi versi, è ‘ soprattutto per l’uomo contemporaneo ‘ ripugnante. Come si può adorare uno condannato al più infame dei patiboli? Come inchinarsi allo strumento con cui è stato messo a morte il Figlio di Dio, l’Innocente per eccellenza? In questo Venerdì Santo ognuno di noi è chiamato a sperimentare nella propria carne lo scandalo e la follia della Croce.
2. Eppure di questo legno maledetto oggi la Chiesa ci fa cantare le lodi chiamandolo dulce lignum. Radicale capovolgimento! L’albero secco, emblema di morte, diventa l’albero della vita da cui «è venuta la gioia» (Antifona). Viene glorificato l’Innocente Crocifisso, il Salvatore del mondo, il benefattore per eccellenza, è inchiodato sul patibolo dei malfattori.
Quale ‘logica’ sta sotto al misterioso paradosso, che è il nucleo incandescente del mistero del Venerdì Santo? È la logica dell’amore totale che arriva fino all’obbedienza. Chi perde la sua vita, chi non vuole tenerla per sé la ritrova (cfr Mt 10,39).
Per intuire questa profonda verità, possiamo guardare all’esperienza elementare di ogni famiglia, al rapporto tra lo sposo e la sposa, tra i genitori e i figli. Vi troviamo l’espressione quotidiana dell’amore: l’amore è azione il cui scopo è il tu. L’obbedienza al volto dell’altro è la forma dell’amore che libera e compie.
Ed in effetti la consegna che Gesù fa di Sé sulla croce scaturisce dal Suo rapporto col Padre: il principio del Suo consegnarsi è l’amore per il Padre, l’origine della Sua azione è questo Tu paterno che lo genera eternamente e al quale si ridona eternamente. La sua obbedienza altro non è che l’espressione culmine dell’amore per il Padre.
La ‘via stretta’ dell’obbedienza al Padre conduce paradossalmente alla completa riuscita («reso perfetto») (Eb 5,9) e alla fecondità più grande -«divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,9).
3. Come avvicinarci a tale insondabile mistero? Da dove guardare commossi il sacrificio obbediente del Figlio che è la nostra salvezza? Abbiamo un ‘luogo’ privilegiato da dove contemplare il mistero: la Vergine Addolorata.
Il dolore non è riuscito a piegare Maria: Ella sta sotto la Croce. «Stabat Mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa». Commenta Rilke: «’Sono rigida com’è rigido/l’interno di una pietra./Dura come sono, so una cosa sola:/tu crescesti -/’.e crescesti,/per sporgere come dolore troppo grande/dal contorno/del mio cuore’» (R.M. Rilke, Pietà).
Lo stare di Maria è la modalità che ci viene offerta per associare la nostra vita all’obbedienza di Gesù sulla Croce. Se ‘stiamo’ questa sera con Maria ‘ anche se assistiamo solo «da lontano» (cfr Lc 23,49) – la fede ci porterà a riconoscere in Lui, col centurione, il giusto (cfr Lc 23,47)e, forse, cominceremo «percuoterci il petto» (cfr Lc 23,48). Stare nelle circostanze e nelle situazioni concrete in cui la Provvidenza ci ha voluti, offrendo la nostra libertà perché si compia il disegno del Padre su di noi e sul mondo intero. Stare con la coscienza desta del poeta Norwid: «Sappi che è grazie alla tradizione che la maestà dell’uomo si differenzia dagli animali selvatici, e colui che si è strappato alla coscienza della storia inselvatichisce su un’isola lontana’ Non cercare il Redentore tra i morti, ma di’ la verità a coloro che sono vivi’ E così dicendo io ancora una volta udii il sussurro: ‘Pax ‘ vobiscum ‘ la pace ‘ la pace sia con voi’» (C. K. Norwid, Un pugno di sabbia).
E così Crocifisso diviene radice di civiltà!