DOMENICA DELLE PALME
PROCESSIONE DA S. MARIA FORMOSA ALLA BASILICA E S. MESSA
Processione: Mc 11,1-10
S. Messa: Is 50,4-7; Sal 22 (21), 8-9.17-18.19-20.23-24; Fil 2,6-11; Mc 14,1-1-15.47
1. «Concedi a noi tuoi fedeli, che rechiamo questi rami in onore di Cristo trionfante, di rimanere uniti a Lui per portare frutti di opere buone». Con questa preghiera abbiamo iniziato, poco fa, nella Chiesa di S. Maria Formosa, la Settimana Santa. La Settimana cioè in cui in tutto il mondo i cristiani ‘ uomini che sperano in Dio Padre ‘ invocano con fede umile e sincera il dono di permanere in unità con l’Artefice della loro salvezza per poter realizzare, a livello personale e sociale, una vita buona.
A partire da oggi noi, attraverso la liturgia sacramentale, vivremo tutte le tappe della Passione, della Croce e della Risurrezione di Nostro Signore. Radunandoci in questa splendida Basilica cattedrale, dopo aver fisicamente lasciato le nostre abitazioni o, se non ci sarà possibile, attraverso la Radio, o provenendo da ogni parte del globo parteciperemo in modo reale ai fatti di cui ci ha parlato il Vangelo di Marco, così caro a noi veneziani. Al trionfo delle palme seguirà l’arresto di Gesù, il processo prima davanti ai giudei e poi davanti ai romani, fino all’epilogo tragico e glorioso del Calvario. Infine, passando attraverso la pietas della deposizione e del sepolcro, la vicenda terrena del Nazareno culminerà nello splendore della risurrezione. La memoria eucaristica ‘ qualitativamente diversa dal semplice ricordo ‘ alimenta la nostra speranza di cristiani, che non ha mai origine da un possesso ma piuttosto da un essere posseduti: afferrati da Cristo vogliamo permanere a Lui uniti.
La processione con le palme benedette e con l’ulivo, simbolo di Cristo nostra pace, ci ha fatto rivivere – sulla scorta della sobria descrizione del Vangelo di Marco – il gesto dell’ingresso del Messia in Gerusalemme dal monte degli Ulivi. E la preghiera iniziale ha parlato di Cristo trionfante. Di quale trionfo si tratta? François Mauriac, nella sua Vita di Gesù, arriva a definirlo un «trionfo derisorio di un Rabbì estenuato, già promesso al patibolo, d’un fuorilegge… in mezzo a una marmaglia imbecille. Ben possono stendere i loro vestiti e acclamarlo: ciascuno di quegli osanna aggiunge una spina alla Sua corona, una punta alle corregge degli staffili che lo flagelleranno» . L’acuto giudizio dello scrittore sembrerebbe trovare una conferma nella narrazione, scarna ma rigorosa, dei fatti portati ancora una volta all’evidenza della nostra mente e del nostro cuore dal Passio marciano che abbiamo ascoltato. Ed invece sono proprio questi stessi fatti – così come la Chiesa nostra madre ci propone di leggerli oggi alla luce del Salmo 121 (Salmo responsoriale), del Terzo canto del Servo di Jahvé propostoci da Isaia (Prima Lettura: Is 50, 4-7) e, soprattutto, nella della paradossale prospettiva indicataci dal celebre inno di Filippesi (Seconda Lettura: Fil 2,6-11) ‘ a smentire Mauriac, mostrandoci perché l’ingresso di Gesù in Gerusalemme fu solo l’inizio di un trionfo completo. Infatti, siccome si è abbassato fino a salire sul palo dell’ignominia, il Figlio di Dio viene esaltato. Questa esaltazione, questo trionfo si documenta nel fatto che il Crocifisso risorto vince l’enigma dell’uomo e della sua storia, mentre potenzia il dramma della libertà di ogni singolo.
2. «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» Il trionfo di Cristo passa attraverso questo grido. Il grido dell’Innocente, che muore sulla croce. Il Padre che lo ha mandato e a cui egli si è totalmente affidato sembra non rispondere più. A rafforzare l’urto già di per sé insostenibile di questa atroce sofferenza, sopraggiunge l’insulto e lo scherno dei nemici: «Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo» (Salmo 21,8). Né manca la provocazione volgare, espressione della pretesa umana di ergere il proprio limite a misura del divino: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso!» (Mc 15, 31). Noi possiamo solo debolmente intravvedere la profondità dei patimenti del Figlio di Dio fatto uomo, tuttavia giustamente da sempre l’umanità vi riconosce il più potente sostegno a ogni sorta di implorazione che senza sosta, lungo la storia, si sprigiona dalle atroci prove di uomini di ogni etnia, cultura e religione. Il grido di Gesù Cristo è figura del nostro grido di fronte all’ingiustizia, al dolore, alla malattia, alla morte. Anche quando, sfiniti dalla delusione, in noi si insinua il veleno dello scetticismo che conduce alla disperazione. Al grido di Gesù consegnamo anche oggi la nostra umanità ferita. Riconosciamo che ad esso, anzitutto, fa eco il grido straziante dei nostri fratelli segnati nella loro carne dalla tragedia della guerra. Quella atroce che è in Iraq ed anche quelle troppo spesso dimenticate che non cessano di insanguinare il pianeta.
3. Il Figlio di Dio ha preso su di sé ogni invocazione dell’umana sofferenza. Ma il Suo non è stato un subire passivo, né l’arrendersi ad una necessità crudele. Il Suo ‘ ecco il paradosso inaudito ‘ è stato un assenso positivo. «Egli si offre liberamente alla morte» ‘ come ci viene ricordato ogni giorno nella celebrazione dell’Eucaristia – perché anche nel momento in cui la prova sfiora l’angoscia prevale in lui l’abbandono: «Abbà, Padre… non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14, 36). Il Canto del Servo ce lo aveva preannunziato: «Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50, 6). Quella di Gesù Cristo è una libertà che si avvia al trionfo proprio perché accetta lo svuotamento. Non teme di perdersi uscendo da sé. L’inno di Filippesi lo documenta con espressioni inarrivabili: «Pur essendo di natura divina’ umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2, 6.8). Gesù corre il rischio totale dell’amore, che sempre ha il timbro della gratuità e della libertà. Davanti alla nostra misura così spesso ottusa ed insipiente si spalanca l’abisso dell’amore di Dio e si offre come forma compiuta del nostro amore, quasi sempre affannato e meschino. Gesù prende sul serio la nostra libertà fino ad esinanirsi sulla croce per noi. E noi? Avremo ancora l’orgoglio di resistere a questa impotenza dell’Onnipotente, accampando magari la nostra impossibilità al cambiamento e alla conversione? Abbandoniamoci all’amore misericordioso accogliendo umili e grati il dono del Crocefisso che trionfa del nostro peccato. Gesù ci rassicura ripetendoci con Pascal: «La tua conversione è compito mio; non temere, e prega con fiducia» (Pensieri, 736).
4. Noi sentiamo che questo abisso di amore, il trionfo del Crocefisso che vince la debolezza e il peccato, corrisponde totalmente al nostro cuore, eppure ne abbiamo una strana paura. Come i tre discepoli che, dopo averlo accompagnato fino all’Orto degli Ulivi, sopraffatti dall’angoscia, si addormentarono. I fatti erano talmente più grandi di loro che, nonostante tutto l’amore e le innumerevoli prove date loro da quell’uomo singolare, i suoi ne rimasero schiacciati. E man mano che la vicenda terrena del nostro Salvatore andava verso il suo acme – il ludibrio della croce -, non resistettero alla tentazione di disertare: «Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono» (Mc 14, 50). Noi non siamo diversi da loro. Eppure Colui che ci ha amati per primo, Colui che è l’amore in se stesso, non ci abbandona neppure a questo punto. Proprio in questo sta il Suo trionfo: Egli conosce i nostri cuori e sa che disertando da Lui disertiamo da noi stessi. Per questo continuamente ci riprende. Anche sulla soglia di questa Settimana Santa, che interrompe il racconto della Passione al pesante «rotolare del masso contro l’entrata del sepolcro» (Mc 15,46) sono già vividi i segni del trionfo con cui Cristo consente alla nostra libertà di risorgere, se accetta di aderire con fede. Le donne, sia pur tremanti, lo seguono da lontano. Pietro non ce la fa a non tradirlo ma, quando incrocia il Suo sguardo di misericordia, scoppia in pianto. Non un’incrollabile coerenza, impossibile all’umana fragilità, ma la ripresa in fede, speranza e carità è la figura compiuta del cristiano. Nonostante tutto non si riesce a rinunciare alla vicinanza amorosa del Signore. Anche quando «tutti, abbandonandolo, fuggirono. Un giovanetto però, lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo» (Mc 14, 50-51). Tra gli esegeti non mancano quanti identificano questo giovanetto col nostro venerato evangelista Marco. Ed in effetti solo il Vangelo di Marco cita questo episodio. Ebbene, a noi è chiesto lo stesso semplice gesto di questo oscuro ragazzino. Noi tutti abbiamo bisogno della stessa purità che non oppone nulla tra sé e il vero, che non si lascia bloccare neppure dalla propria fragilità e dal proprio peccato. La via per riconoscerci peccatori è semplice. La percorreremo, fratelli carissimi, accostandoci con devozione questa settimana, individualmente, al sacramento della Riconciliazione per partecipare, nella Eucaristia della solenne Veglia pasquale, al trionfo di Cristo sulla morte e sul peccato. Amen
BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO
DAL SALUTO DEL PATRIARCA S. E. MONS. ANGELO SCOLA
ALLA FINE DELLA S. MESSA DELLE PALME
Venezia, 13 aprile
Insieme abbiamo vissuto un gesto di popolo, la processione delle Palme da Santa Maria Formosa alla Basilica di San Marco. Moltissimi ospiti della nostra città dell’umanità si sono coinvolti con noi. Ed è tanto più bello questo gesto perché oggi in tutto il mondo si celebra la Giornata Mondiale della Gioventù. «Ecco tua madre!» l’ha intitolata il Papa. E ha voluto identificare nella consegna reciproca di Maria a Giovanni e di Giovanni a Maria, sotto la croce, il senso naturale ma soprattutto quello cristiano del passaggio delle generazioni che garantisce la civiltà. Oggi sono qui ii nostri ragazzi, i giovani, le giovani famiglie, gli uomini maturi, i più anziani. Così idealmente le generazioni passano l’una all’altra il testimone della continuità della civiltà veneziana, di Venezia città dell’umanità. E lo passano non soltanto in forza della parentela naturale storica, civile ma soprattutto per la potenza dello Spirito di Gesù: «Ecco tua madre!» «Ecco tuo figlio!» e Giovanni la «accolse in casa sua». Il rapporto cristiano tra le generazioni è legato al fatto che la parentela che ci lega non è più solo sotto la carne e il sangue, ma una nuova più potente parentela nello Spirito del Risorto. La parentela della comunione cristiana è una realtà concreta e profondamente creativa.
Affidiamo questo augurio ai nostri giovani, come ci chiede di fare il Santo Padre, a Maria. Richiamiamo loro la bellezza della preghiera del Santo Rosario. Tanti sentono questa preghiera in tono minore ed è invece preghiera potente per semplicità e intelligenza perché ci consente di entrare progressivamente nei misteri della vita di Gesù e di Maria.
Alla Regina della pace affidiamo la costruzione dell’ordine della pace. Come ci ha indicato il nostro amato predecessore Beato Giovanni XXIII questo ordine ci domanda l’impegno quotidiano nella verità, nella libertà, nella giustizia e nell’amore.
In these times, in which humanity seems to be almost totally overcome by the trials of every kind. May these Easter wishes strengthen our bond of Christian friendship. May the memorial of the death and Resurrection of Our Lord Jesus Christ fill the hearts of his faithfuls with hope and peace. Happy Easter!
En ces temps où l’humanité apparaît presque anéantie sous le poids de multiples épreuves, que la venue de Pâques renforce le lien de l’amitié chrétienne! Que le Mémorial de la mort et de la Résurrection de Notre Seigneur Jésus-Christ remplisse le c’ur de ses fidèles d’espérance et de paix. Joyeuses Pâques!
En estos días en que la humanidad se encuentra exhausta ante el peso de numerosas pruebas, la felicitación pascual refuerce el vínculo de la amistad cristiana. El memorial de la muerte y de la Resurrección de Nuestro Señor Jesucristo colme el corazón de los fieles de esperanza y de paz.¡ Feliz Pasqua!
In den heutigen Zeiten, in denen die Menschheit vom Gewicht ihrer Leiden fast erdrückt scheint, soll der Ostergruß das Band der Freundschaft unter den Christen festigen. Das Gedächtnis von Tod und Auferstehung unseres Herrn Jesus Christus möge die Herzen seiner Gläubigen mit Hoffnung und Frieden erfüllen. Frohe Ostern!
Basilica Patriarcale di San Marco
MESSA DEL CRSIMA
Is 61, 1-3.6.8-9; Sal 88; Ap 1, 5-8; Lc 4, 16-21
17 aprile 2003
Eminenza Reverendissima,
Cari fratelli nel sacerdozio,
Diaconi e ministri istituiti,
amatissimi figli,
1. «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Vangelo: Lc 4,21). Gesù prende con autorità l’iniziativa di alzarsi a leggere il brano di Isaia (Prima Lettura, Is 61,1-3.6.8-9). L’intensa attesa si trasforma in meraviglia carica di sorpresa quando Egli, l’inviato, si appropria del testo dell’invio. I termini della sua missione, per la quale ha ricevuto l’unzione, già enucleati dal profeta: «… portare il lieto annunzio ai poveri, … fasciare le piaghe… proclamare l’anno di misericordia del Signore» (Is 61,1-2) sono assunti e spiegati nella loro radice dal passaggio dell’Apocalisse (Seconda Lettura: Ap 1,5-8). I tre attributi che descrivono l’identità di Gesù Cristo datore di gloria e di pace ‘ Egli è «testimone fedele; primogenito dei morti; principe dei re della terra» (cf Ap 1,5) – cui corrisponde il triplice omaggio della lode cristiana – «a Colui che ci ama; che ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue; che ha fatto di noi un regno di sacerdoti» (Ap 1,5-6) ‘ prendono forma a partire dalla morte, dalla risurrezione e dalla glorificazione di nostro Signore Gesù Cristo.
Nell’orizzonte svelato da questi misteri, che il sacramento propone come eventi alla nostra libertà, sono poste le opere di Cristo e quindi, in questo preciso orizzonte, devono sempre essere collocate le opere del cristiano. E il ministro ordinato, esercitando i tria munera che gli vengono conferiti il giorno dell’ordinazione, può guidare il popolo santo di Dio solo se rispetta questo oggettivo metodo inaugurato, con autorevolezza, da Colui che proprio per questo si è definito come la Via. È la ragione per cui, nell’Enciclica sull’Eucaristia che viene oggi resa pubblica, il Santo Padre ha identificato nell’acclamazione: «Mistero della fede. Annunciamo la tua morte o Signore, proclamiamo la tua Risurrezione, nell’attesa della tua venuta» il triplice contenuto dell’evangelizzazione che sgorga dall’Eucaristia culmine e fonte della vita stessa della Chiesa (EdE 5.11-20).
2. In forza dell’Eucaristia e della ratio sacramentalis che ne scaturisce (FR 13) l’oggi di Cristo («Oggi si è compiuta questa Scrittura», Lc, 4,21) diventa l’oggi della Chiesa.
Scrive il Papa nella sua nuova Enciclica: «…l’intero Triduum paschale è come raccolto, anticipato e concentrato ‘per sempre’ nel dono eucaristico. In questo dono Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l’attualizzazione perenne del mistero pasquale. Con esso istituiva una misteriosa ‘contemporaneità’ tra quel Triduum e lo scorrere di tutti i secoli» (EdE, 5).
Fuori da questa contemporaneità il nostro esigente ministero, che domanda l’offerta totale della nostra vita, perderebbe ogni significato. Solo a questa condizione infatti l’uomo di ogni tempo, ed in particolare l’uomo disincantato del post-moderno, può decidersi a seguire Cristo. Ce lo ricorda un profeta acuto e tragico come Franz Kafka: «La vita non cessa d’insegnare suo malgrado che non si può mai salvare qualcuno se non con una presenza, e con nient’altro».
Così l’odierna benedizione dei Santi Oli e, in particolare modo, del Santo Crisma, ma più ancora la memoria della duplice istituzione dell’Eucaristia e dell’Ordine sacro, rivela efficacemente la natura sacramentale di tutto il Popolo di Dio, che attraversa la storia proprio per rendere contemporanea alla libertà del singolo la salvezza di Gesù Cristo. Una comunione organica, continuamente rigenerata dal perdono sacramentale e dall’Eucaristia, che noi ministri ordinati celebriamo in persona Christi.
Dalla consapevolezza, quotidianamente ripresa e custodita, dell’origine sacramentale della nostra comunione, scaturisce quella inaudita possibilità, dischiusa in ogni rapporto tra cristiani, ma che deve brillare di intensa luce nel nostro presbiterio patriarcale. Si tratta della carità sacerdotale. Essa implica, costi quel che costi, una stima previa verso tutti. Su che cosa può fondarsi una posizione umana talmente inaudita da essere più forte di tutte le opinioni, più forte di tutte le incomprensioni, più forte persino delle umiliazioni? Sul riconoscimento che chiunque mi è dato, mi è dato dal Padre per il mio bene oggettivo. Quindi mi corrisponde profondamente, al di là di ogni diversità, anche profonda. Come faremmo altrimenti a seguire il comando di Gesù: amate i vostri nemici?
Dove il popolo può vedere questa novità radicale che documenta nel presente il trionfo del Crocifisso Risorto se non nella comunione organica dei suoi presbiteri? Non ci sono pre-condizioni a questa stima a meno di umiliare la carità, senza la quale nulla ha valore. Ebbene la carità incomincia proprio dall’umile e grato riconoscimento dell’unità che ci lega (congregavit nos in unum Christi amor) nella pluriformità di espressioni, frutto della variegata risposta che la storia, le circostanze, e i temperamenti offrono alla multiforme grazia dello Spirito. Questa stima a priori tra i presbiteri si rivela decisiva anche per affrontare la delicata questione della pluralità dei carismi nell’organismo ecclesiale. La comunione sacramentale, ordinando ogni dono all’unità, ripropone l’intreccio di universale e particolare proprio dell’autorealizzarsi della Chiesa. E lo fa a partire dal principio dell’ecclesiologia di comunione: la pluralità nell’unità.
3. La contemporaneità della salvezza, che il sacramento nella Chiesa ci mette a disposizione e che giustifica il nostro sacerdozio ministeriale, non è un magico automatismo. Perché l’Eucaristia sia evento in senso pieno lo Spirito chiede il totale coinvolgimento della nostra libertà. Al dono perennemente assicurato dall’ex opere operato appartiene l’appello all’umana adesione (ex opere operantis).
Il brano dell’Apocalisse, proclamato poc’anzi, ci indica questa ineliminabile condizione quando identifica Gesù Cristo come «il testimone fedele» (Ap 1, 5). Egli vive per la missione affidataGli dal Padre che, col dono dello Spirito, – come dirà la preghiera di benedizione del Santo Crisma – ha «testimoniato con la Sua stessa voce che nel suo Figlio unigenito, dimora tutta la sua compiacenza». Di questa testimonianza del Padre si è reso umanamente protagonista il Figlio di Dio, diventando a sua volta, nello Spirito, testimone del Padre. E in questo scambio di testimonianza, che riflette il dinamismo di comunione proprio della Vita della Trinità, viene introdotto, attraverso il nostro ministero, il Popolo di Dio proprio con il sacramento dell’Eucaristia.
Così il: «Fate questo in memoria di me» mostra come al cuore della liturgia eucaristica ci sia la dinamica integrale della testimonianza: essa sgorga dalla Vita divina per raggiungere l’intero cosmo (cfr EdE, 8).
4. Quanto più diventiamo consapevoli di quale grazia ci viene accordata con il ministero dell’Eucaristia, tanto più può prenderci lo sgomento della nostra inadeguatezza. Ci rifugiamo allora nella esteriorità del rito, mentre uno scetticismo sordo e lacerante rischia di impadronirsi della nostra autocoscienza. «Tota spes mea non nisi in magna valde misericordia Tua»: ogni mia speranza è posta nell’immensa grandezza della Tua misericordia . In queste parole di Agostino sta il rimedio potente contro questa grave tentazione. Solo la misericordia può assicurare il nesso tra il dono eucaristico di Cristo e la nostra libertà. Una misericordia permanentemente elargita nella Santa Chiesa attraverso il sacramento della Riconciliazione di cui dobbiamo essere assidui frequentatori e dispensatori.
Allora la missione presbiterale, tesa alla rigenerazione del nostro popolo, diventa espressione gratuita che scaturisce dalla gratitudine per lo straordinario dono della quotidiana celebrazione eucaristica: «Canterò per sempre l’amore del Signore» (Salmo responsoriale).
Così sapientemente guidate, le nostre comunità parrocchiali invitano uomini e donne ad abitare il tempo e lo spazio alimentandosi eucaristicamente alla Parola di Dio. Con deciso senso di appartenenza ecclesiale imparano a vivere la famiglia, il lavoro, il quartiere, la società civile e politica da veri protagonisti. Di più: diventano, nella loro stessa persona, proposta affascinante di vita nuova.
Il Mysterium fidei si fa, per tutti gli uomini, speranza che non delude. Amen.
BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO
MESSA IN COENA DOMINI
Es 12, 1-8.11-14 dal Salmo 115 1Cor 11, 23-26 Gv 13, 1-15
OMELIA DI S. E. MONS. ANGELO SCOLA, PATRIARCA
Venezia, 17 marzo 2003
1. Gesù e i suoi sono a cena, uno spazio familiare – di riposo, di ascolto e di comunicazione – in cui fa irruzione la vita con le sue luci e le sue ombre, fino all’ombra più inquietante del male. Il grande oppositore, il diavolo, è all’opera attraverso la libertà di un uomo, Giuda Iscariota: la battaglia finale è iniziata. Proprio nel momento estremo della sua lotta con il Maligno, Gesù, «…sapendo che il Padre Gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio tornava,…» (Gv 13, 3) – da qui, quasi a suggellare questo suo insopprimibile scatto di consapevolezza, la decisione ‘ «si alzò… depose le vesti… e cominciò a lavare i piedi…» (Gv 13, 4-5). Con quell’asciutto, fulminante passato remoto Giovanni vuol rimarcare la volontà sovrana di Gesù. Il suo gesto deciso lascia intravvedere piena coscienza e totale determinazione nel portare a compimento la Sua missione. La Sua volontà coincide perfettamente con quella del Padre. In Gesù sovranità ed obbedienza sono identiche. Ciò spiega il trionfo dell’amore del Redentore. Un trionfo paradossale che Péguy descrive con questa affermazione potente nella sua semplicità: «Chi ama viene a dipendere da chi è amato» . Gesù amandoci accetta di dipendere da noi, i suoi amati. Lui, l’innocente, si lascia trattare da peccato, mentre i peccatori siamo noi! (cfr. 2Cor 5, 21).
2. La lavanda dei piedi, gesto paradigmatico di abbassamento ‘ in questo sta l’autentico servizio! ‘ sembra prendere, nel Vangelo di Giovanni, il posto del racconto dell’istituzione dell’Eucaristia. Nel memoriale della cena in cui il pane ed il vino sono trasformati nel Suo corpo donato e nel Suo sangue versato, croce e risurrezione diventano accessibili ad ogni uomo di ogni tempo. L’Eucaristia è culmine dell’amore.
Nella Seconda Lettura, Paolo ne ripropone fedelmente la traditio che lui stesso aveva ricevuto: «Il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: – Questo è il mio corpo… – Similmente, dopo aver cenato, prese anche il calice dicendo: – Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue…» (1Cor 11, 24-25). La missione affidataGli dal Padre, che Gesù sovranamente abbraccia come vertice del Suo amore per Lui, realizza in modo definitivo ed eterno l’alleanza di Dio con il Suo popolo. Come il popolo eletto, riscattato dalla schiavitù di Egitto, trovò in quella liberazione pasquale la radice della propria identità personale e comunitaria Prima Lettura (cfr Es 12, 1-8. 11-14), così, nella pienezza dei tempi l’alleanza nuova e definitiva che il Padre vuole stabilire con tutti gli uomini, si compie nel sacrificio di morte e risurrezione del Figlio. Egli è l’Agnello immolato per la nostra redenzione. La scena della lavanda dei piedi esprime potentemente il ‘servizio di redenzione’ compiuto da Gesù a favore di tutti gli uomini. Dal mistero di fede compiuto sull’altare sgorga quotidianamente la possibilità di un’autentica carità che non si stanca mai, che non è preda della tentazione del contraccambio e del tornaconto. Come spiegare altrimenti la ricchezza delle opere caritative e di vicendevole sostegno (confraternite) che esprimono la gratitudine di noi cristiani per il dono della redenzione?
3. «Se non ti laverò, non avrai parte con me» (Gv 13, 8). La misericordia divina, che la Pasqua di Gesù Cristo ha rivelato, si realizza nella storia degli uomini attraverso la loro partecipazione alla stessa vita divina. Gesù Cristo ci ha donato la possibilità di avere parte con Lui, cioè di essere incorporati al Suo mistero di morte e risurrezione: «ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (1Cor 11, 26). È qui la sorgente inesauribile della comunità cristiana. I suoi – la comunità cristiana, la Chiesa ‘: coloro che, redenti dalla misericordia, sono diventati membra del Suo Corpo, sono stati acquistati dal Sangue redentore. «Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro» (Es 12, 13). Noi cristiani, per la pura misericordia di Dio, senza averlo meritato, siamo coloro che ‘stanno dentro’ la Sua casa. Radunati dall’Agnello per far parte della Chiesa e sederci al «convito nuziale del suo amore» (Preghiera di Colletta).
Proprio oggi, nel memoriale di questo grande Mistero, il Santo Padre ha voluto donarci una Lettera enciclica sull’Eucaristia nel suo rapporto con la Chiesa.
In essa, parlando del sacramento eucaristico, Giovanni Paolo II afferma: «In questo dono Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l’attuazione perenne del mistero pasquale. Con esso costituiva una misteriosa ‘contemporaneità’ tra quel Triduum e lo scorrere di tutti i secoli. Questo pensiero ci porta a sentimenti di grande e grato stupore» (EdE 5). Egli non solo ha voluto consegnarsi alla morte per restituirci alla vita nella Sua risurrezione, ma ha voluto che la vita nuova fosse, fin da ora, alla nostra portata. Ha voluto farsi contemporaneo alla libertà di ogni uomo perché tutti potessero, in prima persona, cominciare subito ad aver parte dei benefici della redenzione. Nel Suo Corpo spezzato e nel Suo Sangue versato per noi e per la nostra salvezza Gesù è perennemente presente tra noi e, se Lo seguiamo, ci assimila progressivamente a Lui. Nonostante la nostra debolezza noi percepiamo una autocoscienza che cresce. Gli affetti diventano più veri, il lavoro più costruttivo. Ecco la prova più grande del trionfo del Risorto in noi.
E noi siamo fatti membra di questo Suo Corpo per la salvezza degli uomini. L’invito di Gesù nel Vangelo – «perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,15) ‘ non poggia anzitutto sul nostro sforzo, ma descrive la nostra libertà redenta. Le opere di carità che noi pratichiamo o lasciano trasparire questa radice eucaristica – l’intimo nesso tra l’Eucaristia e la lavanda dei piedi ‘ oppure rischiano di restare pura filantropia. Generosa ma inadeguata, facile preda delle potenze di questo mondo.
5. «Tantum ergo Sacramentum veneremur cernui». Tra poco, durante la processione, canteremo l’inno con cui da secoli il popolo cristiano manifesta la sua fervente riconoscenza per Gesù presente nel Sacramento eucaristico. Lo stupore grato di cui parlava il Papa si faccia in noi, questa sera, profonda adorazione.
Adorazione di Cristo Redentore che per noi si offre alla passione e alla morte, che per noi risorge, che nell’Eucaristia ha voluto rimanere sempre in mezzo a noi perché abbiamo «vita e vita in abbondanza» (cfr Gv 10, 10). Amen
VEGLIA PASQUALE 2003
Ez 36, 16-28 Rm 6, 3-11 Mc 16, 1-8
1. ‘Veglia di tutte le veglie’ così la Chiesa nostra madre definisce la veglia pasquale. Fratelli e figli carissimi, i nostri occhi devono essere aperti nella contemplazione, il nostro cuore desto nell’amore, la nostra libertà spalancata ad accogliere il mistero di «questa notte gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore!» (Exultet).
Nell’universo intero («Esulti il coro degli Angeli, esulti l’assemblea celeste ‘ Gioisca la terra ‘ Gioisca la Madre Chiesa ‘ e questo tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa») finalmente si sprigiona la gioia: «Un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto» (Exultet). La sua gloria si sprigiona dal sepolcro ed accende in noi un’indomabile gioia.
Il canto dell’Exultet ci ha riproposto, in una mirabile sintesi, tutta la storia della salvezza, l’accadere di quella indomabile volontà di bene con cui il Padre ha, fin dall’inizio, accompagnato l’uomo, ogni uomo ‘ anche noi – rovesciando la logica del peccato e della morte. «Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo dall’oscurità del peccato» (Exultet). In questa notte benedetta il mondo è stato salvato mentre precipitava (cum-ruere) verso un inesorabile crollo, ci ha detto ancora l’Exultet. Dov’era l’ostacolo del male, pietra d’inciampo, si opera con nuova pietra di costruzione, così che dal cuore della Chiesa può sgorgare la paradossale esclamazione: «Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!» (dall’Exultet).
2. Come possiamo vedere nel potente mosaico dell’Anastasis (Risurrezione), Cristo vincitore della morte trascina l’uomo fuori dal regno dei morti, dove era tenuto prigioniero dal principe delle tenebre. Il Risorto, con il suo braccio vigoroso, solleva letteralmente di peso Adamo. Schiaccia sotto i suoi piedi il diavolo incatenato che tenta invano di trattenere la sua vittima. Essa, però, gli sguscia via dalle mani per entrare nei cieli nuovi e nella terra nuova.
Le donne al sepolcro «dicevano tra loro: ‘Chi ci rotolerà via il masso dell’ingresso del sepolcro?’ Ma videro che il masso era già stato rotolato via benché fosse molto grande» (Mc 16, 4). Anche noi, come le donne del Vangelo, riconosciamo la nostra impotenza a smuovere la pietra del sepolcro del peccato e della morte. Sempre, in noi come in loro, è in agguato la tentazione di rinunciarvi. Invece, la forza che ci salva dalla morte è la Sua. La potenza della risurrezione di Cristo viene partecipata a noi, come dice San Paolo nel brano della Lettera ai Romani che abbiamo sentito proclamare. «’ come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato» (Rom 6, 4-6).
3. Il trionfo del Risorto è fecondo. Ci contagia, come documentano le primizie della resurrezione in noi e tra noi.
Anzitutto una nuova, più profonda intelligenza delle cose e una più potente intensità affettiva: uno spirito nuovo e un cuore nuovo, come li ha definiti la Prima Lettura. «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne».
Poi un popolo nuovo, dalla forte appartenenza: «Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo… Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio» (Ez 36, 26-28). Di queste primizie noi siamo i primi a godere. O, meglio, di queste primizie noi siamo i primi stupiti testimoni. Mai la parola responsabilità può essere qui più appropriata.
Anche a noi come alle donne è stato affidato l’annuncio della risurrezione – «Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede» (Mc 16, 7) – perché, come ci ha detto l’Orazione dopo l’ultima