«STAVANO PRESSO LA CROCE’»
I giovani e il Patriarca sulla via della Croce
Martedì 2 Marzo 2004 – Parco della Bissuola, Mestre-Venezia
INTERVENTI DEL PATRIARCA ANGELO
«Vogliamo vedere Gesù»: l’urgenza del cambiamento
(All’inizio, sotto la Croce, dopo il Canto della GMG 2000 «Emmanuel»)
«È giunta un’era di primavera, è tempo di cambiare’». Siamo qui, umanamente tesi a questo cambiamento. Non ci va bene la terribile miseria in cui vivono milioni di uomini del Sud del pianeta e che le nostre televisioni ogni giorno ci sbattono in faccia. Non ci vanno bene né il terrorismo né la guerra. Non ci va bene la sofferenza, il dolore, soprattutto quando tocca l’innocente, il nostro compagno di scuola, i bambini. Forse in maniera ancora più sottile, però tenace, non ci va bene la nostra ottusità, il nostro vivere quotidianamente e normalmente alla superficie di tutto, dimentichi persino della nostra libertà. Non siamo più curiosi come Zaccheo, non più capaci di rischiare come quelli che l’hanno seguito.
Ci vuole una primavera. Come quella che già si annunciava oggi, dopo la neve dei giorni scorsi, già faceva breccia e che, anche in questa sera – pungente, ma limpida – tiene. Tiene la percezione di questa vita che rinasce. È ora di cambiare. Io devo cambiare.
Questa è per noi la strada del cambiamento. Siamo qui perché vogliamo questo cambiamento. Lo vogliamo, indubbiamente, nella società. Lo vogliamo nelle nostra comunità e, per questo, lo vogliamo anzitutto per noi – per me e per te – perché altrimenti sarebbe una menzogna. Pretenderlo dagli altri e dalla società senza cominciare da me ora, qui, questa sera sarebbe una falsità così evidente che nessuno di noi la può accettare.
«Stavano presso la croce», per questo cambiamento.
Proprio oggi il Santo Padre – pensate che bellissima, provvidenziale coincidenza..! – ci ha donato il suo Messaggio in vista della prossima Giornata mondiale della Gioventù a Colonia. Questo «stare» – come stiamo noi ora, come stavano Maria e le donne, come stava Giovanni, come stavano le folle (stasera il Vangelo di Luca ce lo richiamerà) – nelle parole del Papa prende un vigore straordinario.
Il Papa, infatti, lo traduce con l’affermazione piena di curiosità, libera e profonda, ancora più potente di quella di Zaccheo, di quei greci che vanno da Filippo e gli dicono in tono quasi imperioso: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21).
Noi stiamo presso la croce perché vogliamo vedere Gesù, non siamo dei visionari, non siamo degli illusi che, in una sera ancora gelida di un giorno feriale, con la prospettiva incombente degli impegni di scuola, di Università, di lavoro che ci aspettano domattina, hanno lasciato le proprie case per questo cammino dietro la croce.
Non è certo per una fantasia che vogliamo stare, come i suoi, presso la croce. No. Siamo qui perché vogliamo vedere Gesù. Perché noi sappiamo – in qualunque modo siamo qui, in qualunque situazione ci troviamo, di gioia o di dolore, di certezza o di dubbio, di confusione o di chiarezza – noi sentiamo che questa croce che attraversa la storia porta appeso un uomo che ci salva, ci fa giusti. Quel cambiamento che abbiamo nel cuore, Lui ce lo offre.
Ma il Papa aggiunge una frase bellissima che vorrei vi rimanesse nel cuore durante tutto il nostro cammino, che vi chiedo sia di assoluto e totale silenzio e ascolto: «Per vedere Gesù occorre lasciarsi guardare da lui».
Stiamo presso la sua croce perché abbiamo fame e sete di questo sguardo. Perché, poco o tanto, percepiamo che non c’è sguardo più potente, più capace di assumere tutte le nostre contraddizioni, tutte le nostre fragilità, persino il nostro peccato, di questo.
Amici, vogliamo lasciarci guardare da Gesù, perché vogliamo vederlo.
Allora, incominciamo qui la prima statio- «stavano» – la prima stazione di questo nostro cammino custodendo nel cuore questo grido: «Vogliamo vedere Gesù». Per questo ci lasciamo guardare da lui, passo dopo passo, nel silenzio totale, nell’ascolto del Vangelo, dei commenti, dei canti. Così realmente l’«era di primavera» di cui ci ha parlato il canto iniziale accadrà.
Canto «Tu mi guardi dalla croce»: il cambiamento è possibile
(All’ultima stazione, dopo l’ascolto della passione dal Vangelo di Luca, Lc 23,33-46)
È tempo di cambiare, certo. Forse non è difficile esprimere questo giudizio che attraversa il desiderio del mio cuore. È tempo di cambiare. Non è difficile dare questa valutazione, constatando le tante e tante contraddizioni per cui quella che, nell’89, sembrava annunciarsi come una primavera, è riprecipitata verso l’inverno ‘ un po’ come questa sera – caricata dal gelo dell’umana malvagità. È tempo di cambiare.
Chi non sente la verità impellente di questa affermazione, se guarda la giornata che ha passato oggi? Chi di noi non desidera questo?
Ma’ C’è quel ‘ma’ che, dopo la stazione del Cireneo, una di noi, a nome di tutti i giovani, ci ha buttato in faccia: per cambiare ci vuole una ragione. E una ragione non è fatta di parole. Neanche la parola ‘Dio’ basta. Tant’è vero che noi la consumiamo in mille modi, la logoriamo e poi ci permettiamo anche di dire che Dio non c’è. Come se potessimo dire che stasera non c’è la luna o che queste stelle non sono una bellezza a noi donata..!
Per cambiare ci vuole una ragione: per questo siamo qui.
Come Pietro, ferito dallo sguardo carico di amore di Quell’uomo che lui aveva tradito. Ma quando Pietro percepisce che non sapeva ancora amare, non sapeva godere dell’amore, l’amaro pentimento lo attraversa. E, per l’amore di Gesù, diventa un uomo nuovo, fino a dare la sua vita. Pietro, il fondamento degli apostoli.
Ecco una strada per trovare la ragione del cambiamento. Stasera abbiamo scoperto anche altre strade. Un cireneo, un po’ come la folla del Vangelo di Luca, stava lì a guardare. Passava di lì per caso e fu trascinato – chissà se volente o nolente? – in mezzo a quell’avvenimento che segna ancora la storia, dopo migliaia di anni. Come molti di noi, forse. Siamo qui, stiamo sotto la Sua croce, forse un po’ volenti e un po’ nolenti.
Stava sotto la croce anche sua madre. La donna dei dolori, la donna cui la spada trafisse il cuore. E anch’essa fu ripagata dallo sguardo carico d’amore di suo figlio.
«Tu mi guardi dalla croce, questa sera mio Signore», «Dulcis Christe, o dolce Cristo», ci ha ricordato il coro. E Maria, in questo suo stare sotto la croce, fu ripagata dal dono di una nuova famiglia, in cui Lui era presente, con Giovanni. Come noi siamo ripagati dallo stesso dono.
Ancora. Stava la folla curiosa, magari passiva. Stavano i capi e i soldati romani che lo schernivano. Lo scherniva pure il delinquente, negli ultimi istanti della sua vita, e lo scherniva, come capita spesso a molti di noi quando neghiamo l’evidenza e non ce ne accorgiamo. Quando gli diciamo: ‘Se sei il Messia, vieni giù! Se sei tu daccela questa prova. Salvati! Tu che volevi salvar tutti, facci vedere!’.
Non è questa, amici, la ragione. La ragione si intravvede nel buon ladrone, consapevole della sua situazione, che si mette sulla scia dell’invocare l’amore, che capisce che lì, in quel crocefisso, c’è qualcosa di nuovo, di diverso. E lo riconosce per quello che è: ‘l’innocente’, Colui che si fa trattare da delinquente e si lascia impalare alla croce perché io, io nella mia miseria, possa diventare «giustizia di Dio».
Ecco la ragione per cambiare. Ecco la giustizia, espressione della verità, della bellezza, della bontà, della pace. La giustizia che può veramente far pensare a un’era di primavera.
La giustizia ti è donata da questo dolce Signore che ti guarda dalla croce e apre alla via per trovare la ragione del cambiamento. Come anche la folla, poi, saprà riconoscere.
Ma guardiamolo in faccia questo Cristo dolce, questo Cristo caro, come ci ha richiamato il coro. Guardiamolo in faccia.
Di fronte alla folla passiva, a questo «stare» a metà tra il curioso e il sorpreso «da quello spettacolo – come lo definisce Luca ‘ inaudito». Di fronte allo stare di quelli che lo scherniscono e lo provocano a comportarsi come strumento della loro bassa e misera misura – «Salva te stesso, vieni giù dalla croce» – Lui cosa fa? «Padre, perdonali, non sanno quello che fanno».
Perdonali. E non si ferma lì, ma assicura al buon ladrone: ‘Ti porto con me’. Anche nel momento dell’abbassamento totale, anche quando il Padre – che lo regge da sempre come regge ciascuno di noi – sembra lontano, Lui si prende cura. Anche in quel momento riesce a dire a Maria e Giovanni: ‘Siete voi la mia nuova famiglia’. E così inaugura la nostra famiglia, la comunità, la Chiesa cui noi apparteniamo.
Lui si dona, si dona fino in fondo: «Padre, nelle tue mani consegno la mia vita». Il dono totale di sé: ecco la ragione per cambiare.
Amici, abbiamo incontrato uno che ci dona tutto di sé. E noi gli andiamo dietro, siamo qui insieme per questo. Lo vediamo, ma non come dei visionari.
Lo vediamo perché vediamo questa nostra amicizia, perché vediamo la libertà nostra in azione questa sera in questo gesto, in questo inizio di una nuova tradizione nella nostra comunità. Godiamo dunque del suo amore con la stessa naturalezza con cui, dopo il freddo pungente, godiamo della luna e delle stelle in questa serata.
Godiamo del volto dell’amico che ci è vicino, godiamo della bellezza struggente dei canti che abbiam sentito. Godiamo di ciò che il Santo Vangelo ha ‘rimesso’ nella nostra carne. E godiamo di tutto questo perché siamo amati da Lui. Lui che ha consegnato la sua vita e ci apre a capire che la nostra vita ci è stata data per questo dono e che non c’è niente, niente di più bello di questo dono.
E allora le nostre esistenze, i nostri peccati, le nostre meschinità, le nostre mormorazioni, le nostre incapacità, la ristrettezza del nostro sguardo’ tutto questo è come raccolto e trattenuto dalla Sua mano. Dio tiene la mano della Sua misericordia sotto il nostro mento: così raccolto e trattenuto ciascuno di noi è spalancato a questa primavera che si apre.
È possibile il cambiamento. Abbiamo la ragione del cambiamento, ci è stata data la ragione del cambiamento. Cristo ci guarda dalla croce e ci cambia. Occorre soltanto una condizione: lasciare che questo sguardo ci accompagni da ora per tutta la vita. Non dimenticarlo mai, in nessun momento della tua esistenza non dimenticarlo mai.
Lui si è chinato sulla tua libertà e la cura, come una madre cura il suo piccolo nato. Non sfugge nulla all’abbraccio di un Padre che ci ha donato un figlio così. Siamo figli di questo Padre nel Figlio suo.
Carissimi amici, l’amore non è per noi un’astrazione, non è un sentimento confuso, non è la reazione di un istinto. L’amore è questo Gesù benedetto, questo caro Gesù, questo dolce Gesù che è tra di noi mediante tutti gli avvenimenti e attraverso i nostri volti e i nostri rapporti rinnovati, rinnovati anche da questo bel gesto coraggioso, d’inizio di una nuova tradizione nella nostra comunità giovanile.
Ascoltiamo quindi ora il grido di Maria davanti al suo Gesù in croce e mettiamo dentro questo grido il nostro grido, attraversato dal pentimento amaro di questa Quaresima ma già aperto alla primavera della resurrezione di Pasqua.
«Voi ch’amate lo Criatore», noi Lo amiamo.
Le due grandi condizioni: libertà e comunione
(Dopo ascolto del canto assolo «Voi ch’amate lo Criatore»,
prima della recita del Padre Nostro e della benedizione finale)
Libertà e comunione, libertà e comunità: le due grandi condizioni per guardare Gesù, per lasciarsi guardare da Lui. Il senso di questo gesto deve erigere in noi tutte e due queste condizioni in maniera più imponente.
Libero, cioè capace di riconoscere la realtà che ha nel dolce amore di Cristo presente il suo fondamento. Nel suo messaggio il Papa ha una frase che mi ha impressionato. Rivolgendosi ai giovani egli scrive: «Non siate sorpresi di incontrare la croce sulla vostra strada».
Come facciamo a non essere sorpresi? Ma se è proprio la croce che mette in discussione la ragione del cambiamento..!
«Non siate sorpresi, ma guardate a Lui quando la croce si presenterà sulla vostra strada». Guardiamo a Lui. Ma chi regge il mio sguardo? Io lo posso forse reggere da solo? Tu lo puoi reggere da solo?
Questa libertà, che non voglio mi sia toccata neanche per un unghia, ce la fa da sola? Se da solo non sono neanche stato capace di non distrarmi mentre camminavo..! Se mi sono venute in mente mille cose di ciò che devo fare domani’ e non ho saputo amare Colui che ha dato la vita per me e mi ha reso giustizia, neanche per tre secondi di fila..! Io, da solo? Quando mai?!
Ma è Lui a prendere l’iniziativa. Lui, Maria e Giovanni. «Ecco tua madre. Ecco tuo figlio. E da quel momento il discepolo la prese in casa sua».
Amici, le nostre comunità sono questa casa in cui Gesù vive. Seguiamole. La grande famiglia della Diocesi è la dimora piena, è il luogo in cui ogni giorno impariamo l’amore e il lavoro. E il cambiamento si farà reale, ve lo assicuro.
Per questo adesso diciamo insieme, cercando di accompagnarla col cuore e con la mente, la grande preghiera che mette in evidenza la ragione delle ragioni della mia libertà che cresce ogni giorno verso la maturità, nonostante me, e mi riempie di speranza.
La ragione delle ragioni non è un’idea, è il Padre. Insieme, sottovoce, senza gridare, cercando di accompagnare col cuore e con la mente ogni parola diciamo: «Padre nostro…».