Solennità di Pentecoste - Omelia del card. Angelo Scola Patriarca di Venezia (30 maggio 2004)
Basilica di San Marco, Venezia - 30 maggio 2004
30-05-2004

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO EVANGELISTA
SOLENNITÀ DI PENTECOSTE
Cfr At 2, 1-11; Sal 103; Rm 8, 8-17; Gv 14, 15-16.23-26

Venezia, 30 maggio 2004

OMELIA DEL CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

1. L’angoscia mortale cui il singolo di ogni tempo è esposto è in Gesù morto e risorto definitivamente vinta. «’Voi non avete ricevuto uno spirito di schiavi, per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito di figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: ‘Abbà, Padre’» (Rm 8,15). Con questa solenne affermazione l’apostolo Paolo ricorda ai primi cristiani di Roma e conferma a noi oggi la straordinaria rivoluzione: non siamo più schiavi dell’angoscia ma figli dell’amore. «Se uno mi ama osserverà la mia parola ed il Padre mio lo amerà» (Gv 14,23). Questa è la vittoria del Crocifisso Risorto, che il dono dello Spirito rivela in solare chiarezza: «Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire’» e si trovavano tutti insieme si produsse un prodigio (cfr At 2,1-11). Col fragore simile a quello di un vento improvviso ed impetuoso lo Spirito pervase tutta la casa, ma soprattutto si posò su ciascuno dei presenti. Essi ripieni di Spirito Santo annunziarono con un nuovo linguaggio le grandi opere di Dio, attirando l’attenzione dei cosmopoliti abitanti di Gerusalemme. L’elenco dei popoli prodotto dal libro degli Atti è meticoloso ed identifica la destinazione universale dello Spirito. A ciascuno e a tutti, ed anche a noi, quindi, che veniamo da tante parti del mondo duemila anni dopo questi eventi, è dato di partecipare a questo destino di figliolanza che sbaraglia la schiavitù proveniente dall’angoscia di morte che ci ammorba quando viviamo poggiati solo su noi stessi. Naturalisticamente, egoisticamente: questo vuol dire l’uomo che vive «secondo la carne» ed opera secondo i criteri mortiferi della carne (cfr Rm 8,8.12-13).

2. Mentre «lo schiavo non sa cosa fa il suo padrone» (cfr Gv 15,15) , il figlio partecipa totalmente della vita del padre. Il grido confidente di Gesù: «Abbà, Padre» è diventato il nostro grido, dentro ogni rapporto e dentro ogni circostanza ‘ anche le più oscure, dolorose o drammatiche ‘ in cui siamo chiamati a vivere. Perciò noi non viviamo continuamente ricattati dalla paura, ma «nello spirito che è vita» (Rm 8,10). E se uno ha lo Spirito di Cristo appartiene a Lui (cfr Rm 8,9).
Ma questo legame vivificatore è una Persona della Santissima Trinità. Si chiama Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il nesso (nexus) di perfetto amore che unisce il Padre al Figlio e, nello stesso tempo, è il frutto di tale nesso. Egli è Colui che ci rende figli. Il Dono per eccellenza del Padre attraverso Gesù, che noi tutti abbiamo ricevuto nel Battesimo e che oggi, attraverso il sacramento della Confermazione, abiterà, come scrive San Paolo, nei cuori di questi ragazzi e ragazze per introdurli definitivamente nella comunità cristiana.

3. «Sine Tuo numine nihil est in homine, nihil est innoxium», senza la Tua forza, nulla c’è nell’uomo che alla fine non risulti dannoso. Così ci ha fatto pregare l’antichissima Sequenza. Senza lo Spirito di Gesù Risorto noi resteremmo vittime del nichilismo, il terribile veleno che così spesso ammorba il nostro tempo, per altro verso così pieno di fascino e di avventura. Invece lo Spirito guarisce l’infermità del nostro io confuso ed esposto al peccato, incapace di amare. «Lava ciò che è sordido, irriga quanto è arido, sana ciò che sanguina; piega ciò che è rigido, scalda quanto è freddo, sostieni chi tende a sbandare». Con quale realismo la liturgia descrive fin nel dettaglio la condizione in cui normalmente ci troviamo, come persone singole e come famiglia umana’! Non è necessario richiamare qui, sul piano geopoltico, la tragedia delle guerre e del terrorismo o, su quello personale, il ripetersi delle offese con cui spesso tradiamo il desiderio di bene che ci portiamo in cuore.
Carissimi genitori, familiari e amici che avete voluto accompagnare queste ragazze e ragazzi e che stanno per essere confermati, forse nella nostra vita non c’è molto da lavare, da irrigare, da sanare, da piegare, da scaldare o da correggere? Chi di noi può pensare di non aver bisogno di questo dono immenso dello Spirito di vita che toglie dalla nostra esistenza la mentalità di morte? Ma questo dono viene quotidianamente offerto alla libertà di ciascuno di noi attraverso la vita concreta della Chiesa. Il Paraclito, Colui che ci è stato posto personalmente vicino, Colui che si appropria di noi e ci accompagna in ogni circostanza felice o avversa, ci fa «figli’ e coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (cfr Rm 8,17).
Ma la sua consolazione non si limita a qualche breve e provvisorio ‘risarcimento’ per le sofferenze che inevitabilmente la vita ci riserva. Radicandole nel grande sacrificio di Gesù, ci assicura la partecipazione al compimento definitivo della nostra umanità. Esso consiste nella speranza certa di durare per sempre che rende ragionevole e persino conveniente vivere già da ora, qui, su questa terra, come suoi famigliari.

4. La comune figliolanza in Dio, la nuova parentela generata sotto la Croce con il dono dello Spirito che riaccade nell’odierna Pentecoste, genera il nuovo popolo di Dio che lungo la storia parla un nuovo linguaggio: «costruiremo un nuovo linguaggio», dice il poeta Eliot nei suoi Cori della Rocca. La novità di vita donata dallo Spirito, infatti, non resta chiusa nel cuore dei redenti ma, come acqua sorgiva inarrestabile, trabocca e si diffonde su tutta la terra.
Il racconto della mattina della Pentecoste, che abbiamo ascoltato nella Prima Lettura, è veramente impressionante: «’Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell`Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio’» (At 2,7-11). Per la potenza dello Spirito è data a uomini e popoli una nuova e inaudita capacità di comunicare e di comprendersi, senza annullare la loro peculiare identità, anzi esaltandola. E sappiamo bene quanto ce ne sia bisogno nella società multietnica di oggi.
Ne facciamo peculiare esperienza nella nostra affascinante città. Siamo testimoni privilegiati di come la bellezza, cui ha saputo dar espressione una civitas riferita alla fede cristiana, sia capace di parlare ad ogni uomo di ogni cultura e nazione. Le solide radici cristiane della nostra storia non hanno mai costituito un ostacolo per la vocazione di città dell’umanità propria di Venezia. Ma è soprattutto il futuro della nostra città che chiede alla comunità cristiana che qui si esprime – e lo domanda oggi in modo particolare ai cresimandi – di mostrare come la fede dei cristiani ‘ figli non più schiavi ‘ non cessi di generare novità. Possiede una sorgiva capacità di rivolgersi alla libertà di ciascuno esaltandola proprio nello stesso istante in cui la chiama in causa, la provoca a decidere di fronte all’annuncio inaudito del Crocifisso Risorto. Questa è la nostra città per il mondo. La sua costitutiva fragilità non dice morte. Al contrario invoca e genera vita aguzzando l’ingegno di libertà (cfr fronein: Rm 8,5) che saggiamente i veneziani hanno sempre posto sotto la protezione di Gesù e di Maria. La tanto invocata unità europea, da qualche giorno assai più impegnativa per l’inserimento di dieci nuovi paesi nell’Unione, non può far a meno di questa novità che la fede cristiana ha introdotto nella storia degli uomini. Essa non è solo un’eredità, ma una realtà presente e capace di futuro.

5. «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14, 16). La promessa di Gesù si fa più potente quanto più attenzione poniamo a queste parole: con voi per sempre. Non siamo più soli: la solitudine è stata definitivamente sconfitta, l’uomo non è più in balìa di se stesso. Anche oggi qui, in mezzo a noi che celebriamo in questa splendida basilica la festa della Pentecoste, che accompagniamo i nostri ragazzi che riceveranno tra poco in pienezza il dono dello Spirito, riaccade ‘ come dice Péguy – «l’evento dell’ordine e della salvezza dell’uomo, l’insediamento di Dio nel cuore degli uomini». La Trinità stessa, infatti, col dono dello Spirito ha posto la Sua dimora in noi: «Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Il Padre e il Figlio nello Spirito hanno fatto delle nostre persone la dimora di Dio. Di questo ogni cristiano è testimone. Come? Mostrando nella quotidiana esistenza, ad ogni uomo e ogni donna, che la Chiesa è la sua casa. Amen.