Omelia alla Veglia di Pasqua
30 marzo 2002
Basilica Patriarcale di San Marco
(file: veglia.rtf)
1. Andavano in fretta al sepolcro le due Marie, mosse da una speciale forza affettiva. L’avevano amato intensamente. Perché Gesù Cristo era diventato il loro centro affettivo? Perché aveva spalancato ai loro cuori la ragione adeguata per vivere. E senza una ragione adeguata non si vive, si sopravvive.
Amici, anche per noi è così, altrimenti non saremmo qui. Dalla benedizione del fuoco all’accensione del cero pasquale, dall’ascolto dell’attesa prolungata del popolo eletto fino al prorompere del grido dell’Exultet tutta la grandiosa architettura di questo gesto liturgico è focalizzata intorno a questa ragione. Essa ci è stata indicata con chiarezza: ‘In questa santissima notte, Gesù Cristo passò dalla morte alla vita’. Questa ragione non è un’idea, è un fatto. Che un uomo passi dalla morte alla vita è l’avvenimento degli avvenimenti. Non è forse questo il problema cruciale per ogni uomo di ogni tempo? Se questo passaggio, questa pasqua è possibile, la vita assume un orientamento positivo. Uno sopporta tutto perché il presente, comunque sia, porta dentro un destino di permanenza. Invece se questo passaggio, questa pasqua non è possibile, allora tutto rischia di scivolare nel nulla. L’uomo di oggi, che spesso ha smarrito la fede nel portentoso evento pasquale, scivola nel nichilismo. Le sue manifestazioni ci sono ben note. Si cerca di spegnerne l’angoscia in un permissivismo nel quale la libertà si avvolge a spirale nel tentativo affannoso di provare tutto e il contrario di tutto, di trattenere tutto e il contrario di tutto proprio perché teme di perdere ogni cosa.
2. Ma con infinita tenerezza, in questa notte gloriosa, la Chiesa nostra madre riapre, attraverso i cristiani, l’umanità intera alla speranza. ‘Non è qui, è risorto’. E San Paolo ai Romani esplicita tutta la potenza dell’evento: ‘La morte non ha più potere su di lui’. Il Crocifisso Risorto l’ha sconf
itta nella sua carne
– insiste Paolo ‘ ed ‘ha distrutto il corpo del peccato così che noi non ne siamo più schiavi’.
Ecco, amici, il significato del dono del Santo Battesimo che ora conferiremo ai piccoli Mattia e Piero. Loro vengono ‘sepolti insieme a Lui nella Sua morte’ per poter ‘camminare in una vita nuova’. Per accedere alla vita nuova bisogna morire a quella vecchia. Anche noi, rinnovando le promesse battesimali, scopriamo come le due Marie l’avvenimento centrale della vita. Il timore della morte non ci domina più. Anche se siamo nella prova, fisica e morale, anche se siamo nella povertà spirituale e materiale, anche se in molti luoghi la violenza folle sembra dominare ‘ ne sentiamo tracce anche in questa nostra Venezia ed in questa stessa splendida piazza San Marco – anche se per fragilità la caligine del peccato ci tiene prigionieri, la forza del Battesimo, coscientemente vissuta, strappa dalle catene del timore della morte: ‘Se siamo morti con Cristo crediamo che anche vivremo con Lui’.
3. C’è forse ragione più grande per cui esultare con Mattia e Piero e con i loro cari? Come fece quando apparve alle donne e ai discepoli, anche a noi Gesù rivolge il Suo dolcissimo: ‘Salute a voi’, il Suo delicato ‘Non temete’.
Ma come è possibile questo? Dove è possibile questo? Possiamo forse toccare le Sue piaghe gloriose, possiamo mangiare con lui il pesce sulla riva del lago? Non sarà allora una bella favola per placare la sete di immortalità che attraversa ogni fibra del nostro cuore? No, la fede che ci raggiunge qui ed ora dal profondo dei secoli ci dice come è possibile questo dono, ci svela dove esso si realizza. Il Crocifisso glorioso sconfigge tutte le cose vecchie perché genera una nuova creatura. E questa novità si documenta nella nuova famiglia dei cristiani suscitata dal Battesimo, dall’Eucaristia e da tutti i sacramenti. Non siamo più soli, siamo un noi, il noi della Chiesa. Ecco il come: la nuova parentela che lega tutti i battezzati in mezzo ai
quali Egli vive in mo
do permanente. Ecco il dove: la comunità cristiana, il più grande dono che lo Spirito del Risorto non cessa di fare all’umanità provata di oggi.
Dopo duemila anni possiamo godere di Gesù Cristo vivo con lo stesso stupore colmo di letizia che percosse i primi, quando Lo rividero tra loro. Per Lui, amici, dobbiamo vivere, non più per noi stessi. E questa vita nella fede è già eterna. Fin da qui, fin da ora. Ecco la sorpresa che vogliamo annunciare a tutti: dal cuore di questa notte di Pasqua già germoglia la vita eterna. Amen.
Domenica di Pasqua
31 marzo 2002
At 10,34.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Gv20,1-9
Basilica di S. Marco
(file: pasqom.rtf)
1. Lo fece quel mattino del primo giorno dopo il sabato con la Maddalena. Lo fa con noi oggi! Gesù si rivolge direttamente a ciascuno di noi e ci assicura: «Sono risorto e sono sempre con te» (Antifona d’Ingresso). Da duemila anni il popolo cristiano vive di questo annuncio e di questa promessa. Nessun nostro gesto, nessun rapporto, nessuna situazione – dalle più oscure e dolorose fino alle più luminose ed esaltanti – è esclusa dalla Sua tenace compagnia. Tutta la nostra umanità è investita dalla potenza vittoriosa della Sua resurrezione. Non si tratta però di una magia. La redenzione di Cristo non accade meccanicamente, ma rispetta sempre il gioco misterioso e drammatico della nostra libertà. Perciò ora il Risorto interpella direttamente te! La splendida sequenza di Pasqua ci riporta a questo realismo cristiano: «La morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso combattimento». E tutti i giorni dell’uomo – di ogni uomo – sulla terra, partecipano di questo grandioso duello. Ciascuno di noi lo percepisce chiaramente! L’indomabile anelito di bene che ci muove nel rapporto con le persone – soprattutto con quelle più vicine -, che ci fa spendere nel nostro lavoro per preparare una vita più bella ai nostri figli, che ci fa lottare per la costruzione di una società più giusta e più degn
a, va ogni giorno ad infrangersi contro gli scogli
del nostro limite, soprattutto del più pesante, il nostro peccato. Ma, con la Sequenza pasquale, confidiamo in Colui, il Signore della vita, che ha accettato la sconfitta della morte proprio per poterci trascinare nella vittoria della Sua resurrezione. Ecco la ragione dell’esultanza pasquale. Il male, il mio male non ha più l’ultima parola: è vinto! E lo è da oggi, se io lo riconosco e ne domando perdono.
2. «Se siete risorti con Cristo». San Paolo, nella Lettera ai Colossesi che abbiamo sentito proclamare, usa il verbo al
presente. I benefici effetti della resurrezione di Cristo non sono un traguardo remoto, da rinviare ad un al di là che spesso noi abbiamo reso fumoso, ma incominciano nel presente, interessano ciascuno di noi qui e ora.
Su cosa si fonda questa nostra certezza? Perché non è una favola? Solo una risposta personale e convinta a queste domande potrà darci tutto il gusto umano della fede.
Non è una favola anzitutto perché, da quando apparve ai suoi al mattino di Pasqua, uomini e donne di ogni condizione, cultura, razza, obbedendo alla parola di Cristo – «ci ha ordinato di annunciare a tutto il popolo», dice Pietro predicando ai suoi connazionali – sono stati gli anelli di una catena che, attraverso i nostri padri, è arrivata fisicamente fino a noi, riproponendoci lo stesso annuncio e la stessa promessa: Cristo, nostra speranza, è veramente risorto dai morti. Dal mattino di Pasqua un’irresistibile forza di novità buca la scorza dura e rugosa, apparentemente inerte, del vecchio legno della nostra umanità. Gesù risorge nel suo vero corpo, segnato dalle sue piaghe gloriose, e appare ai suoi. Si fa toccare, mangia con loro. Anzitutto è questa la consistente caparra che ci dà certezza della nostra personale risurrezione nella carne.
Ma il Risorto fa fiorire i germogli di una vita nuova già nell’oggi della storia..
Vorrei indicarne tre, che sono decisivi. Anzitutto, da quel mattino l’uomo sa d
i non essere più definito dal proprio peccato perché
riconosce di appartenere ad un Padre che, se egli lo vuole veramente, recupera ogni cosa. Sa di essere amato senza condizioni. Questo dà unità e consistenza al suo io.
In secondo luogo, l’uomo e la donna così liberati scoprono il fascino del vincolo fedele, pubblico ed indissolubile del matrimonio aperto alla vita.
Infine a tutte le relazioni umane – dalla famiglia al quartiere, dalla parrocchia alla fabbrica o alla scuola, fino ad arrivare alle forme più articolate della vita sociale – è restituita la naturale capacità di ess
ere il grembo in cui la persona viene generata e prende consistenza. Così la raccomandazione dell’Apostolo: «Per quanto possibile vivete nella pace» si rivela come la prima e più realistica direzione di lavoro nella edificazione della convivenza civile tra gli uomini. Nel suo orizzonte tutti i soggetti sociali e le autorità istituzionali sono chiamati ad operare in continuo paragone e confronto. Sempre disposti ad amare e ad affermare la verità sopra ogni cosa. Non si può costruire nulla di solido, infatti, se non pagando di persona, mai anteponendo l’egoistico bene, personale o di gruppo, al bene comune.
Today Jesus addresses himself personally to each one of us and he assures us: «I have risen and I am always with you». A tradition, physically uninterrupted has reached us too, involving us ‘here and now’, at least at three levels.The first one regarding ourselves. It finds unity and closeness in the sureness of being limitlessly loved by Christ. So, men and women can discover the fascination of the faithful bond, public and steady of the matrimony, open to life. Finally the Christian is urged to give his contribution ‘ in the respect of every person ‘ in the realistic programme indicated by Saint Paul: «As long as you can ‘ be in peace». Happy Easter!
Aujourd’hui Jésus s’adresse personnellement à chacun d’entre nous et nous dit avec certitude: «Je suis ressuscité et je suis to
ujours avec toi». Cette tradition, qui n’a pas subi d’
interruption, nous a rejoints physiquement nous aussi. Ceci au moins à trois niveaux: le premier concerne notre personne elle-même. Celle-ci trouve son unité et sa consistance dans la certitude d’être aimée par le Christ sans condition. De même, l’homme et la femme découvrent le caractère fascinant du lien fidèle, public et stable qu’est le mariage ouvert à la vie. Finalement le chrétien est appelé à réaliser le programme indiqué par Saint Paul: «Dans la mesure du possible, soyez dans la paix». Le Christ est vraiment ressuscité! Joy
euses Pâques!
Jesus wendet sich heute persönlich an jeden von uns und versichert uns: «Ich bin auferstanden und immer mit dir». Eine ununterbrochene Tradition hat auch uns erreicht und bezieht uns hier und heute ein. Auf mindestens drei Ebenen. Die erste betrifft unsere Person selbst. Sie gewinnt ihre Einheit in der Gewissheit, von Jesus ohne Vorbedingung geliebt zu sein. Auf diese Weise entdecken sodann Mann und Frau die faszinierende Kraft des, in Treue öffentlich und dauerhaft, gelebten Bandes der Ehe, die offen ist für das Leben. Schließlich drängt es den Christen, eine gerechtere Gesellschaft aufzubauen, indem er beiträgt zu dem realistischen Programm auf das der heilige Paulus hingewiesen hat: «Lebt, soweit wie möglich, in Frieden». Frohe Ostern!
Jesús hoy se dirige personalmente a cada uno de nosotros y nos asegura: «He resucitado y estoy sempre contigo». Una tradición ininterrumpida físicamente nos ha alcanzado y nos implica aquí y ahora. Por lo menos a tres niveles. El primero se refiere a nuestra persona. Cada uno de nosotros encuentra unidad y consistencia en la certeza de ser amado sin condiciones. De este modo el hombre y la mujer descubren la fascinanción del vínculo fiel, público y estable del matrimonio abierto a la vida. Por último el cristiano está llamado a contribuyr al programa indicado con realismo por san Pablo: «En la medida de lo posible, vivid en l
a paz». ¡Cristo ha verdaderamente resucitado! ¡Felices P
ascuas!
3. «Allora entrò anche l’altro discepolo … e vide e credette». Entrare, vedere e credere sono i tre momenti di un atto di libertà. In ogni circostanza a ciascuno di noi è chiesta la stessa cosa: entrare nella circostanza – cioè aderirvi -, vederla per quel che è – segno in cui il Padre si rende presente alla nostra vita -, e dire il nostro sì.
La testimonianza è, dunque, la nostra grandezza e la nostra responsabilità. La Vita, infatti, si comunica solo dentro la vita. La testimonianza: cioè dare la vita a Cristo che c
i ha dato la vita. Da soli però non ne saremmo capaci! Per questo Egli ci ha donato la Chiesa. Essere quotidianamente fedeli alla comunità cristiana: ecco l’unica, semplice condizione che ci è chiesta.
4. Scrive un geniale poeta cristiano, Charles Péguy: «Per sperare bisogna essere felici, bisogna aver ottenuto una grande grazia».
Carissimi, chiediamo alla Vergine Nicopeia che ci tenga sempre il cuore spalancato all’inaudita grazia oggi resa manifesta: il Risorto vive tra noi. Potremo così assaporare le primizie della felicità e sostenere la speranza di ogni uomo. E per il cristiano ogni uomo è un fratello! Amen
PASQUA 2002:LA RIFLESSIONE DEL PATRIARCA
file: pasq2002.rtf
Un paradosso scandaloso! Come definire altrimenti l’invito che risuona in tutte le Chiese del mondo a “gioire perché il Risorto ha vinto le tenebre?”
Sembra piuttosto che le lancette del tempo siano rimaste bloccate al Venerdì Santo quando “dense tenebre coprirono tutta la terra mentre crocifiggevano Gesù”. Le tenebre provocate dall’immane crollo dell’11settembre sembrano non alzarsi più. E la pace, relegata nell’extramondo delle utopie, pare farsi sempre più irraggiungibile.
Eppure troviamo l’energia di ricominciare ogni giorno, perché è insopprimibile in noi il desiderio di durare per sempre.. Neppure il timore della morte che, come un rumore di fondo, accompagna le nostre giornate riesce
a spegnere questa sete di eternità. Al cuore della nostra
libertà, ci raggiunge allora il grido stupito della Maddalena, delle donne che per prime con unguenti e profumi intendevano venerare l’amato defunto: “Il sepolcro è vuoto!” Il Crocifisso è risorto. Ti coinvolge in questo suo glorioso destino. Dall’albero della croce è fiorita la vita. E’ innegabile: niente appare così corrispondente alle attese del nostro cuore quanto questo dono inaudito. Tant’è vero che anche chi se ne stacca, abbandonando la feconda testimonianza dei nostri padri , è come se dovesse tacitarne il fascino: “E’ troppo b
ello per essere vero”. No, è bello perché è vero!
Convinto di questo destino buono, il cristiano instancabilmente fa suo il desiderio, proprio di ogni uomo, di amare e di essere amato per sempre. E non può non volere il bene di tutti coloro che incontra. L’urgenza dell’amore di Cristo lo spinge a comunicare questa positività in tutti gli ambiti dove trascorre quotidianamente la sua esistenza: nel quartiere, a scuola, in fabbrica, in ufficio ‘ ovunque.
E così, con una certezza incrollabile, da taluni spesso scambiata per ingenuità, egli continua ad affermare con l’apostolo Paolo: “Cristo è l
a nostra pace”. Dalla Pasqua in
fatti nasce l’indomabile passione a ricercare tutte le strade per risanare le ferite tra i popoli.
Cristo è risorto, ha vinto la morte. Per questo è possibile guardare la sciagura della guerra, l’orrore dell’ingiustizia, la miseria di interi popoli, con la certezza di non trovarsi di fronte all’inevitabile. Il male non è l’ultima parola dell’umana esistenza!
Ad una condizione, però: essere disposti a percorrere la via tracciata da Gesù stesso. Bisogna autoesporsi. Non si può annunciare la risurrezione senza pagare di persona. A partire dalla domanda del cambiamento di sé e delle relazioni più elementari – in famiglia e con chi ci è più prossimo – per giungere fino ad investire tutta la convivenza sociale. Senza dare se stessi non si può proporre a
lla libertà dell’altro la Verità in persona: Gesù Cristo. Eg
li ci ha detto: “Sarete liberi davvero!” Ma il cristiano sa, per esperienza diretta, che la libertà dell’altro può essere persuasa solo liberamente.
+ Angelo Scola
Patriarca di Venezia
Lunedì 25 marzo, giorno in cui la Chiesa celebra la ricorrenza dell’Annunciazione del Signore, Venezia ricorda la propria “nascita”. Come tradizione il Patriarca presiede alle ore 12.00 nel piazzale della Stazione ferroviaria, la cerimonia dell’infiorata alla statua della Madonna.
Ecco il testo dell’intervento del Patriarca.
D
ies Natalis Venetiae
1. È certo una coincidenza felice e ricca di grazia quella che la tradizione stabilisce tra il giorno della nascita di Venezia e quello del concepimento – e quindi della nascita – di Gesù Cristo, del Suo mettere la dimora in mezzo a noi, del Suo farsi in tutto solidale con la nostra condizione umana. Una condizione che, mai come in questi tempi, ci appare provata, quasi “sfinita per la sua debolezza mortale” – come dice una bella preghiera della Liturgia di oggi (Lunedì Santo) -.
Al terrorismo internazionale che sembra aver imboccato un’inarrestabile escalation, si è aggi
unto il vigliacco ed esecrand
o atto terroristico di Bologna in cui è stato ucciso un padre di famiglia inerme, impegnato in coscienza a cercare vie per una adeguata organizzazione del lavoro. Il clima nella realtà socio-politica non riesce a svelenirsi, mentre contraddizioni esplosive ed endemiche continuano a seminare miseria nel Sul del pianeta, non vedendoci esenti da gravi responsabilità. Una situazione di dolorosissima emergenza perdura in Terra Santa. Le contraddizioni – ma diciamo la parola esplicita – il male sembra non dar tregua. Ognuno di noi è messo in discussione nella sua stessa persona e fin dentro i suoi rapporti costitutivi. Le relazioni più elementari – tra l’uomo e la donna, tra genitori e figli, tra individuo e società, tra un popolo e l’altro -, cioè i
l grembo in cui la persona è generata e prende consistenza, so
no spesso attraversate dal dolore e dalla prova, compresa quella causata dalla nostra fragilità.
Di fronte a questa frammentazione dell’io, dei corpi intermedi e della società ci sentiamo quasi impotenti. E la
pace – l’unità nell’uomo e la concordia tra gli uomini – appare quasi come un miraggio sempre più lontano.
2. Eppure, Gesù è morto per ciascuno di noi, per questo nostro mondo. E noi “dalle sue piaghe siamo stati guariti” (Is 53, 5b). Per la potenza del Risorto l’io è destinato ad essere rigenerato. E non solo alla fine dei t
empi, ma incominciando da qui e da ora. Ogni uomo è chiamato a gustare le primizie della Sua resurrezione, cioè del miracolo dell’unità ricostruita, delle relazioni risanate, della pace resa possibile. Il male, se la nostra libertà si apre al Redentore, non sarà l’ultima parola. La vittoria non sarà del maligno. A questa vittoria ci richiama la Vergine Nicopeia e l’Infiorata di oggi celebra Maria come il cuore della dimora della nostra città.
3. Nel giorno del suo compleanno, a 1581 anni dall’inizio della gloriosa storia che tutto il mondo le riconosce, mi sta particolarmente a cuore rivolgere un aug
urio a Venezia. La nostra c
ittà sta affrontando con sagacia la questione ambientale e gli impellenti problemi ad essa legati. Il mio augurio è che essa possa – con la stessa sagacia – affrontare anche la capitale questione antropologica. Mi azzardo – e ne chiedo scusa – a definirla l’emergenza antropologica. Essa, a mio giudizio, rappresenta la condizione decisiva per affrontare tutte le altre – acqua alta e moto ondoso inclusi.
Occorre operare perché – e forse gli ultimi dati aprono alla speranza – si inverta il calo demografico e Venezia viva di un popolo di veneziani. Così potrà sempre meglio accogliere i cittadini del mondo intero offrendo loro la proposta di civiltà propria della sua lungimirante tradizione. Per questo è necessario insistere su misure econom
iche e logistiche che favoriscano la stabile dimora in Venezia,
soprattutto per i giovani che si sposano. E’ parte di quell’attenta cura della polis che – ne sono certo -le nostre Istituzioni civili, sociali e culturali hanno a cuore. Per questo bisognerà anche saper convincere che V
en
ez
ia ha nel suo DNA la possibilità di ospitare stabili agenzie internazionali, per esempio quelle necessarie alla nuova fase della vicenda europea ed in particolare alle sue relazioni col mondo euroasiatico.
Per perseguire questi scopi, però, è indispensabile una robusta tensione ideale e morale in ogni veneziano. Ad
essa intende continuare a contribuire la Chiesa di Venezia, come fa da secoli. Nel rispetto di tutti e della propria identità, attraverso le sue parrocchie e tutte le sue realtà associate, essa consente una stabilità capillare alla popolazione in ogni sestiere.
Alla Vergine Nicopeia affidiamo le aspirazioni buone del nostro cuore e al Suo soccorso le nostre debolezze e le nostre prove.
Auguri a te, Venezia, nel tuo radioso giorno natale che è giorno mariano!
OMELIA ALLA CELEBRAZIONE DEL MERCOLEDI’ SANTO
Non disponibile
GIOVEDI SANTO
SANTA MESSA DEL CRISMA
Basilica di San Marco
28 marzo
2002
Eminenza Rever
endissima,
fratelli nel sacerdozio,
diaconi, lettori, accoliti,
carissimi fedeli,
1. questa Santa Eucaristia ci innesta alla radice del sacerdozio cristiano. Il prefazio ne enuclea le tre componenti: “Con l’unzione dello Spirito Santo hai costituito Cristo tuo Figlio pontefice della nuova ed eterna alleanza”. Ecco la componente costitutiva e primaria: l’unico e definitivo sacerdozio di Cristo. “Unus sacerdos vester, Christus; alii autem ministri eius” ci insegna San Tommaso. Ma, insiste il prefazio, rivolto al Padre: “Tu hai voluto che il Suo unico sacerdozio fosse perpetuato nella Chiesa”. Emergono così le altre due componenti: “Egli comunica il sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti e con affetto di predilezione
sceglie alcuni tra i fratelli che, mediante l’imposizione delle ma
ni, fa partecipi del ministero di salvezza”. Il popolo santo di Dio, nella sua organica unità, è un popolo sacerdotale. Cristo – dice il brano dell’Apocalisse appena sentito proclamare – “ha fatto di noi un regno di sacerdoti”.
Ogni fedele partecipa a questo sacerdozio comune proprio in quanto membro di questo popolo sacerdotale. Il sacramento dell’ordine poi conferisce quel sacerdozio ministeriale che differisce dal sacerdozio comune “per essenza e non solo per grado” (Lumen Gentium, 10), ma che consiste nel “lasciarsi prendere da Cristo a s
ervizio” di questo popolo regale, profetico e sacerdotale.
2. Carissimi, quali ministri dell’unico sacerdote nell’ordine dell’Episcopato, del presbiterato e del diaconato, siamo resi “partecipi della consacrazione di Cristo, per essere testimoni nel mondo della Sua opera di salvezza” (Orazione di Colletta). Il testo evangelico (Lc 4, 16-21) documenta con quale autorevolezza Gesù si appropria del brano di Isaia sull’unzione – che abbiamo inteso proclamare nella prima Lettura (Is 61, 1-3. 6. 8-9) – identificando il compimento messianico con la sua stessa presenza. Ecco la radice dell’unicità del sacerdozio
di Cristo. In Lui perso
na e missione, consacrazione sacerdotale ed opera di salvezza tendono a coincidere. In Cristo Gesù sacerdote si fa manifesto l’imperscrutabile disegno di salvezza del Padre di cui il Triduo pasquale rappresenta l’acme.
Il Vangelo di oggi anticipa per noi l’evidenza che alla fine sarà di tutti: l’opera della salvezza è Cristo stesso. È una persona vivente, cui ciascuno di noi è chiamato a riferire la propria persona. È un avvenimento che interessa la trama dei nostri rapporti. A noi è chiesto di immedesimarci sempre più a Lui: “Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi”.
3. Fissiamo un istante lo sguardo su questo sacerdote del tutto singolare, cioè unico ed irripetibile. Egli è tale perch
é nella sua persona coincidono sacerdote, vittima ed altare. Nessun
sacerdote prima di Lui e nessuno dopo di Lui può esibire una simile configurazione. Nell’offerta totale di Gesù Cristo al Padre, sigillata sulla croce dall’abbraccio dello Spirito, Gesù è sacerdote in quanto attore libero e consapevole
del dono totale di sé; contemporaneamente in questa stessa offerta egli è la vittima perché obbediente, fino alla morte, alla missione affidatagli da un Altro. Perfettamente libero e perfettamente obbediente. Nella libertà perfetta e nell’obbedienza perfetta, egli è sacerdote perfetto e perfetta vittima!
Essend
osi lasciato esinanire fino all’estremo abbassamento il Crocifisso Risorto diventa inoltre l’altare vivente ove, attraverso i ministri ordinati, si perpetua questo straordinario evento.
4. Il fascino di questo ministero, che ho visto brillare sul volto di non pochi di voi – soprattutto di quelli che hanno alle spalle lunghi anni di dedizione – sta tutto in questo essere presi a servizio del popolo sacerdotale.
Cari sacerdoti, per queste profonde ragioni il nostro popolo ci vuole persone immedesimate a Cristo, guide sagge e magnanime, pieni di misericordia, capaci di “esaminare ogni cosa e tenere ciò che è buo
no” (cfr 1Tess 5, 21)
, secondo l’invito dell’Apostolo. Non dimentichiamolo mai! Il nostro compito sacerdotale risplenda nella sua interezza. Il sacerdozio neotestamentario non è anzitutto un sacerdozio rituale perché “il nuovo culto” (Rm 12, 1) – come lo definisce San Paolo – consiste, per prima cosa, nell’offerta di sé a Dio, in Cristo Gesù, mediante il suo Spirito.
Senza questa donazione quotidiana di tutta la nostra vita anche i tre grandi uffici (profetico, sacerdotale e regale) resterebbero illeggibili al nostro popolo. Senza questa donazione totale di noi stessi (“Egli faccia di noi un sacrificio perenne a Te gradito” Canone Terzo Romano), il nostro stesso insegnamento resterebbe in balìa della nostra opinione o, peggio, della nostra
istintività. E non sarebbe lieta la trasmissione della fede oggettiva
della Chiesa.
Per questo, fratelli carissimi, nell’immediatezza del Triduo Pasquale, non ci può sfuggire la grande strada che Cristo, unico sacerdote, ci indica: la croce. La croce come condizione per la risurrezione. Essa ci insegna o, piut
tosto, ci domanda una sola cosa, richiamataci da Sant’Agostino: “Come Egli ha dato la vita, così noi dobbiamo dare la vita”. Questo è essere cristiani e, soprattutto, ministri di Cristo sacerdote: dare la vita. Per i suoi, per il suo gregge. Dare la vita per ogni uomo di questo mondo che Egli vuole attirare
a Sé, per il quale Egli è morto e risorto. Chi segue Cristo scopre ogni giorno di più che nell’offerta di sé sta il grande segreto di una vita piena. E le modalità di questa offerta sono tante quanti sono i bisogni della vita dell’uomo: il brano del profeta Isaia ce ne indica alcune tra le fondamentali.
5. Il popolo santo di Dio per cui noi siamo presi a servizio è un popolo di salvati tratto da tutti i popoli della terra. I cieli nuovi e la terra nuova sono già iniziati. Il mondo è redento. Se la nostra fede non fosse salda questa mia affermazione potrebbe oggi rischiare il ridicolo. Il nostro mondo, infatti, se
mbra tutto tranne c
he un mondo redento. Masse intere di uomini cercano la salvezza, quando la cercano, altrove. Persino i battezzati sembrano volgersi in altre direzioni. Forse, in qualche momento, persino noi. A questo proposito fa sempre impressione l’obiezione di alcuni interlocutori di Sant’Agostino: “Post Christum nihil in melius, omnia in peius mutata sunt?” Dopo Cristo niente è cambiato in meglio, tutto va peggio? Né ci può lasciare indifferenti la sardonica sciabolata di Nietzsche rivolta ai cristiani: “Sarei disposto a credere al loro Salvatore se avessero di più la faccia di salvati”. Ma, a ben vedere, sono solo provocazioni che fanno brillare l’esaltazione dell’umana libertà compiuta da Cristo! La grazia, cioè Gesù Cristo,
cambia il mondo non in modo appariscente e clamoroso, ma perché mette i
n moto la mia, la tua libertà: rende liberi davvero!
Ecco la ferma risposta della Chiesa, solida come la sua indefettibile natura. Si documenterà fra poco, ancora una volta, nella solenne benedizione e distribuzione degli Oli (catecumeni, infermi, cr
isma). Essi consentiranno alle nostre comunità cristiane di porre i segni sacramentali. Vale a dire quei gesti fisici e concreti che offrono, in modo capillare ed efficace, la salvezza alla libertà degli uomini quotidianamente esposta negli affetti e nel lavoro. Attraverso questo fecondo intreccio di
grazia e libertà continua nella storia l’opera della redenzione di Cristo.
Gesù Cristo, il Principio e la Fine, l’Alfa e l’Omega si fa presente qui ed ora (ex opere operato), ma guai a noi se spegniamo questo Evento in ritualismo! Occorre una libertà viva, drammaticamente aperta al reale, che si lascia disporre dall’Evento stesso, come Maria, il “vaso” che lo accolse. Questa accoglienza, lungi dall’essere passiva, è la più grande attività (ex opere operantis)!
6. In questo gesto eucaristico siamo ora condotti per mano dalla tenera e forte iniziativa del Padre a quella metanoia che ci faccia riscoprire i natali del no
stro personale sa
cerdozio ministeriale. Voglio solo ricordare tre condizioni per questo cambiamento.
– Anzitutto la comunione che ci lega perché ci precede. È all’origine. Il senso dell’ordinazione sacerdotale si attua attraverso l’inserimento nel Presbiterio, il cui dato costitutivo è la partecipazione al sacerdozio del Vescovo. Vigiliamo con cura quotidiana su questa unità.
– In secondo luogo la carità pastorale, che non è riducibile all’attenzione psicologica al bisogno dell’altro e neppure al “vogliamoci bene” della pacca sulla spalla quando ci si vede. Essa mi immedesima oggettivamente all’avvenimento del Presbiterio, per cui io voglio con tutto me stesso il bene dell’altro solo perché l’altro è stato chiamato con me.
Questo ha la forza di correggere, ogni giorno, l’inevitabile pregiudizio.
Come il Padre di fronte al nostro errore ci riprende da capo ogni volta, così anche noi ogni giorno dobbiamo spalancare a 360° la nostra libertà per ri-accogliere l’altro, anche chi ci umiliasse.
– Infine siamo chiamati a vivere in un permanente atteggiamento
di confessione. Ma perché non venga ultimamente vanificata dal nostro male, a tale confessione appartiene anche l’umile e consapevole riconoscimento del peccato. Del resto neanche umanamente è possibile che raggiunga la maturità chi non sa riconoscere i propri limiti. Ecco perché Giovanni Paolo
II, nell’annuale lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo, ci invita ad accostarci al Sacramento della Riconciliazione quale sorgente inesauribile di ripresa: “Riscopriamo con gioia e fiducia questo Sacramento. Viviamolo innanzitutto per noi stessi, come un’esigenza profonda e una grazia sempre nuovamente attesa, per ridare vigore e slancio al nostro cammino di santità e al nostro ministero” (n. 4).
7. Carissimi sacerdoti, carissimi diaconi, posso immaginare le prove personali di molti tra voi, la vostra fatica, le vostre umiliazioni e, siccome conosco il mio peccato, forse posso intuire anche il vostro possibile peccat
o; ma ho già av
uto non pochi segni della vostra intensa dedizione. Anche per questo, nell’imminenza del Triduo pasquale, è la letizia a prendere il sopravvento, come ci detto Isaia: “Olio di letizia invece dell’abito di lutto, canto di lode invece di un cuore mesto”.
E nel riaccadere della letizia, carissimi figli, già germoglia fra noi – e perciò in noi – la resurrezione di Pasqua. Amen.