Saluto iniziale del Patriarca al Segretario di Stato vaticano card. Pietro Parolin nella S. Messa per la solennità del patrono San Marco (Venezia, 25 aprile 2015)
25-04-2015
Solennità del patrono San Marco Evangelista (25 aprile 2015)
Basilica Patriarcale di San Marco – Venezia
 
Saluto iniziale del Patriarca mons. Francesco Moraglia
al Segretario di Stato vaticano card. Pietro Parolin
Eminenza Reverendissima,
a nome della Chiesa che è in Venezia Le esprimo il più cordiale saluto, unito al ringraziamento per aver accettato l’invito.
Sappiamo dei Suoi molti e delicati impegni – come primo collaboratore di Papa Francesco – ma essendo veneto, nativo della diocesi di Vicenza, suffraganea della metropolia di Venezia, è sembrato non solo bello ma doveroso chiederLe di presiedere questa Eucaristia in occasione della festa così cara ai veneziani e alle genti venete di cui san Marco è il protettore.
Un saluto cordiale giunga alle autorità civili e militari, ai nostri carissimi sacerdoti, ai diaconi, ai consacrati, alle consacrate, a tutti i veneziani e a quanti sono oggi qui presenti.
Cosa suscita in noi, oggi, il nome Marco, al di là dei ricordi storici della  Serenissima Repubblica o di quelli letterari? Nei Promessi Sposi Renzo – che fugge da Milano e, giunto all’Adda, con la malcelata indifferenza di chi sta scappando e non vuol farlo sapere – domanda al barcaiolo: “Quella riva lì, è bergamasca?”. E alla risposta – “Terra di san Marco” – esclama: “Viva san Marco!” (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap.17).
Al di là di tali ricordi, oggi Marco richiama a noi, discepoli del Signore, ciò che più conta o deve contare: il Vangelo, ossia la buona notizia di Gesù. Il Gesù di Marco ci interpella con la sua parola ma, anche, con i suoi gesti, il suo stile. Un Gesù totalmente libero innanzi al potere dei maestri della legge, schiavi delle loro interpretazioni e ai sacerdoti legati alle loro abitudini di casta privilegiata. Il Gesù di Marco non ricerca popolarità ma autenticità di rapporti.
La domanda che attraversa questo Vangelo è semplice: chi è quest’uomo? Il Gesù di Marco ci appare pienamente umano e, nello stesso tempo, come Colui che, con le sue parole e i suoi atti, si sottrae alla realtà di ogni giorno di cui pure è parte.
L’apostolo Pietro – a quella che è la domanda fondamentale per il discepolo – risponde: “Tu sei il Cristo” (Mc 8,29). E il centurione, ai piedi della croce, proclama: “Davvero quest’uomo era figlio di Dio” (Mc 15,39).  
Tale umanità di Cristo si manifesta, pienamente, alla fine della vita e proprio nell’atto del morire al Calvario: “Il centurione, che si trovava di fronte a Lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: Davvero quest’uomo era figlio di Dio ” (Mc 15,39).
Gesù non è un uomo divino ma il Figlio di Dio che conosciamo solo attraverso la sua obbedienza filiale, nella consegna totale di sé sulla croce.
Così l’evangelista Marco, il cui corpo riposa sotto l’altare maggiore di questa basilica che, per noi veneziani, è la più bella del mondo – ci consegna la divinità di Cristo attraverso una narrazione che, al centro di tutto, pone l’uomo-Gesù.
E quindi l’umano, come ogni giorno – con le parole e i gesti – ci insegna Papa Francesco, diventa segno d’incontro con la divinità.
Eminenza, ancora grazie per essere qui tra noi. La preghiamo di portare il nostro saluto affettuoso a Papa Francesco con l’assicurazione della nostra quotidiana preghiera.