Saluto del Patriarca mons. Francesco Moraglia alle Autorità nel giorno dell'ingresso (Molo S. Marco / Venezia, 25 marzo 2012)
25-03-2012

Molo di S. Marco – Venezia, 25 marzo 2012

 

Saluto del Patriarca mons. Francesco Moraglia alle Autorità

 

 

Ringrazio il sindaco Orsoni, la presidente Zaccariotto e il presidente Zaia per le cortesi parole che mi hanno rivolto a nome delle amministrazioni comunale, provinciale e regionale.

Il compito primo e fondamentale del vescovo – ricorda l’apostolo Paolo nella seconda lettera a Timoteo – è ravvivare la fede della sua comunità (cfr. 2Tim1,6) e, con l’aiuto del Signore, questo sarà mio costante impegno; una fede  che per essere autentica non può farsi estranea a tutto ciò che appartiene all’uomo, al suo essere personale e sociale.

Non è possibile, proprio per questo, ignorare come la presa di possesso del nuovo patriarca avvenga in una congiuntura particolarmente difficile per la nostra gente.

Il nostro popolo – a Venezia come nella terraferma – è da sempre costituito da persone laboriose, intraprendenti e abituate a darsi senza risparmio che conoscono il senso sociale e politico della parola solidarietà, se oltre cinquecento realtà di volontariato sono attive nella nostra provincia.

Ma la crisi, di cui avvertiamo oggi tutti gli effetti, non tiene conto di queste doti soggettive: essa non risparmia il nostro territorio e si manifesta, per lo più, nella precarietà del lavoro, nella difficoltà a trovarlo e, poi, nel conservarlo; centocinquanta mila veneti sono in cerca d’occupazione e molte famiglie, che fino a un recente passato vivevano una situazione di tranquillità economica, ora guardano con preoccupazione al futuro, soprattutto dei loro figli. Per questo il mio pensiero, facendo eco alle vostre parole, va a quanti – giovani e non solo – si trovano in un’ansia crescente, con ricadute pesanti sulla serenità delle loro famiglie che – come ben sappiamo – sono le cellule vitali della società e il più diffuso ammortizzatore sociale del nostro paese.

La crisi attuale chiede un’attenta riflessione; e, a tal proposito, non si può non osservare che la politica appare come sopraffatta dagli eventi, impacciata – seppur volenterosa – nell’elaborare e realizzare progetti all’altezza delle esigenze e delle urgenze concrete, quelle che hanno al centro la persona, la famiglia, i giovani, il lavoro, le comunità locali protagoniste – nella loro soggettività – e che sono poco riconosciute dalla cultura post-moderna, all’interno di una globalizzazione scarsamente orientata e lontana ancora dall’essere effettivamente governata dalla comunità internazionale.

Interrogarsi, significa anzitutto ascoltare e, nello stesso tempo, porsi in questione come singoli e come comunità; ogni critica che sia autentica deve alla fine coincidere con un’autocritica sapiente: a quel punto si potrà tutti insieme, con maggiore determinazione, guardare al cammino che sta innanzi in modo più rassicurante.

L’ottimismo della volontà è indispensabile ma, da solo, non basta, se non si accompagna ad uno sforzo intellettuale di più ampio respiro, grazie al quale ognuno è chiamato a portare il proprio contributo, a non lesinarlo, e a dotarlo della competenza e della saggezza di cui è capace.

Il pensiero, qui, corre alla società civile nelle sue diverse articolazioni e alle sue differenti, molteplici componenti. Non si può non essere tutti d’accordo, al di là degli schieramenti, su un punto, vale a dire che, una società civile più partecipata e vivace, meglio riconosciuta nella propria soggettività e nelle proprie abilità sussidiarie, giova alla politica stessa e all’efficacia della propria iniziativa, perché saprà commisurarsi con le altre dimensioni costitutive di ciascuna comunità. Suscitare una cittadinanza degna di questo nome, in grado di interloquire e di farsi valere, è un guadagno per tutti e può rivelarsi il volano dello sviluppo futuro.

Hanna Arendt – nota studiosa della politica, di origini ebraiche – ci aiuta a mettere a fuoco il problema: ‘Quello che è andato storto – ella osserva – è la politica, e cioè noi, per quanto esistiamo al plurale; e non ‘ per quanto esistiamo al singolare’ (H. Arendt, Che cos’è la politica? Edizioni di Comunità, Milano 1995, 144-145).

Dobbiamo, cioè, ricomprendere la dimensione civile e quella politica come «strutture del bene comune», architravi della «casa comune». La politica deve recuperare prestigio per interloquire, indirizzare, sostenere e correggere l’economia e la finanza. I corpi intermedi della società civile, che in terra veneta hanno una lunga tradizione di presenza e di trascinamento, devono essere valorizzati secondo i principi di solidarietà e sussidiarietà. Le università e i centri di eccellenza culturale vanno riconosciuti per quanto nei diversi campi dell’esperienza umana possono dare a vantaggio di tutti. Le agenzie e le strutture educative che sono sul territorio, a partire dalle parrocchie, devono poter dispiegare per intero la loro missione trovando simpatia e corrispondenza negli altri soggetti sociali. Siamo dentro ad una crisi in parte ancora inesplorata, eppure non è difficile indovinare che essa richiede uno sforzo inedito sotto diversi profili.

Penso, così, al contributo che la dottrina sociale della Chiesa può dare al bene comune, ideale non astratto, ma concretissimo, che interpella tutti ad uscire dal proprio particolare e farsi carico personalmente dell’interesse generale.

Richiamo a questo proposito un pensiero di don Luigi Sturzo, il quale ha sempre considerato la politica finalizzata al bene comune e all’interesse generale; si tratta di un testo significativo, è parte di un articolo scritto, oltre cinquant’anni fa,  nel maggio del 1959, quindi tre mesi prima della sua morte; ascoltandolo pare un testo elaborato oggi: ” Non mancheranno crisi presso gli Stati moderni, non mancheranno contrasti d’interessi e di classi; non finiranno le difficoltà dei disoccupati e degli emigranti; ‘ ma il valore di un popolo e il merito di un governo sarà quello di provvedere in tempo a formare quelle zone di solidarietà umana e cristiana dove si sentirà meglio il calore di una moralità derivante dalla carità cristiana ‘ (L. Sturzo, Economia e moralità, in ‘Via aperta’, 10 agosto 1959).

La comunità ecclesiale – in questi anni – non può non sentirsi interpellata; deve  testimoniare, nei suoi modi molteplici e tipici, che i doveri vengono prima dei diritti e che l’onestà collettiva scaturisce dal contributo dell’onestà personale, mentre, il bene è in ogni caso più grande del male.

I capisaldi della casa comune sono: la persona umana, l’interesse generale, il lavoro – realtà prioritaria rispetto al capitale e ai mezzi di produzione -, la solidarietà e la sussidiarietà, la destinazione universale dei beni. Essi si concretizzano e si realizzano attraverso la comunità civile, perseguendo tanto la giustizia distributiva, quanto quella contributiva; il tutto così potrà concorrere ad una buona vita comune volta realmente all’interesse generale.

Voglio ringraziare i miei predecessori, i cardinali Marco Cè e Angelo Scola per quanto hanno fatto durante i loro episcopati in tali ambiti.

Sindaco Orsoni, Presidente Zaccariotto, Presidente Zaia, vorrei che sapeste che nella costante ricerca del bene comune, con particolare attenzione ai soggetti e alle categorie più deboli, avrete sempre vicino, nella distinzione dei ruoli e dei compiti, il Patriarca e, col Patriarca, la Chiesa che è in Venezia, realtà da sempre vitale ed essenziale per la vita della città. Grazie.