Saluto del Patriarca all'inaugurazione del Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia “Con i miei occhi” (Venezia / Carcere femminile della Giudecca, 19 aprile 2024)
19-04-2024

Inaugurazione del Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia “Con i miei occhi”

(Venezia / Carcere femminile della Giudecca, 19 aprile 2024)

Saluto del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

Saluto cordialmente S.E. Card José Tolentino de Mendonça che, con il Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione, ha voluto e promosso questa iniziativa. Saluto la direzione del carcere e l’amministrazione penitenziaria – che si sono cimentate in questa “avventura” anche per loro inedita e non scontata – e gli artisti e le detenute che hanno contribuito a dare vita e sostanza a questo padiglione. E saluto le autorità, i rappresentanti della Biennale e tutti voi oggi qui presenti.

Credo che a tutti noi questo padiglione, progettato e realizzato in un contesto singolarissimo, provochi una reazione e un’emozione particolare perché, in primo luogo, scombina e fa saltare tante considerazioni e convinzioni abituali.

Le opere e le performance d’arte e più in generale la bellezza, nel momento in cui vengono esposte e sottoposte alla visione del pubblico, cercano di essere il più possibile vicine e fruibili ma qui siamo in un carcere che è un luogo “ristretto” e “separato” per eccellenza e dove chi entra deve seguire una necessaria trafila.

La stessa idea di arte e di bellezza sembra non combaciare e non adattarsi immediatamente a questo luogo che richiama piuttosto momenti e sfumature di vita non così congeniali. Questo padiglione, insomma, ci consegna innanzitutto una suggestione che nasce da questo contesto – dotato, peraltro, di quel fascino malinconico e meno da “cartolina” che Venezia spesso sa offrire – ed emerge soprattutto per il suo carattere di discontinuità, frattura, interruzione, separazione e stacco rispetto ai canoni a cui siamo abituati.

Dobbiamo essere davvero grati a chi ha ideato, progettato e realizzato questo percorso multiforme, in chiave contemporanea e che utilizza linguaggi e codici differenti, perché così ci insegnano – con discrezione ed anche con una rispettosa audacia –  a guardare la realtà con gli occhi di altri o di altre, ad entrare almeno in parte nel cuore di chi – per motivi diversi e per responsabilità che non stiamo qui a considerare – si trova ad essere per un po’ di tempo separato dal resto della società ma non può e non deve mai essere escluso/espulso o abbandonato dalla società stessa.

I prodigi dell’arte e della bellezza, che una città come Venezia sa favorire, si rinnovano così in questo padiglione quasi rompendo lo “iato” – quella linea di separazione di cui parlavo un attimo fa – e si introduce un raggio di bellezza e di arte nella quotidiana vita di un contesto che è luogo di reclusione ma anche, si spera in modo sempre più netto, di autentica riparazione e di preparazione e formazione ad un diverso rientro in società.

C’è, insomma, un bel riflesso di novità e di gratuità che ci viene donato oggi da questo luogo e da questo singolarissimo padiglione che ci costringe a compiere un percorso fisico e spirituale, in una parola “umano”, che ci può far avvicinare agli altri – anche a chi non saremmo portati di solito ad avvicinare – e che può vincere tanti muri e alcune separatezze che sono soprattutto nel nostro cuore e nella nostra mente. Grazie.