Riflessione conclusiva alla marcia per la pace
 Mestre Duomo S. Lorenzo, sabato 25 gennaio 2003
25-01-2003

«DIRIGERE I NOSTRI PASSI SULLA VIA DELLA PACE»
MARCIA PER LA PACE
Venezia-Mestre, 25 gennaio 2003

RIFLESSIONE CONCLUSIVA
S. E. MONS. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

«Dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1, 79): il versetto del Benedictus scelto come criterio guida per questa nostra Marcia per la pace parla da solo. Quando si tratta di ‘pace’ l’uomo è chiamato a mettersi in cammino.
Non bastano, infatti, né i discorsi, né le buone intenzioni. Non basta neppure un’accurata e necessaria analisi della situazione geo-politica mondiale, tesa ad individuare le cause e le responsabilità della violenza e della guerra. In questo senso è molto significativo il caso della martoriata Terra Santa. E l’assenza obbligata di Padre Ibrahim (Faltas) questa sera ‘ il quale, addolorato, si unisce a noi in preghiera – ci fa ancor più toccare con mano la tragedia che si sta svolgendo in quella terra a noi cristiani carissima.
Noi sappiamo che l’esatto contrario della pace è la violenza che scaturisce dal divario tra la conoscenza del bene e la sua attuazione (come sono vere le parole di san Paolo: «io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7, 19)! E noi ci rendiamo ben conto, per esperienza personale, in quante e quali forme di violenza possiamo cadere. Basti pensare a quella subdola e spesso quotidiana degli affetti. Se non partiamo da qui, dal male che è in noi e nell’uomo, che ammorba le persone, i gruppi ed i popoli generando violenza, inseguiamo la pace come un’utopia, finendo, magari involontariamente, per ridurre Gesù Cristo a puro pretesto. Cedere alla tentazione dell’utopia significa non partire dalla realtà ‘ come dice la parola utopia, che vuol dire non-luogo -, ma imporre alla realtà una teoria fabbricata a tavolino e costringerla nella gabbia della nostra limitata misura.
Gabbia che oggi ci espone a un duplice rischio.
Da una parte quello di sottovalutare la gravità del conflitto che già in qualche modo ci coinvolge, sott
oposti come siamo quotidianamente alla minaccia terroristica. In tale situazione non è difficile cadere nella fuorviante semplificazione che presume di poter sempre demarcare nettamente il campo dei ‘buoni’ da quello dei ‘cattivi’, come se la terribile battaglia per la pace non passasse dal cuore di ogni uomo e di ogni popolo. Come non scorgere in questa tentazione semplificatrice un certo revival, sotto nuove spoglie, di quelle ideologie che così tragicamente si sono scontrate nel novecento? Una pace così intesa è fuori dalla realtà e riduce la generosità dell’impegno a slogans ossessivamente gridati e ripetuti, a mera manifestazione esteriore.
Ma c’è un altro rischio non meno insidioso: quello di sacrificare la pace ad una visione che si vuole ‘realistica’, di Realpolitik, che giunge ad accusare quanti alzano la loro voce in difesa della pace di essere vittime «di un elemento di forte unilateralità». Si dice allora che la guerra è un male inevitabile. O si conclude con scetticismo, ed ultimamente in maniera irresponsabile, che ‘la pace non è possibile’, quando non si arriva ad affermare, non senza una punta di cinismo: ‘la guerra è doverosa’. Anche qui è all’opera l’ideologia.
Contro questi rischi ci richiama Giovanni Paolo II stimolandoci, con vigore e con rigore, alla pace ordinata. Lo insegnò, quarant’anni fa nell’enciclica Pacem in terris, il nostro amato Giovanni XXIII: la pace «è un ordine che si fonda sulla verità; che va attuato secondo giustizia; domanda di essere vivificato e integrato dall’amore; esige di essere ricomposto nella libertà in equilibri sempre nuovi e più umani » (Pacem in terris 20).
Si tratta di un principio immediatamente riconoscibile da parte di tutti e, soprattutto, assolutamente alla portata di ciascuno di noi. Quest’ordine ‘ che in estrema sintesi si identifica con il primato della persona, sempre situata storicamente e radicata in un popolo – può e deve diventare il criterio quotidiano di ogni nostro rapporto: in famiglia come
sul lavoro, nei luoghi della convivenza sociale e politica, a livello nazionale come a livello internazionale.
A questa visione della persona, dei popoli e della loro convivenza ha fatto riferimento di recente il Papa affermando: «La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità (…) Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le Nazioni. Come ricordano la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Diritto internazionale, non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni, né vanno trascurate le conseguenze che essa comporta per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni militari» (Giovanni Paolo II, Udienza al Corpo Diplomatico 13 gennaio 2003, n. 4).
Il Santo Padre ha scelto, come spesso tocca ai cristiani, la via ardua della pace ordinata, che non si lascia schiacciare tra le ideologie, che non insegue l’utopia. È un cammino come sulla cresta della montagna o sul filo del rasoio. Di questa pace i cristiani intendono essere testimoni.
Questi sono i criteri-guida dei gesti di pace ‘ come quello di questa sera ‘ a cui la Chiesa ci invita: «A voler guardare le cose a fondo ‘ dice il Papa – si deve riconoscere che la pace non è tanto questione di strutture, quanto di persone. Strutture e procedure di pace ‘ giuridiche, politiche ed economiche ‘ sono certamente necessarie e fortunatamente sono spesso presenti. Esse tuttavia non sono che il frutto della saggezza e dell’esperienza accumulata lungo la storia mediante innumerevoli gesti di pace, posti da uomini e donne che hanno saputo sperare senza cedere mai allo scoraggiamento. Gesti di pace nascono dalla vita di persone che coltivano nel proprio animo costanti atteggiamenti di pace. Sono frutto della mente e del cuore di ‘operatori di pace’ (Mt 5, 9). Gesti di pace sono possibili quando la gente apprezza p
ienamente la dimensione comunitaria della vita, così da percepire il significato e le conseguenze che certi eventi hanno sulla propria comunità e sul mondo nel suo insieme. Gesti di pace creano una tradizione e una cultura di pace» (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1 gennaio 2003, n. 9).
Mi sembra di poter dire che la nostra Marcia per la Pace sia proprio uno di questi gesti di pace teso ad educare tutti noi ad una tradizione e a una cultura di pace. Ma attenzione! Non c’è vera educazione se non è integrale. Non ci si educa ad un valore ‘ come la pace ‘ se non educandosi contemporaneamente a tutti i valori. Infatti, ogni valore mette in gioco tutti i valori secondo una precisa gerarchia, perché chiama in causa tutta la persona e la chiama ad aderire a tutta la realtà nella sua verità, bontà e bellezza. Per noi cristiani non c’è educazione alla pace che non sia contemporaneamente educazione alla fede, quale si può vivere solo mediante un’esperienza di appartenenza forte a comunità cristiane vitali, concretamente incontrabili. Queste comunità sono luogo di educazione permanente alla carità, al giudizio sulla realtà (cultura), a vivere le dimensioni del mondo (missione). Gli uomini non crescono, per così dire, ‘settorialmente’! Questa è la ragione per cui alla fine di questo incontro ci verrà distribuito un foglio di avvisi con diverse possibilità e iniziative di gesti di condivisione, di formazione del giudizio, di impegno fattivo con i bisogni più radicali a cominciare da quelli dei paesi di endemica povertà. Ci vengono proposti per questa necessaria educazione integrale delle nostre persone. Diventeremo così operatori di pace nel quotidiano, legittimando il nostro fermo grido di questa sera ai potenti del mondo: «NO ALLA GUERRA!».
Signore Gesù, Principe della Pace, dirigi i nostri passi sulla via della pace. Rimetti in moto la nostra libertà; concedi a ciascuno di noi la grazia di esporsi in prima persona sul cammino della pace; fa
che la nostra comunità cristiana irradi la pace che la Tua misericordia incessantemente le dona. Lo chiediamo, per intercessione di Maria, Regina della Pace, Madre nostra e Madre Tua, a Te che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.