Redentore 2001: l'omelia del card. Marco Cè (15 luglio 2001)
 Pronunciata alla S. Messa solenne domenica 15 luglio 2001, ore 19.00
15-07-2001

1. Il Redentore è una festa tutta veneziana, civica e intensamente religiosa: il ponte votivo, una vigilia di allegria in laguna e, sul finir della festa, l’Eucaristia solenne di ringraziamento con le Autorità e il Patriarca.
La festosità di questa giornata non deve farci dimenticare la ricchezza impegnativa dei contenuti che essa celebra.
La festa del Redentore nasce dal grido di dolore di una città prostrata da una devastante pestilenza: i testi liturgici appena proclamati, sono un’apertura di fede e di speranza; nello stesso tempo suonano come forte richiamo di vita.

2. Partiamo dall’ascolto della Parola di Dio.
La prima lettura (Ez 34, 11-16) è un testo classico nel quale Dio si proclama pastore buono del suo popolo: ‘Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura’ le condurrò al pascolo e le farò riposare. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata”
Gesù, nel Vangelo (Gv 10, 11-16) applicherà a sé questo titolo di Dio, si proclamerà pastore buono, portando tale bontà alla prova suprema dell’amore: ‘Il buon pastore dà la vita per le sue pecore’.
Nella metafora del pastore e del gregge va sottolineato primariamente l’amore del pastore. Non vanno però dimenticate le relazioni interne del gregge: Dio si prende cura di tutte le pecore, Dio le conosce, le chiama per nome, le tiene raccolte.

Nella seconda lettura (Rm 5, 5-11) l’apostolo Paolo proclama la sua speranza sicura, fondata sul fatto che l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. E questo grazie alla croce di Cristo, il quale morì per noi non perché noi gli eravamo amici, ma mentre eravamo nel peccato, suoi nemici: per puro amore, quindi, e per salvarci.
Per tale motivo la nostra speranza nella salvezza è piena.

Il Vangelo (Gv 3, 13-17), tratto dal dialogo di Gesù con Nicodemo, è dominato dall’espressione centrale: ‘Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio, l’unico, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.’
3. La festa del Redentore deve essere interpretata alla luce di questi testi della Parola di Dio: essa è allora una lieta notizia e ci ricorda che noi siamo salvati mediante il sangue di Cristo; ci ricorda però che questo amore ci apre a un dovere di solidarietà e di condivisione con i fratelli vicini e lontani.
La nostra risposta all’evento di salvezza costituito dalla Croce, è la fede in Gesù, unico salvatore; ma, insieme, è l’impegno ad aprirci con cuore solidale alla sofferenza e al bisogno dei fratelli.

Il Figlio di Dio, facendosi uomo, si è unito a tutti gli uomini: lui ci ha resi partecipi della sua filiazione divina, capaci di rivolgerci a Dio chiamandolo Padre. Ma proprio questo ci ha unito a tutti gli uomini, vicini e lontani, al punto che noi saremo giudicati precisamente sulla nostra apertura a vedere nel fratello povero, affamato, straniero, in carcere’ Gesù stesso.
Ed Egli riterrà fatto a sé, o negato a sé, ciò che noi avremo fatto o negato al fratello che è nel bisogno.

4. A questo punto, sforziamoci di leggere, alla luce delle verità che abbiamo richiamato, alcuni aspetti della nostra vita.
L’estate fa emergere taluni problemi di sempre e li rincrudisce.
Io, ancora una volta, penso agli anziani che, proprio d’estate, quando i familiari vorrebbero andare in vacanza, rischiano di sentirsi un peso. E questo è quanto di più avvilente possa accadere ad una persona che è vissuta per dare un avvenire migliore alle future generazioni. D’estate gli anziani rischiano di rimanere anche molto soli.
La solitudine è la grande sofferenza degli anziani, che invece hanno tanto bisogno di affetto.

Ancora: l’estate disperde molte persone e quindi rende particolarmente pesante la situazione delle famiglie che hanno a carico un disabile o un ex-manicomiale.
Evoco queste situazioni innanzitutto per dire a coloro che ne soffrono e che forse pensano con amarezza al Redentore come a una festa a loro negata, che noi li ricordiamo. Nello stesso tempo esprimiamo apprezzamento e incoraggiamento ai volontari, giovani e non giovani, che anche in questo periodo si dedicano a chi è nel bisogno.

Ricordo infine queste situazioni per porre a me stesso e a tutti voi che mi ascoltate, la domanda se non possiamo fare anche noi qualche passo in più nella linea della solidarietà e della condivisione; e soprattutto nella assunzione d’uno stile di vita che nell’uso del denaro e nel godimento del benessere tenga conto degli altri: questo può essere fatto da tutti e cambia la mentalità, creando una cultura nuova.

Io ho accennato ad alcune situazioni particolarmente dure durante l’estate; ma il campo è vastissimo e va dalla sensibilità al mondo delle carceri, ai problemi delle ragazze madri e delle donne in difficoltà, ai poveri che ancora ci sono, ai molti immigrati e rifugiati che affollano le nostre mense della carità, alle persone anziane sotto la minaccia di uno sfratto’
Sarebbe mistificante celebrare la festa del Redentore, mistero supremo di solidarietà, senza scoprire nel volto di Cristo crocifisso le sembianze del fratello che soffre. Perché il Redentore è un mistero unificante: nel volto di Cristo crocifisso c’è il mio volto, ma c’è anche quello di ogni mio fratello che soffre.

5. Per lo stesso motivo non possiamo eludere il tema tanto dibattuto in questi giorni in vista del G8 ormai imminente: il fenomeno della globalizzazione.
Un tema che dobbiamo affrontare con consapevolezza e discernimento cristiano.
Molto si è detto in questi ultimi tempi e parole di alto valore morale sono state pronunciate con illuminata saggezza dalla Suprema Magistratura della Repubblica.
Come cristiani non possiamo non condividere la preoccupazione per la crescente divaricazione fra i popoli ricchi e quelli poveri, che sono peraltro la grande maggioranza degli uomini. L’auspicio che noi eleviamo è che il processo di globalizzazione sia nel segno della solidarietà anche con i popoli più poveri e in quello della condivisione dei beni da Dio consegnati all’uomo per tutta l’umanità.
Occorre quindi una coraggiosa sapienza politica perché i processi in atto siano guidati e non abbandonati alla sola concorrenza selvaggia. Il libero mercato e la globalizzazione non vanno idolatrati né vanno demonizzati: vanno politicamente governati ed efficacemente regolati ‘dalle ragioni del bene comune dei cittadini del mondo intero sulla base delle irrinunciabili esigenze della giustizia e della solidarietà’ (Giovanni Paolo II, all’Angelus dell’ 8.VII.2000).
Noi auspichiamo e preghiamo perché la dialettica che si sta svolgendo su questi problemi, proprio in queste settimane, si attui nel rispetto delle regole d’una libera convivenza civile, escludendo ogni violenza nei confronti degli uomini e delle cose e, ancor più, noi preghiamo perché i paesi ricchi del mondo ascoltino il grido dei poveri, come ha invocato il Papa.
Se sono scritte realmente nel Vangelo le parole evocate: ‘Avevo fame e mi avete dato da mangiare’tutto quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a me’, il grido dei poveri è il grido di Dio, e il grido di Cristo in croce.
E allora per il G8 dobbiamo pregare, e lo facciamo con una bella orazione del Messale:

‘O Dio, che hai dato a tutte le genti un’unica origine
e vuoi riunirle in una sola famiglia,
fa che gli uomini si riconoscano fratelli
e promuovano nella solidarietà lo sviluppo di ogni popolo,
perché con le risorse che hai disposto per tutta l’umanità
si affermino i diritti di ogni uomo
e la comunità umana conosca un’era di uguaglianza e di pace’.