Predicazione del Patriarca in occasione dei Vespri con i partecipanti al XVII Convegno Nazionale di Pastorale Giovanile organizzato dalla CEI (Venezia / Basilica di S. Marco, 31 maggio 2022)
31-05-2022

Vespri con i partecipanti al XVII Convegno Nazionale di Pastorale Giovanile organizzato dalla CEI

(Venezia / Basilica di S. Marco, 31 maggio 2022)

Predicazione del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

  

 

(Genesi 28,10-19)

10 Giacobbe partì da Betsabea e si diresse verso Carran. 11Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese là una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo.

 12Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. 13Ecco, il Signore gli stava davanti e disse: “Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. 14La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. 15Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto”.

16Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: “Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo”. 17Ebbe timore e disse: “Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo”. 18La mattina Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. 19E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora la città si chiamava Luz.

20Giacobbe fece questo voto: “Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, 21se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. 22Questa pietra, che io ho eretto come stele, sarà una casa di Dio; di quanto mi darai, io ti offrirò la decima”.

 

 

Carissimi e carissime partecipanti al XVII convegno nazionale di Pastorale Giovanile organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana: benvenuti nella Patriarcale Basilica di San Marco che custodisce le spoglie mortali dell’Evangelista Marco.

Il testo della Sacra Scrittura che ci è stato proposto nella liturgia dei Vespri presenta la figura di Giacobbe, fa intuire la sua situazione spirituale, propone il viaggio in cui l’Usurpatore (è uno dei significati del nome Giacobbe) scopre che la terra – dove, impaurito, si ferma per trascorrere una notte – non gli è ostile ma, al contrario, è abitata da Dio che viglia su di lui come Padre.

Mentre i libri sapienziali esortano con insegnamenti, consigli ed ammonimenti, il brano della Genesi che abbiamo appena letto ci pone dinanzi ad una persona e ad una storia. Una storia è il prolungarsi di un evento. Una persona è segnata dalla sua storia.

L’impressione è d’essere dinanzi a un giovane disorientato che ha rotto con tutto e con tutti e che sta fuggendo.

L’antefatto lo conosciamo bene. Giacobbe ha approfittato di un fratello rozzo, superficiale e che si lascia dominare da istinti e passioni. Un giorno in cui Esaù è stanco e affamato, Giacobbe – lo scaltro – gli ruba la primogenitura. Ma adesso Esaù vuole vendicarsi ed è dominato dall’odio.

Giacobbe, oltre ad aver rotto i rapporti col fratello, ha anche ingannato l’anziano padre, quasi cieco. Gli ha mentito e ne ha carpito la benedizione; è, appunto, lo scaltro usurpatore.

La madre, Rebecca, è lei che ha ordito la trama ma, ora, la situazione le è scappata di mano e, per sottrarre Giacobbe all’odio di Esaù, lo manda via di casa. Siamo di fronte a una famiglia sfasciata!

Così Giacobbe fugge e va verso un paese sconosciuto ed eccolo mentre percorre una strada ignota; è un viandante smarrito, sbandato, disorientato – interiormente ed esteriormente – e, allora, inizia a riflettere.

Per raggiungere la casa dello zio Labano, il fratello della madre, deve percorrere a piedi circa 1600 chilometri (la distanza tra Trieste a Trapani); inizia per lui un lungo esilio e quando ritornerà non sarà più lo stesso.

L’esilio – per la storia della salvezza – è esperienza fondamentale, voluta da Dio per purificare, convertire, cambiare la mente e il cuore d’Israele.

Giacobbe è un giovane che ha infranto le relazioni fondamentali del vivere, con il padre, la madre, il fratello, con tutta la sua famiglia; ha frantumato i rapporti costitutivi della persona, è interiormente provato, è confuso e sta scappando dal fratello, dalla sua famiglia, ma in realtà, egli sta fuggendo da sé.

Ritorniamo al testo della Genesi:

“Giacobbe partì da Betsabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese là una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo” (Gen 28,10-11).

Sì, non ha con sé nulla, nemmeno un sacco per posarvi il capo e, così, si sdraia in un luogo che per lui è terra estranea, non sua, ostile. Giacobbe non sa bene neppure dove si trova; è un giovane che ha dentro di sé molte ferite che gli bruciano e non c’è chi lo aiuti a risanarle.

È la situazione, oggi, di molti giovani che hanno drammaticamente smarrito la bussola della loro vita, hanno perso il senso dell’esistere; avvertono paura, angoscia, confondono desideri e diritti, sono smarriti dinanzi ad un avvenire che incombe su di loro.

12Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. 13Ecco, il Signore gli stava davanti e disse: “Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. 14La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra“ (Gen 28,12-14).

Ma proprio “dentro” una situazione così compromessa accade l’improbabile: Dio parla a Giacobbe. Il sogno, nella Bibbia, è il rendersi presente di Dio nella vita di una persona, non perché questa persona è buona o lo merita ma perché Dio è buono, è Padre.

Dio mi vuole bene, non si ferma ai miei errori, alle mie falsità e tradimenti. Dio sta davanti a Giacobbe o, meglio, è presente “in lui” e sta dentro i suoi errori, le sue bugie e le sue ruberie perché Giacobbe se ne liberi e vinca tutto ciò.

E Dio promette di ricostruire le coordinate spezzate della vita di Giacobbe e tutto ciò che Giacobbe ha smarrito. Dio è il Dio della promessa, il Dio della vita che dà fiducia all’uomo, chiunque esso sia, anche al più disastrato. Sì, dà fiducia anche a Giacobbe.

15Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto”.16Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: “Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo”. 17Ebbe timore e disse: “Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo” (Gen 28, 15-17).

Giacobbe è così il prescelto, colui che è predestinato ad essere il padre di Israele. Ma perché Dio ha scelto proprio un usurpatore, un calcolatore, un mentitore?

Dio ha voluto per lui un lungo percorso di conversione, un cammino che durerà vent’anni, perché essere discepoli del Signore è avventura quotidiana che richiede prima di tutto la conversione personale, cioè l’incontro con Dio all’interno della propria storia con tutte le sue fragilità e debolezze.

Questo cammino è, quindi, la sua lenta conversione, per cui Giacobbe non sarà più l’usurpatore ma colui che ha combattuto con Dio e con gli uomini e ha vinto. E, infine, al guado del fiume Yabbok gli sarà concessa la benedizione di Dio (Gen 32,25-33).

Ma ritorna, impertinente, la domanda: perché Dio non si è scelto un uomo che fosse già all’inizio virtuoso, sincero, onesto? Perché era necessario un tale cammino? Perché è proprio questo lento procedere verso la meta che costituisce il discepolo.

La storia di Giacobbe ricorda a tutti noi che le terre che abitiamo e che, molte volte, ci paiono sconosciute, infide, ostili, disabitate – e, talvolta, ci incutono anche timore – sono, invece, terre in cui Dio abita.

Impegno della Pastorale giovanile – e di ogni agire ecclesiale – sia allora riscoprire, innanzitutto, la presenza di Dio nella “compagnia” che è lo stesso Gesù, il Risorto, che sempre ci precede.