Preghiera ecumenica – Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
(Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 20 gennaio 2023)
Predicazione del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia
Fratelli e sorelle in Cristo,
le dure parole del profeta Isaia – appena ascoltate – caratterizzano la settimana di preghiera ecumenica di quest’anno e sono un forte richiamo alla nostra personale conversione: “Imparate a fare il bene, cercate la giustizia” (Is 1, 17) – “Cessate di fare il male (…) soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,16-17).
La nostra preghiera ecumenica parte proprio da qui: la richiesta della conversione. Certo, all’inizio di ogni preghiera – specialmente ecumenica – si è chiamati a chiedere e a donare il perdono, poiché le divisioni fra battezzati sono ferite inferte al Signore Gesù, al suo corpo.
Il noto teologo cattolico Hans Urs von Balthasar, nel suo libro “Chi è il cristiano?”, scrive circa la preghiera: “Il cristiano deve imparare sempre più a fondo l’espropriazione… La preghiera, fin che l’uomo è peccatore e quindi egoista, è appesantita dal rapporto con l’io… Ma a mano a mano che impara a conoscere Cristo, la sua preghiera diventa disinteressata. Egli prega per il perdono dei peccati… Infatti ora la cosa più terribile è che esiste il peccato, chiunque l’abbia commesso” (Hans Urs von Balthasar, Chi è il cristiano?, Queriniana, 1984, p. 134).
Nel già menzionato testo di Isaia il richiamo di Dio al suo popolo risuona attualissimo; è un accorato appello alla conversione.
Come sempre, tutto ha inizio dal rispetto della persona ad iniziare dal rispetto sacrale della sua vita, in ogni momento. Non rispettare la dignità della persona umana vuol dire aver smarrito il senso e il valore della fraternità.
La fraternità tra gli uomini è il rifrangersi della figliolanza che unisce all’unico Padre che è nei cieli. Gesù, insegnando ai discepoli il perdono, ricorda loro che il Padre celeste non fa differenze, non esclude e “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45).
Quanto sangue e quanti morti hanno causato una libertà e una uguaglianza private della fraternità! Le rivoluzioni – la storia ce lo insegna – non fanno che consegnare i popoli e le società a nuovi padroni, uguali o peggiori dei precedenti.
“Smettete di presentare offerte inutili…non posso sopportare delitto e solennità. Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi… le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni” (Is 1,13-16).
Dio è stanco di chi lo irride nel culto e si pone in esso in maniera mendace ed ipocrita. Non si può separare il rapporto con Dio e il rapporto con i fratelli, il Vangelo è esplicito: ”…lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Mt 5,24).
Il vero culto richiede un’autentica vita di fede; l’uomo, quanto più gravita veramente nell’orbita di Dio, tanto più è capace di buone relazioni e nel suo agire va oltre l’io e si apre al noi. Il sì dell’uomo è la risposta al dono della grazia, senza la quale nulla accade; la vita riconciliata è il risultato della sua grazia e della nostra libertà.
Lasciamo ancora la parola a Hans Urs von Balthasar: “Nel Padre Nostro non compare affatto l’io, ma soltanto il noi. In questo noi l’io è in buone mani, ma appunto per questo è annullato. Ognuno deve avere la speranza per tutti i suoi fratelli… Non gli viene più in mente di sperare per sé… La vera speranza cristiana è escatologica e comunitaria” (Hans Urs von Balthasar, Chi è il cristiano?, Queriniana, 1984, pp. 136-137).
I cristiani del Minnesota, proponendo questo testo d’Isaia, ne richiamano l’attualità a partire dalla loro storia e attestano la difficoltà a vivere ed integrarsi tra persone, popoli e storie differenti, rispettando sempre la libertà e la dignità da riconoscere a tutti e vincendo pregiudizi, discriminazioni e rancori.
Da quasi un anno la guerra – che sempre è combattuta da uomini contro altri uomini – ha “disumanizzato” la vita in Ucraina e ha segnato l’Europa. Di questa guerra non si vede ancora una via d’uscita e dopo – quando sarà finita – continuerà ancora, purtroppo e per molte generazioni, nell’odio di chi vi è coinvolto sia da una parte sia dall’altra. I conflitti nel mondo sono molti di più della guerra in Ucraina e di essi nulla o quasi sappiamo, una cosa è certa: seminano odio che perdura anche dopo decenni.
Guardando al mondo, poi, c’è poi il dramma dell’Iran, ancora da comprendere in tutta la sua realtà e che riguarda in particolare le donne che combattono per la libertà e per i diritti fondamentali della persona.
Non mancano poi rivolte e tensioni varie e penso agli assalti ai palazzi del potere politico a cui, in queste settimane, abbiamo assistito in Brasile e Perù.
Tutti questi sono segni di un malessere diffuso a livello geopolitico. Tali conflitti chiedono, con urgenza, di praticare la giustizia, incominciando col rispettare l’intangibilità della vita umana, sempre.
Tutto questo ci ricorda che il cammino dell’uomo non è facile e che la libertà e la democrazia sono sempre “fragili” e vanno difese. L’uomo si trova quasi “sospeso” e avvinghiato ad una piccola tavola di salvataggio, in mezzo al mare in tempesta, e in questo contesto, non facile, è chiamato a vivere il rapporto con Dio e il prossimo. La piccola tavola alla quale il cristiano è stretto, con tutte le sue forze, è la croce di Cristo e la sua fede.
Riconoscere gli altrui diritti, iniziando dalla libertà religiosa, è quanto mai difficile; vuol dire pagare di persona eppure è ciò di cui il mondo ha più bisogno. Oltre 360 milioni di cristiani, oggi, soffrono “alti” livelli di persecuzione; non dimentichiamolo!
La Parola di Dio indica la via per uscire dalla palude di cui siamo prigionieri: il peccato. Gli ultimi versetti del profeta Isaia aprono uno squarcio: “Su, venite e discutiamo – dice il Signore -. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana” (Is 1,18).
Qualcosa del genere è presente anche nel libro del Deuteronomio: “…se ti convertirai al Signore, tuo Dio, e obbedirai alla sua voce, tu e i tuoi figli, con tutto il cuore e con tutta l’anima, secondo quanto oggi ti comando, allora il Signore, tuo Dio, cambierà la tua sorte, avrà pietà di te e ti raccoglierà di nuovo da tutti i popoli in mezzo ai quali il Signore, tuo Dio, ti aveva disperso. Quand’anche tu fossi disperso fino all’estremità del cielo, di là il Signore, tuo Dio, ti raccoglierà e di là ti riprenderà” (Dt 30,3-4).
Risulta infine molto eloquente l’immagine che, ancora una volta, il libro del Deuteronomio ci offre, ossia Dio che pone dinanzi all’uomo – alle nostre comunità, alle nostre storie personali – due vie: la benedizione e la maledizione, il bene e il male (cfr. Dt 30,1.15).
La via della benedizione, da sola, può darci la vita in armonia con Dio, gli uomini e il creato: una vita fatta di fratellanza, risultato di una comune paternità ritrovata e vissuta.
Per il cristiano la benedizione non è, anzitutto, un gesto o un rito e neppure soltanto un “sacramentale”; secondo la teologia cattolica è entrare nel dialogo e nella danza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo da cui nasce la nostra salvezza. Partecipiamo a questa danza con i Tre distinti uniti in quell’unità che non è uniformità ma è Amore.