Pellegrinaggio a Roma nell'Anno della Fede - Omelia durante la S. Messa nella basilica di S. Pietro / Altare della Cattedra (8 settembre 2013)
08-09-2013
Pellegrinaggio a Roma nell’Anno della Fede
S. Messa nella basilica di S. Pietro / Altare della Cattedra (8 settembre 2013)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Carissimi confratelli nel sacerdozio, carissimi diaconi, consacrati, consacrate e fedeli laici,
il nostro pellegrinaggio oggi raggiunge il culmine: siamo presso la tomba dell’Apostolo Pietro. Se alziamo lo sguardo, verso la cupola, troviamo la scritta: ‘Di qui nasce il sacerdozio’. Da qui nasce quella paternità che Gesù ha voluto consegnare all’apostolo Pietro per il bene della Chiesa.
Il Vangelo di Luca che abbiamo appena ascoltato promette questi doni ad ogni discepolo che voglia essere realmente tale: se uno non mi ama più di coloro ai quali va l’amore fondante di una persona, più del padre più della madre, non può essere discepolo’ Se non prendete la vostra croce e mi seguite, non potete essere miei discepoli.
Sono le due condizioni che Gesù aveva posto anche all’apostolo Pietro. Mi ami tu più di costoro? Glielo aveva chiesto per tre volte e poi aveva detto: quando sarai vecchio, tenderai le tue braccia e sarai condotto dove non vorrai andare’
Queste sono le condizioni chiare del discepolato, poi ci può essere tutto il resto, tutti gli altri carismi, ma se manca l’amore preferenziale per Gesù, rispetto ad ogni altra persona e ogni altra realtà, compreso se stessi, se non c’è la disponibilità a lasciarsi condurre non ci sono le condizioni del discepolato.
Gesù l’ha posto con chiarezza all’apostolo Pietro, colui dal quale sarebbe nato l’esercizio della comunione nella Chiesa. E, quindi, la comunione con Cristo.
Se noi cerchiamo nel cristianesimo primitivo delle figure che si impongano sulle altre per carisma, un posto lo dobbiamo dare certamente a Paolo, forse poi a Giovanni.  La figura di Pietro è invece legata all’ufficio a cui è stato destinato: l’unicità del carisma petrino, il riferimento al ministero ecclesiale.
Divo Barsotti, commentando gli Atti degli Apostoli, fa una riflessione che mi sembra importante: veramente, negli Atti, vi è Pietro. In lui, nella funzione che è propria di Pietro, le varie concezioni della Chiesa si unificano; egli è al di sopra di tutte le varie denominazioni che fanno parte dell’unica comunità cristiana.
Già dall’inizio, Pietro è colui nel quale la Chiesa è una, sacramento visibile di unità è Pietro ed il suo ministero è ordinato a manifestarlo.
La comunione con Pietro è percepita come essenziale anche dall’apostolo Paolo. Aveva ricevuto il Vangelo da Gesù ma poi nella lettera ai Galati sente il bisogno di dire che tre anni dopo salì a Gerusalemme, per andare a conoscere Cefa e rimanere presso di lui quindici giorni.
La comunione con l’apostolo Pietro, il carisma di Pietro, ci rende – al di là di ogni dubbio, al di là di ogni particolarità, al di là di ogni specificità, al di là di ogni carisma – sicuri della fede cristiana.
La nostra chiesa di Venezia ha voluto vivere l’Anno della Fede, pensando al momento del pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli e dell’apostolo Pietro come ad un momento di crescita, riflessione, di revisione di vita e di gioia nell’appartenere oggi alla Chiesa di Cristo.
E la Provvidenza ha voluto che questo nostro pellegrinaggio cadesse in un momento in cui il Santo Padre – con un atto forte, limpido e chiaro – ha voluto indire una giornata di preghiera e di digiuno per il bene della pace.
Abbiamo vissuto una pagina della Sacra Scrittura, ieri sera; abbiamo pregato con Pietro come Chiesa ed abbiamo domandato a Dio quel bene senza del quale non c’è altro bene.
Il Papa ci ha richiamato alla sorgente della pace, che è il cuore dell’uomo. L’uomo è relazione, è capacità di relazionarsi; l’uomo è custode del proprio fratello. Tutte le volte che in noi nasce quella domanda – sono forse io responsabile di questi miei fratelli, sono forse io responsabile di questa situazione che non ho creato? – emerge in noi lo spirito di Caino che doveva nascondere il suo omicidio.
Siamo grati al Signore perché ci ha chiamato nella città dell’apostolo Pietro e ci ha anche concesso questa esperienza di vita di chiesa. Dobbiamo ora ritornare alle nostre case, alle nostre comunità, alla nostra vita di tutti i giorni, cambiati, con quello sguardo capace di cogliere l’essenziale. E l’essenziale è l’uomo, sono le relazioni umane.
Per il cristiano l’essenziale – e chiedo per tutti noi questa grazia – è vedere con occhio nitido la figura di Cristo e il Vangelo nella nostra vita, nella nostra vita personale, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, là dove siamo chiamati a portare la gioia e, se il Signore vuole, anche il peso della nostra vita, illuminando tutti con la luce della resurrezione, perché questa è la verità di Cristo, che non è un semplice uomo riuscito, non è semplicemente un uomo affascinante, non è semplicemente un ‘normotipo’; è il nostro Salvatore, è la nostra speranza – anche quando, come uomini, non riusciamo ad individuare motivi umani di speranza nella nostra vita – perché Lui è il Risorto.
Ritorniamo sulla spiaggia del lago di Genesaret e risentiamo – ciascuno la senta rivolta a se stesso – quella parola che duemila anni fa Gesù ha detto a Pietro: ”mi ami più di costoro?’ (Gv 21, 15).