Pellegrinaggio a Roma nell'Anno della Fede / Omelia durante la celebrazione comunitaria della penitenza nella basilica di S. Giovanni in Laterano (6 settembre 2013)
06-09-2013
Pellegrinaggio a Roma nell’Anno della Fede
Celebrazione comunitaria della penitenza
nella basilica di S. Giovanni in Laterano (6 settembre 2013)
 
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Stiamo vivendo il pellegrinaggio nell’Anno della fede e, nella tradizione della Chiesa, il pellegrinaggio è sempre stato un riprendere in mano la propria vita di fronte al Signore, interrompere l’ordinarietà della nostra vita quotidiana e concentrarsi su di Lui, andare verso di Lui. Nel Medio Evo, addirittura, il pellegrinaggio era una forma di remissione del peccato.
L’Anno della Fede è dunque legato al sacramento della riconciliazione che è quell’atto – quel gesto – in cui il cristiano riscopre il suo battesimo, tanto che il sacramento della riconciliazione fu chiamato, nell’antichità, il secondo battesimo. E allora soffermiamoci un attimo su quegli atti che costituiscono l’incontro sacramentale che ci riconcilia con Dio.
Innanzitutto, il dolore. Abbiamo ascoltato nel Vangelo di Luca come il figlio più giovane rientrò in se stesso e capì. Il dolore è capire, è capire di aver sbagliato. E’ mettersi di fronte a Dio e comprendere che lo abbiamo maltrattato e che abbiamo costruito un progetto vocazionale diverso da quello che Dio voleva.
All’inizio della nostra vita c’è il battesimo, ma poi il battesimo viene arricchito e specificato da altri sacramenti o dalla professione religiosa. E allora ognuno di noi guardi alla sua vita, guardi alla sua vocazione specifica e consideri ciò che sta all’inizio della sua vita: la promessa matrimoniale, le promesse sacerdotali, la promessa della vita religiosa.
Stiamo elaborando un progetto di vita che è espressione di quella scelta iniziale o stiamo lavorando dietro ad un nostro progetto che non è espressione di quella grazia, di quell’impegno, di quella promessa, di quel dono? Il dolore, se è autentico, riconosce’
Il figlio rientra in se stesso, si rende conto che i salariati in casa di suo padre hanno da mangiare e lui non ha neanche le carrube destinate ai porci. E allora cosa fa? Confesserà il suo peccato: ‘Padre ‘ho peccato contro di te’. Fa parte del sacramento il chiedere perdono, l’impegnarsi a cambiare, il domandare perdono al Signore. E la grazia sacramentale ci sostiene proprio là dove noi, chiedendo perdono, ci impegniamo a cambiare.
Nella confessione non andiamo a dire a Dio quello che ignora: Dio sa tutto. Il Salmo 139 ci dice che le nostre frasi, le nostre parole, non hanno ancora raggiunto le nostre labbra e Dio già le conosce tutte. Il dire al Signore il proprio peccato è chiedere perdono ed impegnarsi a cambiare.
E, poi, ecco la disponibilità del figlio a fare penitenza: ‘Trattami come i tuoi servi’. La Chiesa ci da una piccolissima penitenza che è solo un segno, un simbolo, ma il peccatore convertito è chiamato a fare tutto quello che è in suo potere per contestare il suo peccato. Non c’è solo il dolore, non c’è solo il domandare perdono ed impegnarsi, ma anche il fare qualcosa. La Chiesa ci da un indicazione: dobbiamo riscoprire il senso della vita cristiana come ricostruzione della nostra vocazione andata in frantumi con i nostri peccati.
Infine, la misericordia della Chiesa – che è un dono – chiede sempre un cammino penitenziale di riconciliazione: ‘Io ti assolvo dei tuoi peccati, non peccare più, sei perdonato’. La persona è riconciliata, può avere un rapporto diverso con Dio.
E c’è una cosa che ritorna costantemente nella parola di Gesù, anche nella preghiera del Padre Nostro. Il tuo rapporto con Dio dipende dal tuo rapporto con il prossimo: ‘Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’.
San Giovanni dice: ‘Come fai ad amare Dio se non ami tuo fratello che vedi?’. Il nostro rapporto con il prossimo è espressione della nostra fede, perché il perdono si dà solo perché Dio ci chiede di essere buoni. Molte volte non c’è motivo umano per perdonare.
E proprio perché non c’è motivo umano per perdonare, il nostro rapporto con Dio si vede proprio nella nostra capacità di perdonare il prossimo, anche quando il nostro prossimo parla a vanvera, offende, dice cose non vere, lede i nostri diritti, ci ostacola e nega di fare tutte queste cose.
Qual è il motivo per cui noi perdoniamo? Perché Dio ce lo chiede. Chi perdona ha un rapporto reale, vero, con il Signore. Sia questo il nostro impegno, il nostro proposito, il nostro ricordo di questo pellegrinaggio della fede.