Ordinazioni sacerdotali 2002: l'omelia del Patriarca (22 giugno 2002)
In basilica di S. Marco sabato 22 giugno 2002
22-06-2002

Ordinazioni Sacerdotali
Basilica Patriarcale di San Marco
Venezia, 22 giugno 2002
Ger 20,10-13; Salmo 68; Rm 5,12-15; Mt 10, 26-33

Carissimi don Giacomo, don Massimiliano e don Stefano,

Eminenza Reverendissima,

Reverendo Rettore e Superiori tutti del Seminario,
Carissimi sacerdoti,
Familiari, parenti, amici, membri delle comunità parrocchiali cui appartengono i nostri ordinandi e
Voi tutti fedeli della Chiesa che è in Venezia.

1. Fra poco il Patriarca, dopo aver imposto le mani sugli ordinandi, pronuncerà questa invocazione che definisce con chiarezza il significato del gesto straordinario che in questa veglia della XI Domenica per annum stiamo compiendo nella nostra splendida Basilica cattedrale: «Sia unito a noi, Signore, nell?implorare la tua misericordia per il popolo a lui affidato e per il mondo intero».
Noi sappiamo bene che il nome proprio della misericordia è Gesù Cristo (Redemptor hominis, n. 9). Giovanni Paolo II, che aveva aperto il suo pontificato affermandolo con forza, ce lo ha di nuovo ricordato nella Novo millenio ineunte (NMI 18).

A questo punto sorge subito un interrogativo che mi hanno espresso con chiarezza anche ieri i nostri tre candidati. Come è possibile che degli uomini, inevitabilmente segnati da limiti e fragilità, possano assumere un tale compito senza esserne schiacciati? Ci viene incontro l?affermazione di Gesù riferitaci dal Santo Evangelo, che abbiamo appena inteso proclamare: «Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch?io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,32). Il verbo re-conoscere, che significa continuare a conoscere, ci offre la chiara indicazione. È quindi necessario approfondire instancabilmente e progressivamente la conoscenza di Lui.
Carissimi, per rispondere alla missione che oggi Vi viene affidata dovrete perseguire con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze, con ogni fibra del Vostro essere come scopo primario della Vostra vita la conoscenza commossa di Cristo. Non è un fatto intellettualistico, è una immedesimazione vitale della Vostra persona con la Sua persona.

2. Il sacerdozio ministeriale è la chiamata a partecipare all?opera di Gesù Cristo. Ma in cosa consiste quest?opera? Nell?immolazione di Sé «per noi uomini e per la nostra salvezza». Infatti, in prima istanza – come dice la Lettera agli Ebrei (cfr. 8,1-5) ? Gesù non è sacerdote nel senso derivato dall?Antico Testamento, cioè come uno che offre doni e sacrifici, ma lo è in quanto si è consumato nel sacrificio totale di Sé. Egli ha inaugurato un sacerdozio assolutamente inedito, quello neotestamentario, perché è, nello stesso tempo, sacerdote e vittima. Lo scopo per cui Cristo chiama taluni al sacerdozio ministeriale è perciò quello di guadagnare collaboratori per questa Sua opera. Quindi senza la personale, continua immedesimazione a Lui, attraverso l?offerta totale di sé (ex opere operantis), senza ri-conoscere Cristo davanti agli uomini, è impossibile mantenere l?efficacia sacramentale della Sua opera (ex opere operato) nello scorrere dei secoli e nel mutarsi delle culture.
Carissimi, affinché la Vostra celebrazione, la Vostra predicazione e la guida della comunità possa rinnovare il cuore dei fanciulli, dei giovani, degli adulti, degli anziani, degli ammalati, dei poveri e degli emarginati bisogna quindi disporsi ad una sequela letterale (sine glossa) di Cristo sacerdote. La grande condizione per la verità sacerdotale è quindi la santità. Del resto, di questa necessità ? che costituisce la partecipazione alla dimensione soggettiva del sacerdozio di Cristo ? esiste una riprova imponente. Ad offrircela è il popolo di Dio con il suo sensus fidei: questo popolo, anche oggi come sempre, continua a sentire il prete come l?uomo di Dio. Colui che è totalmente immedesimato a Cristo, da cui anzitutto attende la santità della persona e della vita. A Lui si rivolge quando intende essere certo della mano tenera e forte del Padre, dal quale non cessa di implorare compagnia ed aiuto per essere sostenuto nelle vicende della vita intessuta di gioie e di dolori.

3. Perché il sensus fidei del popolo di Dio ci reclama come uomini di Dio e ci vuole santi? Così facendo la nostra gente non fa che esprimere il proprio bisogno di salvezza: vuol essere liberata dal male e perseguire la beatitudine. Percepisce quindi la necessità che il sacerdote, colui che è stato eletto – in un certo senso ?tirato fuori? dal popolo per essere più radicalmente a lui inviato e donato – costituisca un punto evidente di gratuità attraverso il quale la potenza della misericordia continui ad essere offerta all?umana libertà. Della meraviglia rappresentata da questa salvezza ci ha parlato Paolo, in termini chiari, nel brano della Lettera ai Romani, presentandoci la grandiosa opera universale di rendenzione compiuta da Gesù Cristo. Infatti, anche se la situazione in cui versa ogni uomo, fin dalla nascita, è quella della morte che ha contaminato tutti perché tutti hanno peccato, tuttavia proprio attraverso il santo ministero del sacerdote brillerà, nello spazio e nel tempo del quotidiano, la grazia di Dio insieme con l?abbondanza dei doni che, in Cristo Gesù, si sono riversati su tutti gli uomini.
Il timore della morte che continua, come un pervicace rumore di fondo, ad accompagnare ogni istante della nostra giornata ? anche se viene a galla in modo più clamoroso solo in alcune occasioni ? è stato realmente vinto da questa sovrabbondanza di grazia.
Emerge qui con forza il nucleo inestinguibile del sacerdozio apostolico. Attraverso la celebrazione dei sacramenti, la predicazione, la custodia paterna della comunione, la valorizzazione di tutti i carismi e di tutti i servizi, il riferimento cordiale all?autorità costituita, il sacerdote diventa un fattore stabile di alimento del grande comandamento dell?amore indiviso per Dio e per i fratelli.
Quando non si allontana da questo nucleo incandescente, l?uomo adempie ogni legge. Quando uno vive il comandamento dell?amore, ogni più piccola regola – anche l?ultimo iota della legge – concorre, come nota singolare e preziosa, all?armonica sinfonia del compimento della vita della persona e della comunità. Questa elementare e consolante verità ? cioè lasciarsi educare ed educare permanentemente al comandamento dell?amore che esprime tutta la legge ed i Profeti – è la ragion d?essere della vita e del ministero del prete.

4. In quest?ottica, carissimi don Giacomo, don Massimiliano e don Stefano, la coscienza della nostra sproporzione, lungi dal bloccarci, può giocare in nostro favore: «Il Signore è al tuo fianco come un prode valoroso» (Ger 20,11). Ci rende mendicanti quotidiani di Cristo attraverso la Liturgia delle Ore; consapevoli del bisogno personale del sacramento della riconciliazione, spalancandoci ad accogliere in ogni momento i fedeli che domandano la confessione personale, dove la libertà di ciascuno può realmente gustare, dall?interno, l?ineffabile dolcezza della misericordia e del perdono di Cristo. E la carità pastorale – cioè il cuore del nostro ministero -alimentata dalla celebrazione quotidiana e dall?adorazione eucaristica, aprirà la comunità che ci è stata affidata a vivere il criterio della comunione che vince ogni calcolo ed è inesauribile sorgente di perdono.
Certo, le prove non mancheranno. Non mancheranno né incomprensioni, né pregiudizi, né umiliazioni. Come dice il terribilmente realistico brano di Geremia: «?spiavano la mia caduta» (Ger 20.10). Ma risponderemo a tutto questo, sostenuti dalla Sua grazia, nell?unico modo possibile: la testimonianza. Quale radicale conforto, in proposito, dal Vangelo di oggi: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l?anima» (Mt 10,28). Una cosa sola dobbiamo temere: l?oblìo di Cristo. Soprattutto quella forma terribile di dimenticanza che consiste nel trattarLo come un puro pretesto ispirativo, come un personaggio nobile del passato invece di riconoscerlo come presente e vivo qui ed ora!
Questa tentazione diventa tanto più beffarda ? e in un certo senso pericolosa ? quando si accompagna ad una generosità ammirevole ma acritica. Ci troveremmo, magari dopo aver dato tutto per gli altri, vuoti, insoddisfatti, come se il volto misericordioso del Padre, Cristo Gesù, ci avesse abbandonato, come se il Suo Spirito non dimorasse più nel nostro cuore. Tentati di pensare che la Sua grazia non ci basta, presi da una tristezza malinconica che ? Dio non voglia! ? conduce ad atteggiamenti distaccati o addirittura scettici. No, carissimi, ben diversa è la promessa che si annuncia per noi in questo intenso vespero!

5. Carissimi figli, dopo anni di formazione, oggi si apre per Voi il sipario della vita sacerdotale. Non abbiate paura, Voi siete custoditi! Custoditi dalla misericordia del Padre, dalla maternità della Chiesa, come documentano oggi i volti dei Vostri familiari, degli amici, di quanti Vi stanno accompagnando qui. Custoditi dalla comunione di tutto il presbiterio guidata dal Patriarca. Una comunione che, rinnovandosi ogni giorno nello stretto contatto con il santo popolo di Dio, Vi sarà di permanente conforto.
Chiediamo, per Voi, alla Vergine Nicopeia la grazia della santità che sgorga rigogliosa dall?insostituibile forma vocazionale del sacerdozio ministeriale.
Preghiamola con intensità, Maria, tutti quanti fratelli carissimi, affinché questi giovani ministri di Cristo, alla fine di un lungo cammino, possano rendere gloria al Signore per l?anticipo di vita eterna che – come ci testimoniano molti splendidi sacerdoti anziani nel nostro presbiterio ? avrà loro concesso nel servizio sacerdotale. Amen.