OMELIE NATALIZIE 2002/2003
Pronunciate a S. Marco e nel Duomo di Mestre
25-12-2002

Nei file allegati trovi anche le parti in lingua estera.

Omelia notte di Natale a Venezia FILE: “NATALE NOTTE”
Omelia notte di Natale a Venezia (Sintesi)FILE: “NATSINTESI”;
Omelia del giorno al Duomo di Mestre FILE: “NATALE MESTRE”
Omelia del giorno a S. Marco del Patriarca emerito Marco Cè FILE:”NAT2002Cè”;
Omelia dell’Epifania FILE: “Epifania 2003″

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
Santa Messa della notte
Is 9, 2-4. 6-7; dal Salmo 95; Tt 2,11-14; Lc 2, 1-14

1. «’ un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9, 5) Il Natale è la festa di una nascita. Ma una nascita singolare, cioè unica ed irripetibile, perché è la nascita del Figlio di Dio. «Il Verbo si è fatto carne». Dio si fa bambino. Di fronte a questo evento non puoi fermarti ai pur buoni sentimenti che questa notte ti trovi nel cuore e che ti hanno portato fin qui. Il Natale è un paradosso che ti provoca in radice. Un evento prodigioso, inaudito e, nello stesso tempo, di una normalità sconcertante. Ecco i due poli del paradosso: il «Dio potente» (Is 9,5b) ti viene incontro come un bambino. Esattamente come i nostri bambini, anzi un neonato come siamo stati anche noi (cfr Lc 2,7.12).

2. Cosa c’è di affascinante e, nello stesso tempo, di inquietante, in questa notte magica, in cui abbiamo lasciato tutto per venire in Chiesa a guardare da vicino questo bambino? La sua innocenza.
Forse ci è già capitato di scoprirla nei nostri bimbi. Entrando in rapporto con un bambino – da persona a persona – e dialogando con lui di qualunque argomento, anche il più futile, che cosa colpisce? Egli, di fronte alla realtà, è ad un tempo pieno di meraviglia e assolutamente serio, pienamente spalancato e del tutto sicuro. Questa posizione umana ‘incapace di male’ è appunto l’innocenza. La libertà vi attinge il suo vertice. La libertà innocente è pienamente se stessa: ogni sua mossa sta dentro l’ovvia dipendenza dal Mistero. Come il bambino, che non teme di appartenere, di avere la sua origine in un Altro, che vive il suo

essere generato. L’uomo è libero quando si

percepisce come figlio. E questa notte «Ci è stato dato un figlio» (Is 9,5).
Più che mai nella nostra società, sazia ma smarrita, questo è il bisogno primario. Più che mai occorrono uomini veri, non uomini vuoti, come recita la celebre poesia di Eliot: «Siamo gli uomini vuoti. Siamo gli uomini impagliati, che appoggiano l’un l’altro la testa piena di paglia» (T.S. Eliot, Gli uomini vuoti I, 2). Ma per essere veramente persone, cioè capaci di identità e di relazione, bisogna aver coscienza di essere generati, di appartenere a qualcuno. Ad un padre, ad una madre! Chi sono? I nostri pro-creatori, cioè, come dice la parola, coloro che ci hanno generato in Colui che sta oltre (pro=oltre)-creatori). Non si diventa uomini riusciti se non si è figli. Per questo in un famoso passaggio del vangelo Gesù ci ammonisce: ‘Se non diventerete come bambini, non entrerete mai nella pienezza (Regno dei cieli).

3. Eppure noi, lo sappiamo bene, soprattutto noi adulti, non riusciamo a durare nella trasparenza dell’innocenza. Il gioco drammatico della libertà, nell’impatto con la realtà di tutti i giorni, fatta di affetti e di lavoro, si scontra con la fragilità del nostro limite, aggravato dalla ferita del peccato. Così la nostra libertà separa la meraviglia dalla serietà. Diventiamo ‘uomini impagliati’.
Certo, siamo attratti dalla verità che è giustizia. Cerchiamo il bene-essere personale e sociale, ma, da una parte, lo inseguiamo per sorprenderlo in mille forme separate di bellezza e, dall’altra, ci buttiamo a capofitto per conquistarlo in un impegno febbrile. Amiamo, certo, ma divisi in noi stessi, il bene-essere ci sfugge come un miraggio che, proprio quando stiamo per raggiungerlo, pare dissolversi in una esistenza deserta. Così i giovani non sanno più di essere figli perché noi, gli adulti, non sappiamo irradiare paternità.
Lo sbocco inevitabile è la paralisi della libertà, il cui naturale slancio verso l’infinito si inc
ep
pa
.
Il desiderio immeschinisce, arrestandosi sui
b
eni finiti – i desideri mondani (Tt 2,12), per dirlo con la Seconda Lettura – scivolando inesorabilmente nell’idolatria. Nel testo appena proclamato San Paolo la chiama empietà: vivere come se Dio non ci fosse, oscurando in noi l’innocenza.
Così, nella paura di perdere ciò che crede di aver faticosamente conquistato, la libertà si chiude. Nei rapporti invece che la fiducia domina la diffidenza, fino all’aggressività.
Mentre ‘ come insegna la storia di Venezia ‘ una società per progredire ha bisogno di uomini che sappiano consolidare i rapporti. Libertà non è assenza di legami, ma capacità di stringere relazioni forti, tenaci appartenenze. Solo chi è ‘ non chi è stato! ‘ figlio sa essere padre.

4. Tuttavia, oggi, «è nato nella città di Davide un Salvatore» (Lc 2,11). Tu, o Signore, non rompi la tua alleanza con noi e vieni. Vieni, ancora una volta, a liberare la nostra libertà. Non lasci il tuo popolo in balia delle nostre libertà irretite: «Poiché tu, come al tempo di Madian, hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra che gravava le sue spalle e il bastone del suo aguzzino» (Is 9, 3).
Domandiamo quindi, in questa notte santa, l’innocenza adulta dei pastori per contemplare con occhi semplici l’evento di Gesù Bambino, sorpresi dall’«humanitas di Dio nostro salvatore» (cf Tt 2,11). La Sua nascita per la tua, la mia, la nostra ri-nascita! La Sua venuta in mezzo a noi per la nostra stabile dimora! Infatti, come ci suggerisce un folgorante verso del giovane Wojtyla: «Dove Tu non sei, vi è solo gente senza casa» (K. Wojtyla, Spazio interiore, 5). In questo Figlio benedetto la misericordia del Padre ci rende figli. E quindi capaci di generarare, di essere padri.

5. Maria ci accompagna nella solida casa di Dio, la Chiesa. Accogliamo l’invito del Santo Padre a celebrare l’anno del Rosario. Recitiamolo in famiglia, in parrocchia, nel quartiere, ovunque. Buon Natale!

BASILICA PATRIARCALE DI
SAN
MARC
O

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
Santa Messa
del
la notte
Venezia, 25 dicembre 2002

SINTESI DELL’OMELIA PRONUNCIATA IN INGLESE, SPAGNOLO, FRANCESE E TEDESCO
DAL PATRIARCA DI VENEZIA, S.E. MONS. ANGELO SCOLA

Dio si fa bambino. Di fronte a questo evento non puoi fermarti ai buoni sentimenti che ti trovi nel cuore. Il Natale ci affascina ma non è scontato. Ci inquieta, in questa notte magica, l’innocenza. Forse ci è capitato di vederla nei nostri bimbi. Davanti alla realtà essi sono ad un tempo pieni di meraviglia e assolutamente seri. Perché sanno di essere figli, di appartenere a qualcuno. E questa notte «Ci è stato dato un figlio» (Is 9,5).

Noi adulti, quasi sempre, non sappiamo durare nella trasparenza dell’innocenza. Per paura di perdere, la libertà si chiude. Dice un folgorante verso del giovane Wojtyla: «Dove Tu non sei, vi è solo gente senza casa». Non si è uomini riusciti se non si è figli. E chi è figlio sa essere padre: genera e consolida rapporti, crea una casa. Libertà non è assenza di legami, ma capacità di stringere relazioni, tenaci appartenenze.

La Misericordia del Padre, in questa notte santa, ci rende figli in questo Figlio benedetto. Maria Santissima ci accompagna nella solida casa di Dio: la Chiesa. Accogliamo, per questo, l’invito del Santo Padre a celegrare l’anno del Rosario. Recitiamolo in famiglia, in parrocchia, nel quartiere, ovunque. Buon Natale!

MESTRE, DUOMO DI SAN LORENZO

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
Santa Messa del giorno
Is 52, 7-10 Dal Salmo 97 Ebrei 1, 1-6 Gv 1, 1-18

OMELIA DI S. E. MONS. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

1. Siamo qui per immedesimarci con lo sguardo di Maria, di Giuseppe, dei pastori. Essi, contemplando quel neonato addormentato nella mangiatoia hanno visto la salvezza di Dio. «Venite tutti ad adorare il Signore; oggi una splendida luce è discesa sulla terra» recita il versetto dell’Alleluia che abbiamo appena ascoltato. Cristo Gesù, luce fra le tenebr
e, bri
lla og
gi per
noi.

2. «E venne ad abitare in mezzo a noi»
(Gv 1
,14). Ogni parola con cui la Scrittura descrive gli avvenimenti della nostra redenzione è preziosa: non possiamo ‘liquidarla’ troppo in fretta..! «In mezzo a noi»: solo uno come noi può porsi veramente in mezzo a noi, può fino in fondo condividere la nostra sorte di uomini e donne. Il Figlio di Dio si è fatto vero uomo per essere veramente in mezzo a noi, per «abitare» veramente tra noi. L’immagine usata dal Vangelo di Giovanni, familiare ai suoi contemporanei, è quella di chi, piantando la sua tenda in mezzo alle altre tende, viene ad essere, tra il popolo, ‘uno di casa’. Quando nasce un bambino la casa si allarga per accogliere il nuovo arrivato. Tutto si riorganizza intorno al nuovo figlio. E così il nuovo nato spinge la famiglia a riscoprire la sua naturale vocazione di ambito di accoglienza.

3. «Dove Tu non sei, vi è solo gente senza casa» recita un verso del poeta Karol Wojtyla (K. Wojtyla, Spazio interiore, 5). Con l’ineguagliabile efficacia dell’arte queste parole ci dicono che la presenza di Dio in mezzo a noi è una sorgente inesauribile di accoglienza. Dio è colui che dà forma alla casa vissuta, alla dimora.
Gente senza casa: pensare ai gravi problemi che la povertà e, soprattutto, l’immigrazione pongono alla nostra società è fin troppo ovvio. Al di là di necessari provvedimenti legali che garantiscano il bene comune di tutta la società assicurando, tra l’altro, un’ordinata e giusta ricezione degli immigrati, gli uomini e le donne che approdano alle nostre città non solo domandano, ma urgono la nostra capacità di accoglienza. Non sarebbe esagerato affermare che la perdita del senso di Dio provoca, in modo più o meno acuto, un’assolutizzazione del particolare, del proprio interesse, che chiude ogni apertura all’altro. Quando parlo di perdita del senso di Dio non mi riferisco tanto allo smarrimento di un vago riferimento religioso, quanto all’indebolimento della vita del p
opolo cr
istiano
che ha c
ontributo a ridurre la nostra nazione nelle proble
matiche
condizioni attuali ‘ Se Dio non è in mezzo a noi ‘ se noi non ne riconosciamo la presenza – le nostre case non sono più dimore. Diventano incapaci di accogliere ed ospitare.
A darci la misura della gravità di questo problema, che si vede nella debolezza delle famiglie e della società civile ‘ quando è così le istituzioni statali sono inevitabilmente portate ad un eccesso di potere! – contribuiscono i dati pubblicati una settimana fa sulla situazione demografica nel Nordest. Secondo gli ultimi rilievi statistici, tra pochi anni – salvo una decisa inversione di tendenza – ci troveremo con un quaranta per cento in meno di popolazione nella nostra regione. Non ci sono, occorre dirlo con chiarezza, congiunture economiche che possano da sole giustificare questo dato sconvolgente. I problemi del lavoro, dell’abitazione, del crescente costo della vita sono certamente gravi, ma non possono spiegare esaurientemente la resistenza ad accogliere la vita da parte della stragrande maggioranza delle nostre famiglie. C’è dell’altro e bisogna riconoscerlo. «Dove Tu non sei, vi è solo gente senza casa». Vivendo tra un popolo che non è più convinto della presenza di Dio, che ha smarrito la coscienza del dono che la Seconda Lettura ci ha ricordato: «Oggi ti ho generato’ Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio» (Eb 1,5), chi potrà avere la libertà di donarsi completamente e mettere al mondo dei figli? Il nostro popolo non è fecondo, non è più ricco di figli perché ha smarrito la certezza di un Padre. Perché vive come se fosse orfano.
Oggi ci vogliono padri, ma per diventare padri bisogna riconoscersi figli. Oggi, più che mai, sono necessari uomini capaci di generare rapporti stabili, solidi, fedeli.

4. «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia» (Gv 1,16). Per questo, anno dopo anno non manchiamo all’appuntamento coll’evento del Natale. Sono troppo belli «i p
iedi del m
essaggero
di lieti a
nnunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che
annunzia l
a salvezza» (Is 52,7). La grazia di cui parla Giovanni è anzitutto la comunità cristiana qui riunita. La Chiesa, quella di pietre vive che noi siamo, è la dimora di Dio tra gli uomini. La famiglia dove uno è accolto come un figlio per quello che è, dove uno può essere quasi ‘spudoratamente’ se stesso. Le parrocchie di Mestre, intorno al Duomo di San Lorenzo, debbono essere, pertanto, la dimora dove, fin da bambini, uomini e donne imparano ad essere padri e madri, ad accogliere anche l’altro diverso da sé, che mi può essere addirittura estraneo. Dimora di uomini liberi. E la libertà non è assenza di legami, ma stringe rapporti stabili e duraturi!

5. «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Egli si è fatto ‘uno di casa nostra’ perché noi potessimo diventare ‘di casa Sua’, «perché potessimo condividere la vita divina di Colui che oggi ha voluto assumere la nostra condizione umana» (Preghiera di Colletta). Di questo siamo grati a Maria Santissima che col suo Fiat ha dato forma a questa casa-dimora che è la Chiesa. Accogliamo pertanto l’invito del Santo Padre a celebrare l’anno del Rosario. Recitiamolo in famiglia, in parrocchia, nel quartiere, ovunque. Buon Natale!

CARD. MARCO CE’
NATALE 2002-
(Messa del giorno a San Marco ore 10)
Fratelli e sorelle carissimi,
1. ‘Prorompete insieme in canti di gioia’ perché il Signore ha consolato il suo popolo”. Sono le parole del profeta Isaia a un mondo lacerato dalla violenza e dall’odio, bisognoso di salvezza e radicalmente incapace di darsela. Il Natale è una festa di gioia.
Oggi infatti il Signore squarcia le tenebre in cui camminiamo e fa sorgere una grande luce di speranza: ‘tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio’.
Nel cuore della notte si è udita la voce di un angelo che ha annunziato a tutti una grande gioia: oggi vi è nato nella città di Davide un
salvatore, c
he è il Cris
to Signore.
Questo per voi sarà un segno: troverete un bambino avv
olto in fasc
e, che giace in una mangiatoia’.

2. La lettera agli Ebrei e il Vangelo di Giovanni, che abbiamo appena ascoltato, ci hanno svelato il contenuto della gioia che Dio oggi ci dona: il Natale, infatti, non è soltanto memoria di un avvenimento di salvezza; esso è dono reale di ciò che annunzia.
La lettera agli Ebrei proclama che Dio, dopo aver parlato molte volte e in molti modi agli antichi padri per mezzo dei profeti, giunto il tempo da lui stabilito, ci ha parlato per mezzo del Figlio.Il Vangelo di San Giovanni, ci svela che il Bambino che nasce a Betlemme è Lui il Figlio di Dio, in tutto uguale al Padre, col quale il Padre ha creato il mondo. In tal modo l’evangelista Giovanni ci introduce, quasi prendendoci per mano, dentro il grande mistero, che poi esprime così: ‘Il Verbo, cioè il Figlio di Dio, si è fatto carne e ha posto in mezzo a noi la sua dimora’.
Il termine usato: ‘Il verbo si è fatto carne’, che a noi sembra rozzo solo antropomorfico, e intenzionale e vuole sottolineare il realismo dell’umanità assunta dal Figlio; nello stesso tempo vuol proclamare la sua umiltà e debolezza. Il Figlio di Dio si è fatto vero nostro fratello, e fratello di tutti gli uomini, facendo propria anche quella fragilità della natura umana che in noi è la radice del peccato. Nello stesso tempo ‘la carne’, cioè l’umanità corporea e debole assunta da Cristo, lo accomuna e lo unisce a tutti gli uomini.
Dice ancora il Vangelo di San Giovanni che Egli ha posto ‘in noi’ la sua dimora. Egli quindi è come noi, con noi e in mezzo a noi. Ogni uomo, è chiamato ad essere come il tempio in cui il Figlio di Dio abita. In tal modo l’umanità intera diventa un grande mistero di solidarietà.
A Natale si compie un mirabile scambio: Dio si fa uomo e l’uomo è chiamato a diventare vero fratello di Gesù, anche lui figlio di Dio nel Figlio Gesù. E’ quanto afferma esplicitamente Giovanni
nel Vangelo ch
e abbiamo asco
ltato: ‘A colo
ro che credono ha dato il potere di diventare figli di D
io’.
Il Vang
elo ci dà anche una notizia drammatica: ‘Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe’
E’ il dramma del rifiuto di Dio: Dio Padre ci consegna il Figlio e gli uomini lo rifiutano, anzi lo consegnano alla morte e alla morte di croce. Un dramma che incombe anche sulla nostra storia attuale e si consuma spesso,anche nei nostri cuori.
E’ il dramma della lotta fra Gesù, il Salvatore, e Satana, il Principe del male. Una lotta che si combatte ogni giorno, fino alla fine dei tempi,il cui campo di scontro è il nostro cuore, ma anche gli assetti sociali e le stesse istituzioni ingiusti, il cui esito sarà la vittoria totale del Figlio di Dio fatto uomo.
In tale modo il Natale, annunziando che Dio ha preso un corpo e che è stato rifiutato dagli uomini, annunzia la Pasqua.

3. A questo punto ci domandiamo: noi come dobbiamo vivere il nostro Natale?
Come i pastori, dobbiamo prostrarci spiritualmente davanti al Figlio di Dio che si è fatto bambino, uomo come noi, e adorarlo, credendo.
Noi facciamo fatica ad accettare un Dio che, volendo salvare l’uomo, sceglie come strada, non la potenza e la gloria che gli spetta, ma l’abbassamento e l’umiliazione del farsi uomo e bambino, che nasce in una grotta. Noi ci saremmo aspettati un altro volto di Dio. Ma il vero Dio non è quello che ci forgiamo noi. Dio è come si rivela in Gesù. La sua vera grandezza si esprime nel mistero della sua debolezza. Di fronte ad esso noi dobbiamo soltanto inchinarci nella fede e nell’adorazione. Un Dio che abbia le nostre misure non è più Dio, è un idolo.
In secondo luogo dobbiamo godere della possibilità che abbiamo di poterci incontrare ‘umanamente’ con Dio che si è fatto uomo. Incarnandosi Dio ‘impara’ cosa significhi avere un corpo, soffrire fisicamente e moralmente.
Un Dio, quello r
ivelatosi in Ges
ù Cristo, che si
è confrontato con la fatica del vivere e ha fatto i cont
i con il dramma
della morte, lui che era innamorato della vita. Un Dio così noi dobbiamo sentirlo vicino.
Infine, incarnandosi, il Figlio di Dio ha ricondotto ad unità la famiglia umana disgregata dal peccato. Egli si è unito ad ogni uomo al punto da poter dire che ogni cosa fatta al più piccolo dei suoi fratelli, in bene o in male,lui la ritiene fatta a sé. Divenuti in lui, mediante la fede, ‘figli di Dio’,siamo chiamati a vivere una fraternità vera nei confronti di ogni uomo. Proprio questo fonda la nostra vocazione alla solidarietà con ogni uomo e ogni donna e ci impegna all’aiuto da prestare al povero,al senza casa, a chi patisce la fame o il freddo, a chi è stato provate dalle alluvioni, dalle frane e dal terremoto,a chi rischia di perdere il lavoro, fino al sostegno dei popoli della povertà, distrutti dalla fame, dalle malattie e dalle guerre tribali.
Un cristiano con il suo comportamento deve introdurre nella convivenza umana modi di pensare e di comportarsi più fraterni, onde creare una nuova mentalità e una nuova cultura, per poi approdare anche a iniziative legislative e ad assetti sociali più solidali.
Non solo, ma la radicale unità degli uomini in Cristo fonda la vocazione del cristiano alla pace. Niente contraddice al Natale come la violenza e la guerra, la violenza e l’ingiustizia.
Non possiamo oggi dimenticare la situazione umanamente senza uscita in cui si trova la terra di Gesù e, insieme ad essa, il grido di disperazione che si leva dall’Africa, dalle sue terre povere, desolate dalla siccità, distrutte dalle malattie. Per chi crede, è Cristo stesso che soffre nel fratello che ha fame, ha sete, è distrutto dall’AIDS.
Il Natale è festa di pace e di speranza, ma solo se queste sono condivise. E’ l’augurio che sale dai nostri cuori e che si fa preghiera: preghiera per una umanità più fraterna, che possa sperare nella pace.
Buon Na
tale a tutti: al n
ostro Patriarca ch
e, in questo momen
to sta celebrando l’Eucaristia nel duomo di Mestre, alle Aut
orità che ci gover
nano, ai veneziani e a quanti in questi giorni sono ospiti della nostra Città. Un augurio specialissimo. pieno di affetto e di solidarietà, rivolgiamo da San Marco agli anziani e agli ammalati che sono negli ospedali e nelle case, a tutti i poveri e a coloro che in qualunque modo portano il segno delle sofferenze di Gesù, perché abbiano consolazione nella certezza della vicinanza del Bambino Gesù.

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO
Venezia, 6 gennaio 2003

SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE
Is 60, 1-6 Sal 71 Ef 3, 2-3. 5-6 Mt 2, 1-12

1. «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua Madre, e prostratisi lo adorarono» (Mt 2,11). L’evangelista Matteo concentra nell’esperienza dei Magi il dono da noi tutti ricevuto nel Santo Natale. Cos’è infatti il Natale? Un bambino che nasce. Nota Matteo: i Magi «videro il bambino»! Ma, quale bambino! il Figlio di Dio!
Attraverso una donna del tutto singolare ‘ Maria Immacolata ‘ e l’amato Giuseppe, si forma la Santa Famiglia. Così ci è donata una dimora! I Magi entrarono nella casa (cfr Mt 21,11), insiste l’evangelista. È il secondo elemento costitutivo del Natale.
Infine, ed è il terzo aspetto decisivo del dono che il Padre ci fa nel tempo natalizio, taluni membri del popolo (pastori), taluni suoi rappresentanti autorevoli (Simeone, Anna), si muovono per vedere l’avvenimento. Ma, cosa assai più sorprendente, da lontano vengono i Magi (personaggi a noi familiari fin da bambini). I Magi sono la figura dei diversi popoli della terra («Cammineranno i popoli alla tua luce» – Is 60,3). Tutti i popoli sono chiamati, nei Magi, a godere della salvezza con cui il Natale sorprende il nostro cuore.

2. In cosa consiste, infine, questa salvezza? In quel bambino noi siamo resi figli. Scopriamo di essere generati da Dio, di appartenere ad un Padre, diventando così, a nostra volta,
capaci di irraggiar
e paternità. Imparia
mo ad edificare, att
raverso la famiglia, una dimora e la comunità religiosa e civile. Da secoli la nostra terra veneta vive su questi tre pilastri con cui il Cristianesimo consolida e rende possibile l’attuarsi del desiderio di felicità degli uomini: essere figli per essere padri, generatori di famiglie, costruttori di un popolo vivo. Ebbene, l’Epifania ci dice esplicitamente (Seconda Lettura) che tutti gli uomini «sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo» (Ef 3,6).
Questa vita piena è offerta a persone di tutte le razze, etnie, nazioni, culture, tempi. Gli uomini più diversi possono, nella libertà, fare l’esperienza di questa figliolanza che salva. L’Epifania rivela il grande disegno di Dio Padre su tutta quanta la storia: fare di Cristo il cuore del mondo. In tal modo uomini e popoli, con le loro più o meno ricche tradizioni, possono vivere in libertà e armonia. Ad una condizione, che i Magi ci indicano con chiarezza: «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono» (Mt 21,11). L’Adorazione è l’atto mediante il quale gli uomini riconoscono di essere generati da Dio e chiedono umilmente di essere conservati come figli da Colui che è l’origine di ogni paternità. Il culto di Dio che è all’opera nella storia è il modo con cui i popoli evitano la perniciosa idolatria, quella che i Magi della celebre poesia di Eliot (Il viaggio dei Magi, 1927) denunciavano con tristezza: «Tornammo ai nostri regni fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli».
Fare di Cristo il cuore del mondo. Questo è l’ideale di vita anche oggi. Come non sentire attuale fino alla lettera la parola che ci ha rivolto il profeta: «’ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni»(Is 60,2)? I venti di guerra, l’oscura minaccia del terrorismo, le calamità naturali, l’e
ndemica povertà del Su
d del pianeta, la nost
ra personale immoralit
à verso noi stessi, il prossimo, la famiglia, la società… le tenebre assediano il mondo, «ma su di te risplende il Signore’ Cammineranno i popoli alla tua luce’» (Is 60,2). Il Santo Padre, a Capodanno, ci ha ricordato con forza che una decisa espressione di questa salvezza è la pace. La pace è questo bambino che ci apre alla figliolanza, che ci consente di formare dimore, di costruire libere comunità religiose e civili. Questa è la pace possibile che tu, io, noi, così come i potenti di questo mondo, dobbiamo perseguire. Solo in questa prospettiva integrale la pace non è un’utopia e la violenza ‘ la massima opposizione alla pace che si insinua come un gas paralizzante nei rapporti tra gli uomini ‘ può venire bandita. Essa incomincia nel singolo e giunge fino a corrompere la convivenza tra i popoli. Basti pensare a quale violenza si può scatenare in noi quando riduciamo il legittimo desiderio di felicità a pura autoaffermazione. Invece il segreto della felicità che genera pace sta in questo: l’uomo per realizzarsi deve donarsi!

3. I Magi «provarono una grandissima gioia» (Mt 2,11). Se normalmente ci si allarga il cuore davanti ad un bimbo che nasce, come resistere allora alla prodigiosa nascita del Dio Bambino? Il segno inequivocabile dell’aver incontrato il Salvatore ce lo ha ricordato la prima Lettura: «A quella vista sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore» (Is 60, 5). Ma la caratteristica propria di ogni gioia è di comunicarsi. Non la si può tenere per sé!
Si capisce, allora, perché proprio in questo preciso istante noi qui in San Marco e tutti i numerosi missionari veneziani, sparsi in tutti i continenti, siamo uniti simultaneamente in preghiera. I nostri fratelli – laici, religiosi e religiose, sacerdoti – che da Venezia sono andati in tutto il mondo, quali testimoni stupiti, annunciano la bellezza di questo Dio bambino, che rende capaci di costruire rapporti stabili ge
neratori di pace per le
comunità e per i popoli.

L’Epifania che compie
il Mistero del Natale mette in moto, ‘manda’ però oggi ciascuno di noi. Mentre il cuore trabocca di gratitudine per il dono della fede, in noi sentiamo affiorare gli stessi stupiti interrogativi che certamente furono dei pastori e dei Magi. ‘Perché proprio a me, Signore? A me, che non sono certo migliore degli altri, che non ho fatto nulla per meritarmi una tale predilezione?’ Perché ora tu possa comunicare questo dono a chiunque incontri negli ambienti dell’umana esistenza.
La missione non è un optional, né l’occupazione di pochi, particolarmente generosi o amanti dell’avventura, ma il realizzarsi della piena statura dell’uomo nuovo in noi. È l’inarrestabile dinamismo comunicativo di quel centuplo quaggiù che sempre l’immedesimazione con Cristo ottiene.

4. Colmati dalla misericordia del Padre, prendiamo qui oggi un semplice solenne impegno. Saremo fedeli al dono di Gesù Salvatore nella Santa Eucaristia domenicale per comunicarlo a tutti nella normalità della vita quotidiana. Ci sarà così dato «di penetrare [sempre di più] con sguardo puro e con cuore libero il mistero cui [siamo stati] resi partecipi». Crescerà in noi la fede. La fede non è un mero ‘supplemento d’anima’, una vernice di generica spiritualità. La fede è il progressivo compiersi della nostra umanità. Amen.