Omelia per l'ordinazione presbiterale (19 giugno 2004 - San Marco)
19-06-2004

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO
ORDINAZIONE PRESBITERALE DI DON ANDREA LONGHINI

Venezia, 19 giugno 2004
Zc 12, 10-11; Sal 62; Gal 3, 26-29; Lc 9, 18-24

OMELIA DEL CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

Caro don Andrea,
Reverendo Rettore e Superiori tutti del Seminario,
Carissimi sacerdoti,
Familiari, parenti, amici, membri delle comunità parrocchiali del Cuore Immacolato di Maria di Altobello e di San Giorgio di Chirignago,
Carissimi figli della Chiesa che è in Venezia.

1. «Chi sono io, secondo la gente?» (Lc 9,18). In seconda battuta la domanda rivolta a bruciapelo da Gesù ai suoi amici si fa incalzante: «Ma voi chi dite che io sia?». Questa sera è rivolta anzitutto a te, carissimo don Andrea, e a partire da te a ciascuno di noi, dal Patriarca fino al più giovane dei presenti. Non saresti qui, carissimo, per questo decisivo passo della tua vita se non avessi già affrontato di petto questa domanda. Ma, come non avrebbe presente, così non avrà futuro il tuo ministero se non saprà sempre custodire la eco di questo provocante interrogativo che quel pomeriggio sfidò i Suoi lungo gli anfratti scavati dal Giordano, mentre sullo sfondo l’Ermon innevato proteggeva quella sparuta compagnia da cui sarebbe venuta la folla dei popoli che portano il suo nome: i cristiani, cioè noi.
Se ti sei deciso ad accogliere la straordinaria chiamata al ministero ordinato, che oggi la Chiesa riconosce ed accoglie definitivamente, è solo perché, affrontando con coraggio questa domanda che si ripropone lungo tutta l’esistenza, hai trovato, per grazia, nella risposta di Pietro la guida alla tua personale risposta.
Disse Pietro in quel drammatico ed affascinante vespero: «Tu sei il Cristo» (cfr Lc 9,20). Prova a pensare, carissimo don Andrea, cosa doveva voler dire per quel piccolo pugno di uomini una simile risposta. Tutto il popolo, da secoli, aspettava il Cristo (l’Unto, il Messia), Colui che avrebbe realmente salvato Israele. Avrebbe cioè risolto l’enigma di ogni uomo e, nello stesso tempo, portato vera pace, quella di Dio, la nazione eletta. Ora, Costui era lì, davanti a loro, un manipolo di amici, in un luogo oscuro e sconosciuto. Questi pochi potevano ascoltarLo, guardarLo, discorrere con Lui, pregare insieme a Lui. Quanto è grande il mistero di Dio che conduce la storia secondo una misura sconvolgente, a noi inaccessibile, per cui il più piccolo frammento di circostanza e di compagnia può essere luogo di comunicazione del tutto..! Cosa sarà passato nel cuore di Pietro e dei suoi compagni di fronte a quel riconoscimento? Quale trepidazione. Pensate con che stupore, con che gratitudine si saranno ripetuti: ‘A me, a noi è toccato”. La fede di Pietro questa sera interpreta anche la tua fede, la nostra fede, in questo splendido vespro, esaltato dalla bellezza di questa Basilica patriarcale vibrante di vita per la presenza delle comunità che hanno visto nascere, hanno custodito ed ora accompagnano questo tuo passo. Ci trasmette la stessa intensa e drammatica trepidazione dei Suoi. E ci fa dire convinti: «Tu sei il Cristo di Dio». Questa è l’unica ragione per seguirLo, l’unica ragione per aderire alla chiamata al sacerdozio, l’unica ragione per la quale offri la tua vita.

2. Il profeta Zaccaria l’aveva previsto. Lo abbiamo ascoltato nella Prima Lettura: «Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a lui» (cfr Zc 12,10). Il Cristo di Dio ha custodito nei secoli la casa di Davide rigenerando dentro il suo grembo il nuovo popolo santo cui tu in forza del battesimo appartieni e per il quale in questo momento sei preso a servizio. Quello che ti hanno pazientemente insegnato il rettore, i superiori e i membri della comunità seminaristica ‘ che pubblicamente ringraziamo ‘ quello che con cura ti ha trasmesso il Patriarca Marco accogliendo la tua candidatura, quello che io stesso ho voluto comunicarti il 26 ottobre dello scorso anno in occasione della tua ordinazione diaconale, si compie oggi in questo gesto eucaristico nel quale sei chiamato a partecipare della sacra potestas e per il quale sei scelto definitivamente come presbitero a favore del popolo santo di Dio. Il sacerdozio ministeriale, infatti, è semplicemente impensabile senza il suo intrinseco riferimento al Popolo di Dio. L’ordine sacro esiste unicamente perché nella storia permangano le fonti sacramentali di quell’unità cui tutti gli uomini ed i popoli aspirano, superando le divisioni che lacerano il tessuto delle vicende personali e sociali: «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più né uomo né donna perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
Dalla vita del popolo di Dio tu sei nato: dalla fede e dalla dedizione della tua famiglia, dall’educazione ricevuta nella comunità cristiana di Altobello dedicata al Cuore Immacolato di Maria – che provvidenzialmente oggi festeggiamo – dalla compagnia che ti ha fatto, in particolare nell’ultimo anno, la parrocchia di San Giorgio in Chirignago e dall’Azione Cattolica che ha contribuito a configurare la tua personalità.
Ma il riferimento al popolo di Dio definisce soprattutto il tuo presente e il tuo futuro. Tra brevi istanti, infatti, sarai personalmente chiamato a rispondere a questa domanda: «Vuoi esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale nel grado di presbitero, come fedele cooperatore dell’ordine dei vescovi, nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo?» (Impegni dell’eletto). In tutti i testi liturgici questa verità è continuamente riproposta con una formula semplice e bellissima: pro populo.

3. Ritorniamo per un momento, caro don Andrea, al gruppo di amici stretti intorno a Gesù lungo le pareti rocciose del Giordano presso Cesarea di Filippi. Davanti alla confessione di Pietro e all’esaltante destino di gloria che il Maestro sembrava prospettare, il loro cuore si era appena gonfiato di gioia, quando venne attraversato da una ferita bruciante. Perché fu tale: dobbiamo chiamare le cose con il loro nome. «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto’ essere messo a morte e risorgere» (Lc 9,22). Non è forse già risuonata questa sera ai nostri orecchi la inquietante profezia di Zaccaria che parla di «Colui che hanno trafitto» (Zc 12,10)?
Dopo l’inebriante scoperta l’acuta trafittura. E, per di più, quella sorte dolorosa non è riservata solo al Maestro, ma coinvolge direttamente anche loro, i discepoli, che sono raggiunti da quell’invito inequivocabile: «Se qualcuno vuol venir dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno’» (Lc 9,23).
Carissimo don Andrea, noi tutti qui ti vogliamo bene e tu lo sai. Per questo non possiamo non ridirti tutta intera la parola del Maestro: certo tu la conosci, ma decisivo nella nostra vita non è ciò che è noto, ma ciò che è presente. E la gioia di questa sera ha da essere intera, deve perciò rispettare la grande regola dell’esistenza che ogni uomo pratica, lo sappia o no, ma che noi cristiani, e soprattutto i presbiteri, devono assumere consapevolmente: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me la salverà» (Lc 9,24). Il desiderio di essere amati e di amare per sempre ‘ salvare la propria vita -, caro don Andrea, non svanisce là dove comincia il sacrificio, così come il volere nella sua indomita forza realizzativa non viene meno quando insorge il dovere. Sacrificio e dovere sono la verità del desiderio e del volere. Per questo ora ci stringiamo lieti attorno a te in piena gioia senza temere le circostanze e i rapporti che ci attendono, comunque sono o saranno, felici o avversi, perché li viviamo nella fede certa che circostanze e rapporti sono le mani provvidenziali di un Padre che amorevolmente ci guida.
Garanzia efficace che non stai cercando di salvare la tua vita con mezzi umani ma, perdendola per Cristo, la guadagni fino in fondo sono due dati costitutivi del sacramento dell’Ordine che oggi ricevi e che mi limito a richiamare rinviando te e tutti i presenti a quanto ci siamo detti durante la Messa crismale di quest’anno. Mi riferisco al celibato che, per quanti sono chiamati, è compimento della dimensione affettiva dell’io, in tutti i suoi aspetti, e all’oggettiva comunione ecclesiale che per te avrà anzitutto il volto del presbiterio diocesano guidato dal Patriarca. Queste due coordinate saranno il tuo costante punto di orientamento per l’esercizio di questo santo ministero per il quale Dio ti ha scelto e che la santa Chiesa, attraverso il Patriarca, questa sera riconosce ed accoglie definitivamente.
Ti affidiamo al Cuore Immacolato della Vergine Santissima perché faccia crescere ogni giorno di più la purezza di intenzione e di azione che ha animato fin qui il tuo cammino. Amen