Omelia per l'ingresso e l'ordinazione episcopale di Mons. Andrich a Belluno (27/6/2004)
27-06-2004

CHIESA CATTEDRALE DI BELLUNO
ORDINAZIONE EPISCOPALE
DI S.E. MONS. GIUSEPPE ANDRICH, VESCOVO DI BELLUNO-FELTRE
1Re 19, 16.19-21; Sal 15; Gal 5, 1. 13-18; Lc 9, 51-62

Belluno, 27 giugno 2004

OMELIA DI S.E.R. ANGELO CARD. SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

1. «Fratelli, siete stati chiamati a libertà» (Gal 5, 13). Il nostro cuore, ne sono sicuro, non può resistere al fascino di queste parole che abbiamo appena ascoltato nella Seconda Lettura. A nulla, infatti ‘ in questo noi cristiani siamo fino in fondo figli del nostro tempo ‘ è sensibile il nostro desiderio profondo quanto alla libertà.
Carissimo don Giuseppe, Vescovo eletto,
Eccellenze Reverendissime,
Cari fratelli nel sacerdozio,
Venerato Popolo cristiano della Chiesa che vive nella diocesi di Belluno-Feltre,
nella sublime vocazione alla libertà trova la sua ragione ultima anche lo straordinario gesto di grazia sacramentale che stiamo compiendo. Esso ci comunica infatti, con diretta semplicità, che la Chiesa esiste perché gli uomini e le donne di tutti i tempi e di tutti i luoghi possano essere liberi. E per essere liberi davvero, Cristo ci ha liberati: «’ ci ha liberati perché restassimo liberi» (Gal 5, 1).
Caro don Giuseppe, il ministero episcopale che sta per esserTi conferito è un fatto di grazia posto al servizio della libertà di ciascuno di noi e di tutti noi presi insieme.

2. Ma, come spesso succede con gli aspetti decisivi dell’esistenza, l’umana fragilità cade talora preda della confusione. Così come fece il secolo XIX con la ragione, a partire dal secolo XX proprio l’enfasi posta sulla libertà ha condotto spesso a travisarla. A tal punto che oggi questa decisiva parola finisce per dire spesso il suo contrario. La straordinaria attualità del brano della Lettera ai Galati lo evidenzia: «’ siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne’» (Gal 5, 13). Vivere secondo la carne significa – aggiunge Paolo – non vivere «mediante la carità a servizio gli uni degli altri»! (Gal, 5, 13). Sembra l’identitikit dell’europeo di oggi, di noi tutti. Affaticati dal ‘mestiere di vivere’ ci siamo scavati una nicchia in cui sentirci al meglio: ecco la ‘carne’. Spesso provati negli affetti e dal lavoro, sembriamo incapaci di accogliere il disegno che l’Autore della storia sta tracciando. Egli ci chiama ad un’inedita fusione di popoli, che ha bisogno di uomini decisi a tutti i livelli: personale, famigliare, di comunità cristiana, di società civile. Uomini che con umile fortezza assecondino lo Spirito.

3. Caro don Giuseppe, in questo contesto Tu diventi vescovo per la Chiesa Santa di Dio che è in Belluno-Feltre. E non puoi quindi non porTi con noi la domanda che la liturgia di oggi ci impone: ‘Quale libertà?’ Attraversa tutto il brano evangelico di oggi, a partire dalla singolare affermazione iniziale: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme» (Lc 9, 51).
In filigrana emergono qui le due coordinate per rispondere alla questione scottante: ‘Quale libertà?’ La prima è contenuta nell’espressione «mentre si compivano i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo» dice l’irrinunciabile riferimento al disegno del Padre: Gesù è libero perché altro non vuole se non il disegno del Padre. E per questo: «si diresse decisamente verso Gerusalemme»: ecco la seconda coordinata. Il potente avverbio ‘decisamente’ esprime l’obbedienza radicale di Gesù che si espone totalmente, fino alla croce, perché il disegno si compia. In questo abbandono doloroso e non privo di oscurità sta la condizione della vittoria della Risurrezione.
Quale libertà, allora? Quella di Cristo: mistero di dono e di ab-bandono.
Carissimi, a noi questa libertà di figli è stata donata perché, in forza del nostro Battesimo, siamo inseriti in questo scambio totale di amore incandescente tra il Padre e il Figlio nello Spirito, di cui parla Paolo ai Galati.
L’imperativo: «Seguimi» (Lc 9, 59) del Vangelo di oggi col suo triplice sconcertante paradosso ‘ il Figlio dell’Uomo è senza dimora; lascia che i morti seppelliscano i morti; chi dopo aver posto mano all’aratro si volge indietro ‘ fa saltare ogni calcolo naturale.
Persino i pur importanti doveri di rispetto e di pietà appaiono insufficienti nella logica sacramentale della carità. Essa è dura ed impossibile per le nostre sole forze, «ma se vi lasciate guidare dallo Spirito’» (Gal 5,18)
Di come il cuore cristiano possa essere capace di un così vertiginoso abbandono, espressione di libertà riuscita, ci ha dato testimonianza, nella malattia e nella morte, l’amato Vescovo Vincenzo. La sua figura continua ad accompagnarci.

4. Carissimo don Giuseppe, oggi la Santa Chiesa Ti immette nella successione apostolica che vive nella collegialità episcopale e così Ti fa garante oggettivo dell’offerta di libertà redenta che Cristo dona agli uomini.
Si rinnova per Te, trasfigurata dal sacerdozio unico ed irripetibile di Cristo di cui divieni in senso pieno ministro, l’unzione che Elia fece di Eliseo. E Tu di persona, con il Tuo obbediente sì, fai eco alla risposta che Eliseo diede al comando di Elia: «’Va e torna perché sai bene che cosa ho fatto di te” Quindi si alzò e seguì Elia, entrando al Suo servizio» (1Re19,21). Oggi Tu Ti alzi e segui Cristo ormai preso a servizio della Sua Chiesa.
Prima di essere ordinato, «secondo l’antica tradizione dei santi padri, sarai interrogato in presenza del popolo sul proposito di custodire la fede e di esercitare il ministero» (cfr. Impegni dell’eletto). Adempiere fino alla morte il ministero, predicare con fedeltà e perseveranza il Vangelo di Cristo, custodire puro e integro il deposito della fede, edificare il Corpo di Cristo perseverando nell’unità con tutto il Collegio episcopale sotto l’autorità del Papa, prendersi cura del popolo santo di Dio e guidarlo sulla via della salvezza, essere sempre accogliente e misericordioso verso i poveri e tutti i bisognosi, andare in cerca delle pecore smarrite, pregare senza mai stancarsi per il popolo santo, esercitare il ministero del sommo sacerdozio’ La dettagliata descrizione della missione del Vescovo che il rito dell’ordinazione prevede sarebbe un fardello insopportabile per l’uomo se non fosse sempre preceduta dal suadente richiamo della grazia alla libertà: «Vuoi fratello carissimo’». «Sì, con l’aiuto di Dio, lo voglio». Su questo Tuo sì viene posto il sigillo della fedeltà di Dio, unica garanzia di ‘tenuta’ della nostra libertà. Come ha commentato Giovanni Paolo II nel suo recente ‘Alzatevi, andiamo’: «Il vescovo consacrante completa: ‘Dio, che ha iniziato in te la sua opera, la porti a compimento’. Di nuovo affiorava nel mio animo, e vi diffondeva serena fiducia, questo pensiero: il Signore inizia ora in te la sua opera; non temere, affida a Lui il tuo cammino; sarà Lui stesso ad agire e a portare a compimento quanto ha intrapreso’» (p. 5).

5. Affinché la Tua libertà sappia dirigersi ogni giorno alla meta come fece Gesù, il Signore ha provveduto a darle un grembo materno dove crescere. Questo grembo Ti è ben noto. È la comunione che vive nel Popolo di Dio di questa amata Chiesa di Belluno-Feltre. Da questa parentela cristiana sei nato, in essa sei stato scelto per poter vivere al suo servizio. E allora: «custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo» (Consegna dell’anello). E voi, uomini e donne del popolo cristiano di Belluno-Feltre, amate il Vostro pastore e pregate tutti i giorni per lui.
Col Tuo aiuto questa Chiesa è chiamata a rinnovare il suo Battesimo, superando le prove cui la società di oggi espone noi cristiani. Il grande rischio dell’oblìo pratico della nostra fede che la riduce ad una semplice vernice, mentre ha da essere la linfa vitale che ridesta l’io alla libertà e chiama la comunità cristiana alla testimonianza.

6. Facciamo ancora una volta con umiltà eco al Santo Evangelo: «Si diresse decisamente verso Gerusalemme» (Lc 9, 51). Questa decisione, che sgorga da quella sintesi insuperabile di coraggio e prudenza che è la carità cristiana testimoniata nella vita, sia ora la Tua.
Come non vedere in questa mossa di Gesù, senza tentennamenti né riserve, un riverbero della libertà di Sua Madre. Maria compì la Sua libertà nel fiat dato all’Angelo, nel mettersi in cammino in fretta per andare a trovare Elisabetta, e soprattutto nello stabat dell’Ora.
In questo splendido vespero dolomitico ci volgiamo a Lei, trepidi e fiduciosi. ‘Per il Vescovo Giuseppe, per tutti noi, per il popolo santo di Dio che vive in Belluno-Feltre noi Ti invochiamo, dolce madre, causa nostrae laetitiae’. Amen