Omelia per la Festa di S. Michele Arcangelo (Mestre, Duomo S. Lorenzo - 29 settembre 2004)
29-09-2004

FESTA DI SAN MICHELE ARCANGELO
DUOMO DI SAN LORENZO
Mestre, 29 settembre 2004

OMELIA DI S.E.R. ANGELO CARD. SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

1. «’Come mi conosci?’ (‘) ‘Prima che Filippo ti chiamasse io ti ho visto quando eri sotto il fico’» (Gv 1, 48). Forse Gesù si rifà all’espressione rabbinica ‘sedere sotto il fico’ ed all’abitudine dei dottori della legge di dedicarsi allo studio della Scrittura per lo più seduti sotto questo albero. Ma è certo che questa domanda di Natanaèle esprime lo stupore di un uomo che nell’incontro con Cristo si è riconosciuto scoperto e capito nella sua personalità profonda.
Gesù si trova immediatamente in sintonia con l’umano, riesce a ‘dirlo’ fino in fondo. Egli è infatti, come nessun altro, la forma piena dell’uomo, la sua ‘silhouette’ (Przywara).
Questa sintonia con l’umano è presente nella vita della Chiesa esperta in umanità (Paolo VI). «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (Gaudium et spes, 22). «Quando ho incontrato Cristo, mi sono scoperto uomo» affermava, già nel IV secolo, il retore Mario Vittorino.

2. Ogni cristiano che raggiunga la soglia di consapevolezza della propria fede fa questa esperienza. Contro l’esaltante assicurazione che l’enigma umano è sciolto da Gesù Cristo si erge però una doppia obiezione: la propria fragilità, da una parte, e, dall’altra, le gravi contraddizioni della storia, in cui ognuno di noi è inevitabilmente immerso.
Il brano dell’Apocalisse, parlandoci della straordinaria azione dell’Arcangelo Michele, ci offre la risposta a queste obiezioni. Senza diminuire i tratti tragici dell’esistenza personale e sociale, perché tiene conto della dimensione di lotta propria della vita, senza nessuna censura quindi, il libro dell’Apocalisse descrive una lotta vittoriosa: «Scoppiò quindi una guerra nel cielo. Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli (Ap 12, 7). Michele e i suoi angeli sono certi della vittoria, perché ripongono la loro forza nell’Agnello immolato, la cui onnipotenza sta nell’impotenza della Croce. Il drago è «vinto per mezzo del sangue dell’Agnello (Ap 12, 11). La certezza della vittoria, infatti, cioè della Risurrezione di Cristo e della risurrezione della carne, permette al cristiano di affrontare la ‘buona battaglia’. Lo libera dal rischio oggi tanto diffuso tra noi europei di un egotismo passivo, di una critica da salotto, dal politicamente corretto. Ci strappa via dalla condizione di uomini impagliati. «Il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto» (Dan 7, 14).

3. Quali sono i segni della sua vittoria nella vita dei credenti? Ne cito almeno due. I cristiani non sono più passivi nelle circostanze. Qualunque tipo di circostanza è un’occasione, non più un’obiezione. In secondo luogo, per il cristiano il peccato non è più un progetto alternativo di vita. Riempie di dolore ma urge il perdono del Padre attraverso la penitenza/espiazione. Questa è l’esperienza della libertà come possibile effettivamente fin da ora. Di questa libertà liberata noi siamo chiamati a rendere testimonianza.

4. La celebrazione dell’Arcangelo Michele, che da secoli vive in rapporto stretto con la città di Mestre, ci invita in concreto ad attuare questa testimonianza impegnandoci in tre direzioni.
Anzitutto nella crescita della personalità cristiana di ognuno di noi, vivendo ogni giorno la nostra esistenza come vocazione e missione. In secondo luogo nella costruzione della comunità cristiana come ambito cui decidiamo di appartenere, coscienti che consegnando ad essa la nostra persona, la consegniamo, nel sacramento vivente di Gesù Cristo, al Padre stesso. Infine, contribuendo all’edificazione del corpo sociale a cui apparteniamo.
Giustamente l’Arciprete, in continuità con quanti l’hanno preceduto, ha richiamato con forza, anche in questi giorni, la necessità che la Festa dell’Arcangelo Michele possa configurare sempre di più la vocazione specifica della città di Mestre.
Offrire maggior visibilità alla Festa di San Michele è sicuramente una via privilegiata per offrire a Mestre la giusta visibilità non solo nel Veneto e nel Nord Est ma nel consesso nazionale ed internazionale. Dopodomani, in questa stessa chiesa, verrà ricordata la figura di Monsignor Valentino Vecchi, che tanto ha contribuito a forgiare la comunità ecclesiale e civile di questa città, percependone con singolare acume la forza vitale e aprendo uomini e donne al gusto della cultura e dell’arte, mai disgiunto dalla condivisione gratuita del bisogno, a partire da quello più radicale ed emarginato.
Altre volte abbiamo avuto occasione di accennare alla singolare vocazione di Mestre. E le comunità cristiane del Vicariato sono impegnate nel tentativo di identificare i tratti singolari della realtà mestrina di oggi perché possano diventare dimensione della vita pastorale ordinaria.
Due eventi lungo l’anno pastorale trascorso hanno sollecitato noi tutti a riflettere. Mi riferisco al Referendum e alla inaugurazione del Parco di San Giuliano. L’occasione che ho avuto domenica scorsa di visitare il Parco, accompagnato dalle autorità civili, mi ha dato modo di percepire visivamente come questa nuova realtà affacci in modo evidente Mestre sulla Laguna, rivelando in tal modo la sua naturale continuità con la Venezia storica. In questo senso il Parco suggerisce visivamente ai cittadini di Venezia e di Mestre una strada per costruire un’equilibrata risposta al quesito che fu alla base del Referendum. Si tratta di cercare, accompagnando i processi in atto non solo sul territorio geografico ma soprattutto sui territori dell’umano, le forme di una unità articolata. È necessario da parte di tutti un assiduo lavoro per valorizzare le diverse fisionomie senza perdere l’indubitabile vantaggio dell’unità.
Comporre l’uno con il molteplice è la grande sfida di questo terzo millennio a tutti i livelli. Lo vediamo nei tragici eventi di terrorismo e di guerra che incombono sul nostro presente. Con più fatica lo riconosciamo, quando siamo onesti con noi stessi, nel grido con cui gli abitanti dell’Africa sub-sahariana e i clandestini che sbarcano in continue ondate sulle nostre coste non cessano di inquietare il nostro troppo comodo stile di vita. Siamo costretti a farci i conti ogni giorno, a partire dalle nostre scuole, quando siamo chiamati a fare spazio ad uomini di diversa razza, cultura e religione.
Ma comporre l’uno con il molteplice è l’unica strada che ci darà futuro. Non dobbiamo pertanto temere la domanda di unità dei diversi cui il molteplice a tutti i livelli, micro e macrosociali, ci chiama. Del resto, senza negare che la storia è ultimamente condotta dalla libertà di Dio che chiede alla nostra libertà di coinvolgersi mentre la protegge dalla perfida libertà del maligno, sarebbe superficiale ed ingenuo non riconoscere che la stessa storia è fatta di processi. Essi domandano di essere, nello stesso tempo, assecondati e corretti perché siano volti all’edificazione dell’autentica civiltà della verità e dell’amore. In questo senso, che lo vogliamo o meno, un meticciato di civiltà e di cultura è in atto.
Ebbene, forse ancora sfugge a noi veneziani di mare e di terra quanto siano grandi la nostra responsabilità e il nostro compito in questo processo. Siamo città dell’umanità non a caso e la responsabilità che ce ne deriva non può essere confusa con le immediatistiche risposte che, giorno dopo giorno, possiamo dare ai milioni di visitatori che da ogni parte del mondo ci raggiungono.
Come uscire dal rischio di una proposta troppo angusta che potrebbe alla fine stravolgere il volto della nostra amata Venezia? Solo facendo spazio a tutti i fattori che sono in campo. Ed è a questo livello che Mestre – così come, in altri termini, Marghera, la Riviera del Brenta e il Litorale – devono giocare la loro parte perché Venezia, il Veneto e il Nord-Est diventino sempre più autentica terra di civiltà. Passato, presente e futuro fanno una civiltà. Quando si assolutizza il presente e non si è capaci di quella distanza che solo la memoria vitale del passato introduce, aprendolo così al futuro come territorio dell’ad-ventura, i lineamenti della realtà si confondono in una macchia indecifrabile. Come quando si pretende di guardare una fotografia avvicinandola troppo al nostro sguardo.
Non è forse l’Eucaristia che stiamo celebrando ad insegnarci questa grande regola? Il pane ed il vino che diventeranno fra poco Corpo e Sangue di Gesù Cristo sono il ‘presente’ che rinvia alla Pasqua di duemila anni fa, cioè al sacrificio del Crocifisso Risorto, per spalancarci a quel futuro che non tramonta, dove il Regno del Figlio di Dio incarnato non sarà mai distrutto, come ci ha ricordato il profeta nella Prima Lettura.
Non si vuol evidentemente attribuire a Venezia solo il passato e a Mestre solo il futuro: sarebbe un puro schema che va contro ad ogni evidenza. Intendo invece richiamare a noi tutti questo metodo di costruzione di civiltà che richiede il rispetto della pluriformità nell’unità.
Forse è giunto il momento in cui tutti insieme, cittadini di mare e di terraferma, con l’intercessione di San Michele e di San Lorenzo, con il potente aiuto della Nicopeia e di San Marco, riscopriamo che c’è un lavoro comune e un compito per ciascuno. Le parrocchie mestrine, in vista dell’Assemblea ecclesiale che preparerà la Visita pastorale, stanno cercando le strade perché la grande tradizione cristiana sappia assumere in profondità le domande che il presente ci impone. Ai corpi intermedi è affidato il prezioso lavoro di questa improcrastinabile costruzione civile. Alle autorità costituite di ogni ordine e grado spetta il dovere di assecondare tutte le realtà che dal basso chiedono di essere servite ed armonizzate affinché nelle nostre terre si realizzi una democrazia sostanziale.
Chiediamo quindi a San Michele, che protegge la nostra città, di mobilitare tutte le nostre energie nella edificazione di una vita buona sorretta da un buon governo. Amen.