Omelia per la Festa della Madonna della Salute (Venezia – 21 novembre 2004)

21-11-2004

FESTA DELLA «MADONNA DELLA SALUTE»
BASILICA DELLA MADONNA DELLA SALUTE
2 Sam 7, 1-5.8-11.16; Rom 8, 28-30; Gv 2,1-11

Venezia, 21 novembre 2004

OMELIA DEL CARDINALE ANGELO SCOLA, PATRIARCA

1. «Maria è chiamata “Bella come la luna” (Ct 6,10)’ E benché la luna prenda tutta la sua luce dal sole, opera più presto del sole: “Quello che il sole fa in un anno, la luna lo fa in un mese”‘ “A volte troviamo più velocemente la salvezza invocando il nome di Maria che invocando quello di Gesù”» (San Bernardo).
Fedeli alla tradizione dei nostri Padri siamo venuti col cuore grato fino alla Casa di Maria, emblema della nostra città. Chiedendo a Maria di custodire la nostra salute esprimiamo in realtà il nostro desiderio profondo di essere salvati dalla Sua potente intercessione. Abbiamo fiducia in Lei come singoli e come intero corpo cittadino (Mestre, Marghera). Ella, la Madre, è Colei che ci assicura. Solo l’amore vero è credibile perché libero.
Ringrazio per la loro presenza le Autorità istituzionali, militari, civili, così come i responsabili dei corpi intermedi della città: le Scuole Grandi e le istituzioni sociali, economiche, culturali, del volontariato, del mondo del lavoro, delle comunicazioni e della salute.

2. Il Signore ti farà grande, poiché ti farà una casa» (Prima Lettura).
Siamo venuti qui come alla casa che il Signore ha fatto per noi. Ciascuno di noi, consapevolmente o inconsapevolmente, avverte come profondamente vere le parole del poeta Eliot: «Edifichiamo invano se il Signore non edifica con noi. Potete reggere forse la Città se il Signore non resta con voi?’ Là dove non c’è tempio non ci saranno dimore». Senza dimora, senza un grembo di relazioni affettive solide e stabili che incomincia dalla famiglia per investire la Chiesa e, con le debite distinzioni, tutta la società, il singolo non matura armoniosamente. Ma senza la Chiesa – e per noi la Chiesa nella capillarità delle sue parrocchie e di tutte le altre porzioni del popolo santo di Dio che vive a Venezia – non c’è dimora.
Vivendo questa dimora in cui siamo stati generati, appartenendo al popolo di «coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno ‘ predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo» (Seconda Lettura), ne veniamo ogni giorno rigenerati.
Così – come una casa fondata sulla roccia – noi possiamo affrontare costruttivamente la situazione di crisi ambientale e demografica che attanaglia la nostra città lagunare (ma ormai anche Mestre e Marghera) per rigenerare la nostra amata città nella sua prospettiva più adeguata. Dalla natura della Chiesa può venire qualche indicazione di metodo anche per la società civile. Da duemila anni la Chiesa coniuga con saggezza – anche se con comprensibili contraddizioni e tensioni – universale e particolare. Oggi celebriamo la stessa Eucaristia di Cristo in questa splendida Basilica del Longhena e a Hong Kong, a Melbourne e a Kinshasa, a New York e a Santiago del Cile. Eppure in ognuna di queste città la Chiesa raggiunge capillarmente, parrocchia dopo parrocchia, comunità dopo comunità, le singole persone fin sulla soglia delle loro case. Annuncia loro la bellezza dell’incontro con Cristo e la tenerezza premurosa di Sua Madre. Proprio come a Cana, dove Maria amorevolmente previene una situazione di disagio e dolcemente spinge l’amato Figlio al domenicale e riposante miracolo della trasformazione dell’acqua in vino.
Anche Venezia, vista nelle sue odierne reali dimensioni, deve coniugare universale e particolare. Solo così potrà degnamente svolgere il suo ruolo di città dell’umanità. Ad accogliere ogni anno milioni di visitatori sarà un popolo vivo, generatore – come la sua storia insegna – di vita buona carica di intensa umana esperienza, di arte e di cultura. E l’economia in tutti i suoi risvolti farà da equilibrato motore a questa pluralità di compiti e di vocazioni promuovendo nella città lagunare, come a Mestre, a Marghera, lungo la Castellana e la riviera, intraprese a misura dell’uomo. Sarà compito delle autorità scelte dal popolo assicurare il ‘buon governo’ della nostra comunità. Un test decisivo che vita buona è in atto sarà il mobilitarsi del popolo verso gli ultimi di ogni tipo, in particolare gli immigrati. Può forse Venezia, con la sua grande tradizione, temere il processo di meticciato di civiltà ormai inesorabilmente in atto? Al contrario la nostra città può essere uno dei centri da cui parte la riscossa di noi europei, uomini un po’ impagliati.
Il Patriarca propone forse una città utopica che non potrà mai esistere? Siamo ben consapevoli che le difficoltà ambientali e, soprattutto, la denatalità, a Venezia come in tutte le società cosiddette avanzate, sono nello stesso tempo causa e sintomo di un malessere ben più radicale. Non a caso oggi parliamo di tutto ciò ringraziando Maria che ha liberato la nostra città dalla peste.

3. La crisi ecologica e demografica produce un malessere che investe i cardini dell’esperienza umana elementare: gli affetti e il lavoro. Allora la crisi diventa antropologica!
Ed è accresciuta dal fatto che uomini e donne che fino a pochi anni fa – pur consapevoli delle proprie fragilità – guardavano fiduciosi e sicuri al matrimonio come al naturale sbocco dell’amore tra l’uomo e la donna, ambito irrinunciabile in cui far crescere i figli, oggi si ritrovano spesso confusi e smarriti circa il come debbano essere vissuti gli affetti, il rapporto tra l’uomo e la donna, il dono di sé, l’apertura alla vita, l’assunzione responsabile della prossimità, la condivisione dei bisogni.
Questo smarrimento che incomincia dagli affetti investe poi inesorabilmente anche il lavoro dell’uomo, la sua capacità di costruzione ed il gusto dell’edificazione sociale. Infatti, se un uomo non ha consistenza affettiva difficilmente riesce a costruire, a lavorare in modo stabile ed organico. E così la sua libertà oscilla tra l’assolutizzare il lavoro, perseguendo la riuscita professionale ad ogni costo, in vista di un guadagno senza limiti, ed una totale diseducazione al lavoro – o addirittura alla sua tragica indisposizione -, che innesca poi un meccanismo perverso di disamore al lavoro stesso proni alla legge del minimo impegno col massimo profitto.
L’esito di questo smarrimento negli affetti e nel lavoro è quella noia, che così spesso scorgiamo con angoscia (e forse anche accusiamo) nei nostri giovani; ma che, se vogliamo essere sinceri fino in fondo, interroga anzitutto noi. I nostri ragazzi, infatti, sono le prime vittime di questo smarrimento. Vivono come sulle sabbie mobili perché hanno davanti adulti che fanno fatica a dire loro che la vita è positiva, è grande e degna di essere vissuta.
Insomma, anche noi ci veniamo a trovare nella situazione improvvida dei protagonisti della scena narrata dal vangelo di oggi a cui «era venuto a mancare il vino» (Gv 2,3). Anche a noi viene a mancare ciò che dà letizia alla vita. Ma anche oggi come allora la Madre se ne accorge e ci dice: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2, 5). Ci assicura della dimora in cui «Gesù manifesta la sua gloria» (Gv 2, 11): la Chiesa che vive a Venezia.

4. Sentiamo urgente la necessità di una ripresa. Da dove ci può venire l’energia?
Da Gesù Cristo stesso, che ha voluto condividere le vicende umane: come le nozze, ‘collaborando’ alla loro buona riuscita. Gesù Cristo presente nell’Eucaristia che fa dei molti un solo corpo, dei tanti un solo popolo.
In questo Anno dell’Eucaristia, in vista della Visita Pastorale che avrà come tappa centrale l’Assemblea Ecclesiale, richiamiamo con forza la Visita al Santissimo Sacramento e i pellegrinaggi mariani.
Tutto ciò chiediamo con insistente fiducia alla Madonna della Salute. Amen

condividi su