Omelia per il XXIV anniversario della morte di don Germano Pattaro (Venezia - 27 settembre 2010)
27-09-2010

Omelia del vescovo ausiliare mons. Beniamino Pizziol

 

per il XXIV anniversario della morte di don Germano Pattaro

 

 

(Venezia – Chiesa di S. Stefano, 27 settembre 2010)

 

Satana rispose al Signore: ‘Forse che Giobbe teme Dio per nulla?’ (Gb 1,9)

 

 

È questa la più grande sfida che attraverso il libro di Giobbe viene lanciata ai credenti di ogni tempo e di ogni luogo, a qualsiasi tradizione religiosa essi appartengano.

 

Esiste una pietà disinteressata? Esiste una fede senza l’aspettativa della ricompensa? Esiste una possibilità di amare senza attendere un ritorno?

 

Il libro di Giobbe ci presenta il primo grande rifiuto della dottrina tradizionale della retribuzione.

 

Il drammatico interrogativo che Satana pone a Dio ha il carattere di universalità e di perenne attualità.

 

Nella prima fase del combattimento Giobbe, l’uomo di tutti i tempi, dopo aver perso le sue proprietà e persino i figli e le figlie, risulta vincente.

 

Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò.

 

Il Signore ha dato, il Signore ha tolto,

 

sia benedetto il nome del Signore!‘ (Gb 1,21-22)

 

In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.

 

 

Imparare ad amare Dio, a seguire Gesù, senza alcuna aspettativa di ricompensa è la fatica di ciascuno di noi.

 

Una fatica che hanno incontrato anche i discepoli di Gesù, come ci documenta la pagina del santo evangelo che abbiamo ascoltato.

 

Gesù aveva pre-annunciato per la seconda volta il suo destino di condanna, di morte e di risurrezione.

 

Ma i discepoli non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

 

Le parole che riguardano la sofferenza e la morte restano sempre misteriose e apparentemente senza significato, per questo abbiamo timore di porci la domanda e preferiamo riempire questo colpevole silenzio con discussioni più mondane.

 

Ma nacque poi tra loro una discussione su chi di loro fosse il più grande.

 

Ritorna la domanda di Satana che potremmo parafrasare così ‘forse c’è qualcuno che intende seguire Gesù per nulla?’

 

Forse noi battezzati, consacrati, diaconi, presbiteri, vescovi stiamo seguendo Gesù, senza aspettative, solo per la gioia di essere amati da lui e di corrispondere al suo amore?

 

L’amore autentico è libertà, è gratuità, ma quante cadute, quante lotte prima di raggiungere questa libertà, questa gratuità, e alla fine riusciamo a capire che questo può essere possibile solo per grazia, per la grazia di Dio.

 

La risposta di Gesù è formulata attraverso un’azione simbolica: il bambino che egli mostra ai discepoli raffigura la vera grandezza del Regno di Dio che si raggiunge solo attraverso la piccolezza di un bimbo che ha bisogno di tutto, di essere protetto, amato, accolto.

 

E c’è anche un altro atteggiamento che mostra una concezione religiosa sbagliata, e viene proprio da una affermazione di Giovanni, il discepoli che Gesù amava:

 

‘Maestro abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi.’

 

In ogni appartenenza a una tradizione religiosa può insinuarsi il tarlo dell’esclusivismo, dell’integralismo e dell’egoismo.

 

Ma sin qui abbiamo ripercorso la prima parte del combattimento spirituale di Giobbe, dei discepoli e quindi di ciascuno di noi.

 

Ma è la seconda fase la più decisiva.

 

La domanda cruciale viene ancora dall’avversario.

 

Satana rispose al Signore: ‘Pelle per pelle; tutto quello che possiede, l’uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco la mano e colpiscilo nelle ossa e nella carne e vedrai come ti maledirà apertamente!’

 

Noi siamo pronti a commuoverci, a piangere davanti alla croce di Gesù e alla croce di tanti uomini e donne del nostro tempo, ma quanta riluttanza nel salire su quella croce, eppure questo viene chiesto a ciascuno di noi, in ogni momento della nostra esistenza.

 

E ora ci chiediamo, come ha affrontato don Germano la buona battaglia della fede (1 Tim 6,12)? Come ha attraversato le prove di Giobbe e dei discepoli?

 

La sua testimonianza ci può essere d’aiuto? È evidente che l’unica vera testimonianza, che poi è la risposta a Giobbe e a ogni uomo, ci viene  dall’adorabile persona di Gesù nella sua passione, morte e risurrezione.

 

Ma ognuno di noi è chiamato a percorrere la stessa via della croce e della luce, portando la propria croce.

 

Don Germano è stato testimone della grazia di Dio, dell’amore gratuito di Dio, nel suo ministero sacerdotale, nel suo insegnamento di teologia, nel suo impegno ecumenico, nel suo rapporto di amicizia con tutte le persone che il Signore ha posto sul suo cammino.

 

Così si è espresso il patriarca emerito Marco nell’omelia del suo funerale:

 

Don Germano ha amato la Chiesa, la Chiesa del Signore, il segno visibile della sua presenza.E per questo ha amato gli uomini, credenti e non credenti, aprendo il dialogo con tutti, la sua era una parrocchia senza confini. Ha avuto dal Signore il grande dono dell’intelligenza e ne ha fatto un servizio, un servizio alla verità (che è Cristo), soprattutto per ricostruire l’unità della Chiesa. Ma soprattutto la sua malattia fu una grande prova, la prova di Giobbe, che non mise in questione la sua fede, ma la rese sofferta, una grazia bruciante ed esigente, una grazia di spogliazione totale e di purificazione, ridotto alla nudità del proprio nulla.

 

Nudo uscii dal grembo di mia madre e nudo vi ritornerò.’ (Gb 1,21)

 

Così scrive don Germano in una sua lettera, dopo uno dei suoi innumerevoli ricoveri a Londra:

 

Ricordo i tre mesi ultimi vissuti al limite delle possibilità. Una caduta in un torpore amaro di fronte a Dio. Tradotto psicologicamente come ‘assenza di Lui’. Un’assenza disperata e disperante. Non avevo mai provato nulla di simile. Senza possibilità di venirne fuori. Costretto a fare i conti con questa realtà, stringendo forte il Crocifisso (29 ottobre 1984, Sul Confine, p. 65).’

 

Ecco la novità evangelica che Giobbe non ha conosciuto:stringere forte, attaccarsi al Crocifisso.

 

Mi piace concludere questa omelia con una espressione forte, sintetica di don Germano, che mi è sempre rimasta impressa nel ricordo bello e gioioso della sua persona di Padre e di fratello del mio sacerdozio:

 

C’è sempre un’altra possibilità, quella di Dio,’

 

queste poche parole esplosive aprono orizzonti infiniti, di libertà e di gratuità, che precludono ogni forma di esclusivismo e di integralismo.

 

Al servizio di questa inesauribile possibilità, quella di Dio, don Germano ha messo il suo talento per la sua Chiesa, per tutti i fratelli cristiani e per ogni fratello uomo.