Omelia per il Mandato a catechisti ed evangelizzatori (Basilica di S. Marco - 25 settembre 2004)
25-09-2004

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO

MANDATO AGLI EVANGELIZZATORI E AI CATECHISTI

XXVI Domenica del Tempo Ordinario
Am 6, 1. 4-7; Sal 145; 1Tim 6, 11-16; Lc 16, 19-31

Venezia, 25 settembre 2004

OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

1. «Il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44). L’esultanza del Battista ha trovato espressione in noi nella processione compiuta portando all’altare la venerata immagine della Nicopeia. La processione è l’anticipo dei pellegrinaggi (alla Nicopeia, a Borbiago, a Caorle) mediante i quali vorremmo coinvolgere tutta la Diocesi in vista della Visita Pastorale, che verrà preparata, tra l’altro, dall’Assemblea ecclesiale del 10 aprile 2005. Abbiamo così situato subito il nostro gesto odierno nell’orizzonte che lo spiega adeguatamente.
Essere catechisti ed evangelizzatori significa domandarsi: come debbo vivere e definire il mio compito, a partire dal passo cui la Chiesa diocesana mi chiama quest’anno? La Chiesa infatti vive simultaneamente di universale e di particolare. Ma il particolare (la Chiesa particolare) è ad immagine dell’universale (Chiesa universale): cfr LG 23. Il tutto infatti è prima della parte e deve brillare intero nel frammento. Allora il mandato di catechista ed evangelizzatore riceve una fisionomia più compiuta dai gesti con cui lo Spirito guida la Chiesa cui appartengo.
«Il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo». Elisabetta e Maria, Gesù e Giovanni si appartenevano reciprocamente assai più perché figli del popolo d’Israele che per il legame di parentela naturale. La gravidanza miracolosa delle due cugine è tutta trepidamente letta all’interno del grande Mistero di salvezza che Javhè sta attuando con il suo popolo. Questa stretta trama di comunione si manifesta nella Visitazione, l’esultanza del bimbo in grembo ad Elisabetta diventa la caparra del Messia, del Salvatore.
La processione con la Nicopeia, la portatrice di vittoria, riempie di esultanza i collaboratori privilegiati del presbiterio e del patriarca che voi siete perché anticipa il valore salvifico del cammino pastorale che ormai, dopo l’incontro di Borca di Cadore, il popolo di Dio che è in Venezia è chiamato a proseguire con decisione.

2. Chiediamoci allora, con l’aiuto dell’insegnamento del profeta, dell’apostolo e dell’evangelista: qual è la ragione profonda di questa esultanza?
A prima vista i testi biblici della liturgia odierna non fanno certo esultare! Con la liturgia di oggi la Chiesa ribadisce il suo compito, scomodo ma irrinunciabile (tanto più in un mondo smarrito e spesso confuso come quello di oggi), di proclamare la verità segnando in maniera netta e severa la linea di demarcazione tra il bene e il male. Un discorso questo che il mondo oggi – e quindi anche noi figli del nostro tempo – sembra non voler più ascoltare.
Ma noi siamo qui e perciò vogliamo stare di fronte con franchezza alle sferzanti parole del profeta Amos nella Prima Lettura: «Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! ‘ Sdraiati sui loro divani essi mangiano gli agnelli del gregge ‘ bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati’ e cesserà l’orgia dei buontemponi». Ancor più inequivocabile, nel Vangelo di Luca, è il monito rivolto da Gesù attraverso i farisei a noi tutti con la parabola del ricco relegato negli inferi tra i tormenti, mentre il mendicante Lazzaro è custodito al sicuro nel seno di Abramo. E tra i due mondi il confine è invalicabile.
Quale esultanza allora? L’esultanza della verità costi quel che costi (sacrificio), perché essa sola genera la vita buona che l’Apostolo descrive con delicata intensità: «Carissimo, tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato» (1Timoteo, ). E la vita buona è in se stessa specchio di esultanza. È «’manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico Sovrano, il re dei regnanti e signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può edere. A lui onore e potenza per sempre. Amen».

3. Essere catechisti ed evangelizzatori significa essere resi partecipi di questo compito ecclesiale (mandato) di testimoni della verità che suscita vita buona. Non per i nostri meriti – in nulla infatti ciascuno di noi, di per sé, sarebbe diverso dai ricchi e dagli spensierati cui fanno riferimento le letture di oggi..! ‘ ma per l’iniziativa totalmente gratuita del Padre in Gesù Cristo.
Noi non siamo padroni della Verità, ma Gesù Cristo, Verità vivente e personale, ci si è fatto incontro e ci ha reso suoi umili strumenti. Questo ci riempie di dolore per i nostri peccati e ci spinge a mendicare la Sua grazia, come ci ha fatto pregare l’Orazione di Colletta: «O Dio ‘ continua ad effondere su di noi la tua grazia». O come ci ha ricordato il Canto al Vangelo: «Beati voi che ora avete fame, dice il Signore, perché sarete saziati». O, ancora, come ha continuamente ribadito il ritornello del Salmo: «Beati i poveri in spirito».
Se ci impossessassimo di questo immenso dono che ci viene fatto, andremmo incontro alla sorte sventurata di cui ci parla il profeta Amos: «andranno in esilio in testa ai deportati». Impossessandoci del dono, finiremmo con l’essere spossessati di noi stessi.

4. L’esultanza cristiana implica una buona battaglia. Paolo a Timoteo la sintetizza magistralmente come abbiamo visto («tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede»). In essa è impegnata fino in fondo la nostra libertà. La vita eterna, cioè la vita vera che nella comunità cristiana è già presente in germe, è la meta del cristiano. È già presente, ma non è ancora pienamente raggiunta. Allora noi vogliamo correre per afferrarla, perché anche noi siamo stati afferrati da Cristo.
La battaglia ingaggiata dalla nostra libertà non è minacciata dalla sconfitta e dalla morte, ma è certa della vittoria perché è certa del Vincitore, Colui che «ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato» (1Tim 6,13). Per questo Paolo la chiama buona battaglia della fede.

5. Nella sequela di Cristo Gesù, anche noi impareremo a fare la nostra «bella professione di fede» (1Tim 6,12) a darGli la nostra «bella testimonianza». Siccome per sua natura la Chiesa vive nella persona, ma questa è sempre immersa nella comunità, sarà nostro compito in questi mesi aiutare le nostre comunità di appartenenza (parrocchie ed aggregazioni laicali) a preparare le testimonianze in vista dell’Assemblea ecclesiale.
La bella testimonianza. Solo l’autoesporsi come ‘il terzo che sta tra i due’ (questo è il senso della parola testimonianza) giunge a mostrare ai nostri fratelli uomini la bellezza della vita in Cristo, pienezza offerta ai nostri affetti, al nostro lavoro, al nostro riposo. Seguire Cristo per essere oggettivamente compiuti: per questo amiamo la Chiesa sopra ogni cosa. Vogliamo affermare il positivo delle nostre comunità al di là di ogni fragilità nostra ed altrui.
Cosa fa Elisabetta? Offre la bella testimonianza a Maria, ai due bimbi ancora in seno, ma attraverso questo nucleo fraterno di amicizia in Gesù Cristo questa bella testimonianza giunge quest’oggi fino a noi.
«Il bambino ha esultato di gioia». L’esultanza che apre al futuro pieno di speranza scaturisce dalla gioia. La gioia domanda avenimenti di pienezza. Il nostro incontro possiede per la grazia di Cristo e l’intercessione della Vergine questa natura. Ma ricordiamo il richiamo di Paolo a Timoteo: «Cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni». Carissimi, questa bella professione di fede espressa nel quotidiano è alla radice del nostro compito di catechisti ed evangelizzatori. La Nicopeia ci sostenga e ci accompagni. Amen.