Omelia nell'azione liturgica della Passione (Venezia, 14 aprile 2006)
14-04-2006

Venerdì Santo 2006
San Marco 14 aprile

Questa sera la Chiesa ci ha convocato per celebrare il ‘fulgido mistero della croce’: in esso, se apriamo il cuore nella fede, ci viene rivelato l’infinito amore di Dio per ogni uomo e ogni donna. Consegnandoci alla sacra liturgia – che è sobria e spoglia, ma anche molto intensa – noi saremo condotti al Crocifisso, per prostrarci davanti a lui, adorando e ringraziando.

Nel cuore della liturgia di oggi non c’è l’Eucaristia, ma la proclamazione della passione del Signore: un evento che, nella pienezza del suo senso, non può essere compreso con le sole forze della nostra intelligenza: solo la grazia ce lo può svelare. Nello stesso tempo noi dobbiamo implorare il dono di comprendere che la Croce di Gesù è dono attuale da Dio offerto a ciascuno di noi, è ‘l’oggi di Dio’ per noi: esso provoca la nostra libertà ed esige una risposta.

L’azione liturgica di questa sera, come abbiamo già detto, è molto intensa; in alcuni momenti tenera e commossa, non è però drammatica. Perché?
Perché la morte di Cristo è una morte ‘vittoriosa’ e la sua croce è un ‘trono regale’. Così ce la presenta l’evangelista San Giovanni. Nel racconto della passione che abbiamo ascoltato, è lo stesso Pilato che, dopo aver esplicitamente per tre volte riconosciuto l’innocenza di Gesù, senza volerlo, nella causale della condanna posta in testa alla croce, proclama la ‘regalità’ di Gesù. Scrive infatti: ‘Gesù Nazareno Re dei giudei’.
Il senso vero della liturgia di oggi ci viene svelato nelle parole di Gesù a Nicodemo: ‘Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna’ (Gv 3,16). Oggi è la giornata il cui il dono viene compiuto: il corpo viene donato e il sangue viene versato.

Tutto questo però va letto nella luce della Risurrezione: qui sta l’originalità del mistero che noi celebriamo e che solo la fede ci può svelare. Essa ci consente di affermare che la croce di Gesù è ‘gloriosa’ e la sua morte è ‘vittoriosa’. In realtà, il Crocifisso risorgerà e trascinerà nella sua vittoria l’umanità intera. Per questo davanti alla croce noi ci inginocchieremo adorando e sperando.

La prima lettura, tratta dal profeta Isaia (52,13-53,12), annunzia in modo sconvolgente la passione del Signore: ‘Non ha apparenza né bellezza’Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia’Eppure egli si è caricato le nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori’Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità . Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui, per le sue piaghe noi siamo stati guariti..’.
Una profezia drammatica: però la chiave di lettura che ci consente di intendere il senso profondo di questo testo, così carico di dolore, sta nella prime parole: ‘Ecco, il mio servo avrà successo, sarà innalzato, onorato, esaltato grandemente’. Il dolore, di cui parla il profeta e che la liturgia riferisce alla passione di Gesù, è chiamato a trasformasi in ‘vita’ per tutti coloro di cui lui ha espiato le colpe: un dolore che fiorisce nella vita è glorioso, come il chicco di frumento che, morendo nella terra, diventa pane che sfama le moltitudini.
La seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei (4,14-16; 5,7-9), è un potente invito alla speranza: ‘Noi non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno’.
Il vangelo di Giovanni narra la passione di Gesù: il suo processo, la sua condanna e la sua morte in croce, evidenziandone sempre il risvolto glorioso: infatti in nessun momento della sua vita, come sulla croce, Gesù ha proclamato il suo incondizionato amore al Padre, da vero Figlio, e mai è stato, come in quel momento, solidale con l’umanità, liberandola dal peccato e aprendole la strada della salvezza. Sulla croce di Gesù ‘Dio è veramente Amore’.
Del resto Gesù stesso più volte, soprattutto nella grande preghiera al Padre al termine dell’ultima cena, riferendosi alla sua passione imminente, l’aveva chiamata la sua ‘glorificazione’. ‘Padre, glorifica il Figlio tuo..’ (cfr Gv 17,1).

Questa intelligenza della croce come evento glorioso di salvezza e rivelazione suprema di un Dio che è Amore, deve portarci a una risposta che coinvolga tutta la nostra vita, come Gesù ha donato tutto se stesso.
Non solo, ma deve introdurci nella comprensione piena del mistero di Cristo, primogenito di molti fratelli, fattosi solidale con l’umanità ferita dal peccato. Avere intelligenza della croce vuol dire comprendere che Cristo è morto per tutti e che, quindi, anche noi dobbiamo farci carico, come lui, di tutti i nostri fratelli, uomini e donne; comporta ancora che ci apriamo a questo amore testimoniando la nostra fede come primo servizio da rendere ai fratelli, e impegnandoci nello sforzo di solidarietà e di condivisione universale, di cui Gesù crocifisso è l’esempio incomparabile.

Allora ci rendiamo conto perché, dopo la proclamazione della passione, la liturgia ci invita a una lunga intercessione dilatando il nostro cuore sulle dimensioni universali della salvezza operata da Cristo. Come se, sotto la Croce di Gesù, la Chiesa non potesse dimenticare proprio nessuno, invitando tutti a guardare il Crocifisso, perché sta scritto: ‘Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto’ (Gv 19,37).
Questa preghiera sotto la croce, a cui è appeso il Figlio di Dio, è anche presa di coscienza delle nostre responsabilità di credenti e di ‘salvati per grazia’ da Cristo crocifisso. E’ la responsabilità della risposta personale, che si traduce nell’impegno a seguire Gesù, anche quando questo ci costa. Ma è anche l’assunzione della responsabilità a partecipare all’opera redentrice di Cristo ‘completando nella nostra carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24).

Dopo la grande preghiera si svolge il rito dell’intronizzazione della Croce che viene presentata solennemente a tutta l’assemblea, viene venerata e poi collocata al centro dell’altare.
Contestualmente la liturgia canta il lamento di Dio sulla passione del Figlio: ‘O popolo mio, che male ti ho fatto? In che cosa ti ho provocato? Rispondimi’. Questo misterioso lamento di Dio per l’uomo che non comprende l’amore!
Sono parole che evocano gli interventi salvatori di Dio nella storia della salvezza: interventi a cui l’uomo ha risposto crocifiggendo il Figlio di Dio.
L’azione liturgica si conclude con la comunione al pane eucaristico conservato dalla celebrazione del giorno precedente. E’ l’assenso di ciascuno di noi alla partecipazione al mistero di Cristo paziente, comunicando al suo corpo donato e al suo sangue versato. Ma è anche partecipazione al dono che Gesù ha fatto di se stesso a tutta l’umanità, senza nessuna distinzione. Cristo è morto per salvare tutti, come afferma l’apostolo Paolo: ‘Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Gesù Cristo è venuto al mondo per salvare i peccatori..’ (1 Tim 1,15).

Ritornando alle nostre case, questa sera, dobbiamo portare in cuore la consolazione della fede nell’amore di Dio che ci vuole tutti salvi e l’impegno, fermo e sereno, a condividere con Gesù il compito di operare per rendere questo mondo più conforme al progetto del Padre: un mondo quindi più fraterno, più accogliente e più solidale.
‘Adoriamo la tua Croce, Signore,
lodiamo e glorifichiamo
la tua santa risurrezione.
Dal legno della Croce
È venuta la gioia in tutto il mondo’ (antifona dalla Messa).