Omelia nella solennità di San Marco (Venezia, 25 aprile 2008)
25-04-2008

San Marco 2008

 

 

La festa del nostro Patrono San Marco cade nel periodo pasquale. La Liturgia ci invita a viverla nella luce delle parole del Signore: ‘Sono risorto e sono ancora con voi’. La risurrezione di Gesù, il Crocifisso, è la risposta del Padre al Figlio che ha amato fino al dono totale di sé; essa è il cuore della fede della Chiesa, la sorgente della sua forza.

 

 

Ancora una volta io vorrei sostare in meditazione sul Vangelo che abbiamo appena ascoltato. L’evangelista Marco, nei versetti che precedono il nostro testo, ci ha narrato delle donne (Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome) che, passato il sabato, di buon mattino vanno al sepolcro, portando aromi per imbalsamare il corpo del Signore, ma trovano che il masso, che chiudeva il sepolcro, era stato rotolato via. Entrate nel sepolcro, vedono un giovane, seduto sulla destra: ed ebbero paura. Ma egli disse loro: ‘Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto. Non è qui’.

 

Spaventate, esse fuggirono via dal sepolcro.

 

 

Gli undici (cioè gli apostoli rimasti, dopo il tradimento di Giuda), che pure più volte, quando Gesù era vivo, l’avevano sentito affermare che sarebbe risorto, non reagirono meglio delle donne: a quanti l’avevano visto risuscitato, essi non volevano credere.

 

Alla fine ‘ narra il brano evangelico che abbiamo appena ascoltato ‘ il Risorto apparve a loro mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità. In realtà il Venerdì Santo aveva segnato il crollo della fragile fede dei discepoli. In fondo ‘ pensavano – non avevano ragione i sacerdoti che sotto la croce schernivano Gesù, dicendo: ‘Ha salvato gli altri, perché non può salvare se stesso? Si è detto Figlio di Dio. Dio lo salvi se è suo figlio!’?

 

Erano queste anche le considerazioni che si scambiavano i due discepoli che, il primo giorno dopo il sabato, amareggiati, abbandonavano Gerusalemme, in cammino verso Emmaus.

 

Non è, forse, quello dei discepoli, anche il nostro dubbio? Un Dio che muore, e che muore sulla croce’ Non è forse anche nostra la fatica a capire che proprio la morte di Gesù è l’espressione più alta della solidarietà di Dio con noi, nelle nostre debolezze e sofferenze? La morte del Figlio di Dio sulla croce non è forse l’affermazione suprema della sua misericordia? E, ciò che è ancora più grande, anche se sconvolgente, non è forse proprio il Crocifisso la rivelazione del vero volto di Dio, come aveva capito il centurione pagano, il quale, proprio vedendo Gesù morire così, esclamava: ‘Veramente questo uomo era il Figlio di Dio‘ (Mc 15,39). E la gloriosa Risurrezione di Gesù non è forse l’unico solido fondamento della nostra speranza?

 

 

A questo punto della narrazione evangelica ci aspetteremmo una specie di resa dei conti: gli apostoli, nella notte della cattura di Gesù nel Getsemani, erano fuggiti, abbandonando Gesù, solo, in mano ai suoi nemici; uno di loro, Giuda, l’aveva tradito per trenta denari; Pietro stesso che, sì, lo aveva seguito da lontano, poi, di fronte a chi lo aveva riconosciuto come uno dei discepoli del Nazareno, l’aveva rinnegato, giurando e spergiurando di non conoscerlo: ‘Giuro che non so chi sia! Non so di chi parliate!’. Proprio lui che, qualche ora prima, aveva detto a Gesù: ‘Anche se dovessi morire per te, non ti rinnegherò’ (Mt 26,35).

 

Gesù invece non ripudia i suoi discepoli, ma anzi appare proprio a loro e, dopo averli rimproverati per la loro mancanza di fede, proprio a loro – così deboli e segnati da tante fragilità ‘ affida il compito rendergli testimonianza in tutto il mondo, portando a compimento la sua opera: ‘Andate in tutto il mondo e proclamate la bella notizia ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato’.

 

In tal modo sarà chiaro a tutti che la forza salvatrice della Parola non viene dalla sapienza umana (1 Cor 2,13), ma dalla potenza dello Spirito Santo che sempre l’accompagna. Proprio come dicono le ultime parole che chiudono il testo che abbiamo ascoltato: ‘Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore Gesù operava insieme con loro e confermava la loro parola con i segni che l’accompagnavano’.

 

 

Ci domandiamo: ma qual’è l’evangelo, cioè ‘la bella notizia’ che gli undici devono portare ad ogni creatura?

 

La bella notizia è questa: il male, che pare domini tutto, non è il signore della storia, né la morte, che ci angoscia, è l’ultima parola sulla nostra vita. Dio Padre vuole il mondo salvo nella croce e risurrezione di Gesù. Che è come dire che l’amore misericordioso di Dio in Gesù, morto e risorto, ferma il male. Dio non vuole che gli uomini periscano, ma che giungano, mediante Gesù, alla conoscenza della verità e siano salvi.

 

 

Questa ‘bella notizia’ della chiamata di tutti alla salvezza va proclamata ad ogni uomo e ad ogni donna perché la libertà di ciascuno si apra ad accoglierla e nel segno sacramentale del Battesimo, ci si aggreghi alla Chiesa, comunità dei discepoli di Gesù, suo sacramento e sua memoria viva nella storia.

 

 

Ancora una volta una realtà fragile e povera: la Chiesa, fatta di creature deboli, viene indicata come lo strumento mediante cui agisce il Risorto con la potenza del suo Spirito. Proprio come aveva preannunziato Gesù nel discorso d’addio durante l’Ultima Cena: ‘Farete le stesse cose che facevo io, ne farete anche di più grandi’ (Gv 14,12): ovviamente non ripetendo materialmente i gesti di Gesù (irrimediabilmente segnati dalla cultura in cui è vissuto), ma lasciandoci permeare dal suo Spirito. Infatti lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel nome di Gesù, ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Lui ci ha detto (Cfr Gv 15,26), perché lo incarniamo nella nostra vita, al punto da poter dire: ‘Io vivo: Cristo vive in me‘ (cfr Gal 2,20).

 

 

Mi sarete testimoni‘ ha raccomandato Gesù ai suoi discepoli prima di salire ai Cielo. Questa parola non è solo una raccomandazione per una vita buona, ma è l’affermazione più profonda dell’identità del cristiano e della Chiesa. Il cristiano sa di essere nella storia come un segno sensibile, ‘la memoria viva’ del Risorto che è presente nella Chiesa e agisce con i credenti in reale, anche se misteriosa, sinergia. La finale di Marco usa proprio questa espressione: ‘Il Signore operava con loro e confermava la loro parola con i prodigi che l’accompagnavano‘. In questi prodigi noi intravediamo l’azione potente dello Spirito che accompagna sempre la Parola evangelica.

 

 

La presenza del Risorto che cammina con la sua Chiesa e opera insieme con essa trova il suo ‘segno supremo’ nell’Eucaristia: ‘la divina Eucaristia‘. Essa è presenza reale del Crocifisso risorto.

 

L’Eucaristia è il cuore della Chiesa, è la fonte della sua energia, è ‘la norma’ della sua vita; è il fuoco che genera i martiri; è la coniugazione più alta, vertiginosamente alta, di grazia e libertà: nasce da un sì che è inscindibilmente di Cristo e della creatura (il ministro ordinato). L’Eucaristia è Amore che genera la comunione nei cuori, nelle famiglie, nelle comunità; è l’epifania della divina misericordia.

 

Essa è anche il sacramento dell’intercessione di Cristo, sacerdote e vittima, davanti al Padre: una intercessione per tutta l’umanità, dalla voce più potente di quella di Abramo per le città di Sodoma e Gomorra o di Mosé per il suo popolo caduto nell’idolatria. L’Eucaristia è, nella storia dell’uomo, la voce del Figlio che chiede perdono per i suoi fratelli che non lo ascoltano, non si amano e lo crocifiggono, oggi come ieri, perché, dice Lui al Padre mentre viene crocifisso, ‘non sanno quello che fanno’.

 

Scrive Giovanni nella sua prima lettera: ‘Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati, non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo‘ (1 Gv 2,1-2).

 

L’Eucaristia è il sacramento dell’intercessione di Cristo: essa protegge la Chiesa e il mondo, è il ‘segno’ innalzato da Dio per contrastare e fermare il male del mondo; è l’epifania più luminosa della misericordia di Dio: nel cuore del male di oggi, perché oggi viene celebrata l’Eucaristia.

 

 

A me è stato dato di celebrarla ormai da sessant’anni, ogni giorno: un dono incommensurabile e totalmente gratuito!

 

Voi, oggi, lo volete ricordare ed io ve ne sono grato: immensamente grato al nostro Patriarca e a tutti voi, che anche in questo modo volete esprimermi affetto e vicinanza, proprio come in una famiglia.

 

Ringraziate con me il Signore. Mentre le forze diminuiscono e l’efficienza fisica si riduce, mi è dato ogni giorno di celebrare l’Eucaristia. E così di intercedere, con il Risorto, per ciò che amo più di tutto: la mia Chiesa e la mia Città e per il mondo intero. Per sessanta anni, ogni giorno.

 

Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.

 

Sia benedetta la sua Santa Madre che, fin da piccolo, è stata anche per me madre e continua ad esserlo, in questi miei giorni, donandomi consolazione e pace.