Omelia nella solennità dell'Epifania (Venezia - S. Marco, 6 gennaio 2005)
06-01-2005

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO EVANGELISTA
SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE
Is 60, 1-6; Sal 71; Ef 3, 2-3.5-6; Mt 2, 1-12

OMELIA DEL PATRIARCA ANGELO CARD. SCOLA
Venezia, 6 gennaio 2005

1. «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo» (Mt 2, 2). Nella domanda dei Magi, primizia di tutte le genti, sentiamo raccolta la domanda di tutti gli uomini. La tua, la mia domanda. Più o meno confusamente, infatti, ogni uomo «avverte la pressione di una Presenza» – con la P maiuscola – (George Steiner) nelle cui mani affidare la propria persona. Qualcuno che prenda a cuore il suo destino. E per incontrarLo affronta, come i Magi, un lungo ed avventuroso viaggio.
Non a caso, sempre e in ogni cultura, il genio poetico ha utilizzato la figura letteraria del viaggio per descrivere l’avventura umana: Ulisse, Dante, l’esule, il pellegrino, l’esploratore, l’avventuriero’ sono tutte varianti di un’unica e radicale intuizione: la vita dell’uomo è un viaggio alla ricerca di Qualcuno che lo assicuri per sempre.
A questo sempre vivo desiderio di tutte le genti risponde un Dio fatto bambino. Colui che regge tutto l’universo nasce dal grembo di una donna. Il Natale, che la solennità dell’Epifania mostra in tutto il suo splendore, è il compimento della promessa che ha sostenuto il viaggio dei Magi, che sostiene il mio e il tuo viaggio, il viaggio di ogni uomo.
«È venuto il Signore nostro re: nelle sue mani è il regno, la potenza e la gloria» (Antifona d’Ingresso). Colui che ogni uomo esce a cercare, ci è venuto e ci viene incontro per primo.

2. Chi è questo re-bambino? È il re dei Giudei, dicono i Magi. Questa stessa espressione verrà usata trent’anni dopo per identificare l’Uomo crocifisso sul Golgota in mezzo a due malfattori: «Gesù Nazareno, re dei Giudei» (Mt 27, 37). I segni della Sua regalità ‘ che si manifesterà pienamente con la Sua resurrezione e la Sua gloriosa ascensione in cielo – sono quelli della sua nascita, morte e passione.
Con grande efficacia li ricorda Cromazio di Aquileia: «Quanto grande è il mistero della condiscendenza divina! (‘) Accetta di venir posto in una mangiatoia Colui che racchiude dentro sé i cieli! È dentro una culla Colui che il mondo intero non può contenere! Si percepisce la voce di un neonato che sa solo gemere, ed è Colui al cui grido, al tempo della Passione, il mondo intero è stato scosso. I magi dunque vedono questo innocente e lo riconoscono: è il Dio della gloria e il Signore della maestà» (Commento a Matteo 5, 1). Questo è il paradosso del cristianesimo: l’onnipotenza si rivela nell’impotenza.
Attraverso i doni che i Magi depongono ai piedi del Bambino tra le braccia di sua Madre – oro al gran re, incenso al Dio dei cieli e mirra a Colui che deve morire ‘ si manifesta il mistero della Sua singolare identità e missione: «Guarda, o Signore, i doni della tua Chiesa che ti offre non oro incenso e mirra, ma Colui che in questi santi doni è significato, immolato e ricevuto» (Orazione sulle Offerte).

3. Nei Magi la Chiesa ha sempre visto la primizia delle genti lontane, di tutte le nazioni della terra: «Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra» (Salmo).
Forse mai come di questi tempi si impone il senso della singolare universalità dell’evento di Gesù Cristo. La figura dei Magi, che rappresentano tutte le nazioni, lo rivela. Un variegato intrecciarsi di etnie, culture e religioni sta diventando un dato ineliminabile della nostra vita quotidiana. Gli altri, i diversi, non sono più oltre le nostre frontiere, sono qui in mezzo a noi e concretamente chiedono il nostro coinvolgimento. Con questa realtà la nostra società civile e le nostre comunità cristiane devono fare i conti.
A nessuno sfugge la complessità della situazione creatasi anche in Europa in seguito ai sempre più massicci fenomeni migratori. Lungi dai cristiani il rischio di liquidarla in modo semplicistico. Tuttavia il riconoscimento che il Figlio di Dio si è fatto uomo per tutti gli uomini e per ciascuno di essi, ci offre oggi un criterio di giudizio prezioso per il nostro presente.
L’immigrazione, lo scambio tra culture e società, i rapporti interreligiosi hanno di fatto dato vita ad un processo inevitabile e di lunga durata cui siamo chiamati a prendere parte. L’apertura universale dell’Epifania è un invito rivolto a noi tutti ad affrontare questo processo di storica portata senza cedere all’insidiosa tentazione intellettualistica che si appaga di scaltre analisi. Né bastano i pur necessari provvedimenti legislativi. È richiesto l’impegno quotidiano di ciascuno, assunto nell’ideale dell’amore. L’amore vero, universale e concreto, che l’Epifania di Gesù Cristo ci testimonia: Dio (universale) si è fatto bambino (concreto) «a favore di noi uomini».

4. «Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio» (Is 60, 4). Nella profezia di Isaia è anticipato il destino di unità cui il Padre chiama tutti gli uomini. La seconda Lettura ‘ la Lettera agli Efesini – lo rivela (epifania) a noi cristiani. «È stato fatto conoscere il mistero (‘) per mezzo dello Spirito: che i gentili sono chiamati, in Gesù Cristo, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 3, 3.5-6).
Come educarci concretamente a questa convocazione cui ci destina l’amore di Gesù («Congregavit nos in unum Christi amor»)? Annunciando, con l’efficace impotenza dell’amore, Gesù Cristo a tutti i popoli. Il lavoro dei missionari cristiani diventa allora un richiamo permanente per tutta la nostra comunità ecclesiale: un invito a vivere le dimensioni del mondo, a riconoscere che il dono della fede non ha confini. Questa universalità diventerebbe ancora più concreta se nella nostra Chiesa dei fedeli laici decidessero di dedicare qualche anno della loro vita a sostenere in loco i nostri missionari. Al nostro Patriarcato viene offerta un’occasione preziosa attraverso la parrocchia di Ol Moran in Kenya. Ma non solo. Sono molti infatti i missionari sacerdoti, religiosi e religiose della nostra Diocesi cui si può prestare un organico contributo.
Mi rivolgo soprattutto a giovani neolaureati, a coppie appena sposate o a uomini e donne che, essendo giovani pensionati, sono in grado di offrire competenza cristianamente orientata. Se non avessimo la possibilità di dedicare mesi o anni direttamente alle missioni, siamo in ogni caso chiamati a vivere le dimensioni del mondo.

5. Così pregheremo con l’Orazione dopo la Comunione: «La tua luce, o Dio, ci accompagni sempre e in ogni luogo». Sempre e ogni luogo: con due semplici avverbi la liturgia ci ricorda che nulla dell’umano è estraneo alla Chiesa.
Fin dall’inizio, il giorno della festa dell’Epifania, la tradizione della Chiesa accostò alla rivelazione fatta ai Magi il primo episodio della vita pubblica di Gesù. Il miracolo delle nozze di Cana ci insegna che Gesù non teme di ‘sporcarsi le mani’, di entrare dentro la materialità della vita per indicare e perseguire instancabilmente la vita buona degli uomini. L’amore è veramente universale quando cambia il particolare concreto, quando fa brillare il tutto nel frammento.
Per questa ragione, nell’odierna società plurale, i cristiani concorrono con tutti i protagonisti della vita pubblica alla costruzione del bene comune. Ed è dovere dei Pastori, nel rispetto della loro funzione e delle dovute distinzioni di compiti, proporre, nel libero agone democratico, gli ideali cui ispirare la vita buona personale e sociale.
L’Epifania di nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, col suo messaggio di universale verità apre il nostro cuore ad una speranza certa: il bene è diffusivo e, in tempi e modi che solo il Padre conosce compiutamente, trionfa sul male.
Sul male fisico.
Così, anche se di fronte all’immane catastrofe del maremoto che si è abbattuta sulle regioni del sud-est asiatico l’umanità intera vacilla, come non scorgere nel moto di solidale com-passione che subito ne è scaturito un segno che il bene già incomincia a germogliare di nuovo? L’unità mondiale dell’azione di soccorso ci apre alla speranza certa che ‘ come ci ha ricordato il Santo Padre ‘ Dio non ci abbandona in questa tragica prova. Nessuna di queste morti è inutile. Ad una ad una le vittime incontrano lo sguardo amoroso di Dio Padre. Soprattutto i bambini travolti dallo tsunami. Afferma Péguy nel ‘Mistero dei Santi Innocenti’: «Inutili?» dice Dio, «ma se sono le creature a me più care! Le più preziose, per la somiglianza a mio Figlio, sia nella mancanza di amarezza sulla vita sia nel sacrificio innocente subìto».
Perfino il male morale di cui siamo responsabili, se lo riconosciamo e ne domandiamo perdono, non rappresenta un’alternativa assoluta al bene pienamente svelato dalla vittoria di Cristo.
Questo giudizio mobilita ulteriormente la nostra libertà. Ce lo richiama un’efficace affermazione di Sant’Agostino: «Mala tempora, laboriosa tempora, hoc dicunt homines. Bene vivamus, et bona sunt tempora. Nos sumus tempora: quales sumus, talia sunt tempora» (‘Sono tempi cattivi, tempi travagliati!’ si dice. Ma cerchiamo di vivere bene e i tempi saranno buoni. I tempi siamo noi; come noi siamo così sono i tempi’, Sermo 80, 8). Il realismo cristiano è via autentica di edificazione.
Con questo basilare criterio abbiamo pregato poco fa: «Conduci, o Dio, benigno anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la grandezza della tua gloria» (Preghiera di Colletta). Questa gloria si manifesta nella feconda e tenace capacità di umana edificazione del popolo di Dio che è la Chiesa, oggi radunata da tutte le genti in questa splendida Basilica. Amen.