Omelia nella solennità dell’Epifania (Venezia - Basilica cattedrale di San Marco, 6 gennaio 2015)
06-01-2015
Solennità dell’Epifania
(Venezia – Basilica cattedrale di San Marco, 6 gennaio 2015)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Carissimi fratelli e sorelle, a tutti l’augurio di una santa e serena festa dell’Epifania; il Signore, infatti, ci vuole tutti santi e sereni.
Come la festa di Natale, anche l’Epifania si caratterizza per il forte e costante richiamo alla luce e al suo simbolismo ricco e suggestivo.
 La prima lettura è tratta dal libro di Isaia; l’anonimo profeta – che ne è autore – ci porta al tempo successivo all’esilio; siamo attorno alla prima metà del VI secolo a. C. Sono gli anni in cui il popolo viene dall’amara ma feconda esperienza dell’esilio; certo, questo non è il tempo in cui si può ricostituire l’istituzione monarchica dopo il crollo dei regni d’Israele e Giuda.
Ma l’anonimo profeta vuol fare in modo che quanti rientrano dall’esilio vivano in pienezza la loro vocazione di membri del popolo dell’Alleanza rispondendo, al meglio, alla nuova situazione storica in cui vengono a trovarsi. Il popolo, quindi, deve rispondere alla sua vocazione di popolo dell’Alleanza. Una domanda si pone: quale è il compito d’Israele tra le nazioni? O se preferiamo: cosa significa essere popolo di Dio tra i pagani? L’anonimo autore della prima lettura (Is 60, 1-6) intende rispondere a questa domanda.
Di primo acchito potrebbe sembrare che – sotto sotto – si voglia elaborare un progetto egocentrico, destinato ad esprimere una politica nazionalista e autoritaria nei confronti degli altri popoli.
E’ opportuno, allora, sgombrare il campo da ogni equivoco, poiché qui non si elabora una proposta politica ma, piuttosto, s’intende rispondere – in nuove e difficoltose condizioni storiche – alla vocazione religiosa del popolo, a servizio del progetto salvifico di Dio. E, a tale proposito, l’autore si serve del simbolo della luce, luce che vince le tenebre e ha la meglio sull’oscurità della notte.
 Sarà il Signore, con la sua gloria, ad illuminare e risanare un mondo dominato da nebbie e tenebre e lo farà attraverso un popolo che, a sua volta, sarà illuminato dalla Luce di Dio.
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere” (Is 60,1-3).
Questo è il messaggio del Natale, dell’Epifania e dell’intero tempo natalizio che inizia con la liturgia della notte santa e termina con la festa del Battesimo di Gesù. E’ necessario, però, che il popolo, per primo, si lasci illuminare per poter, a sua volta, rischiarare. Questa è la vocazione di Israele, della Chiesa, di ogni battezzato. Questa è la nostra vocazione.
In un recente convegno su formazione e innovazione il relatore – uno scienziato -, mostrando fotografie notturne del nostro pianeta scattate dal satellite, faceva notare che le zone più illuminate sono quelle dove si produce maggior quantità d’energia, ossia America Settentrionale, Europa e alcune parti dell’Australia; sono le zone in cui il ritmo della vita pulsa con più forza.
Tale riferimento al nostro mondo, fortemente globalizzato ed espressione avanzata della tecno-scienza con le sue grandi opportunità ma anche con i suoi grandi pericoli, non può farci sottacere la delicata questione ecologica o salvaguardia del creato e, in primis,dell’uomo che è diverso dagli animali. Stiamo perdendo questa specificità umana…
Qui si dà l’odierna sfida per uno sviluppo compatibile e sostenibile dinanzi alle imprescindibili esigenze dell’ambiente: è in gioco il futuro dell’uomo e del pianeta ed è questione che non può esser rimandata. Si tratta, infatti, di una sfida legata al nostro presente che ci interpella oggi in modo drammatico. Neanche nel terzo o quarto mondo si deve più sottostare al ricatto: o lavoro o salute.
Ma ritorniamo al nesso che intercorre fra luce, energia, vita e che non riguarda soltanto la sfera fisica ma anche quella salvifica; le fotografie scattate dal satellite diventano un forte richiamo proprio per il nesso che esiste – anche sul piano spirituale e salvifico – tra luce, energia, vita. Sì, anche sul piano della salvezza – ossia la cura che Dio ha per noi – assume valore il rapporto che – sul piano fisico – lega luce, energia, vita.
A Natale, essere rivestiti della luce di Betlemme vuol dire partecipare all’energia vitale, l’energia che viene da Dio Padre, Figlio e Spirito Santo che si comunica e ci salva attraverso il piccolo bambino di Betlemme.
Ecco perché le liturgie del Natale e dell’Epifania si concentrano sulla luce, perché il bambino adorato dai pastori e dai Magi – e circonfuso dalla luce di Dio – è l’origine stessa della luce, dell’energia e della vita.
Ci viene chiesto d’iniziare un nuovo cammino che contesti ogni forma di vana mondanità, instaurando relazioni buone a livello personale e sociale – secondo la logica del Natale – a partire da quella relazione da cui derivano tutte le altre, ossia la relazione con Dio.
A Natale si manifesta in tal modo l’umanesimo cristiano, quel nuovo umanesimo su cui nel prossimo novembre rifletterà la Chiesa italiana nel convegno di Firenze e che guarda a Gesù Cristo e all’umanità che si dispiega a partire da Lui. Sarà una riflessione sul modo d’esser uomini oggi, in una società multietnica e multiculturale, avendo a cuore non solo gli uomini e le donne che vivono al centro del mondo ma anche – come ci ricorda spesso Papa Francesco – quelli che ne abitano le periferie.
Così – nota l’evangelista Luca – i pastori, mentre custodiscono i greggi, vengono destati da un angelo e, subito, sono avvolti dalla gloria e dalla luce del Signore (cfr. Lc 2,9); in cielo, poi, appare una moltitudine di angeli che loda Dio.
Anche i Magi – come narra oggi l’evangelista Matteo – furono guidati a Betlemme da una stella luminosa che li precedeva solcando il cielo fino al luogo in cui trovano il bambino, deposto su un po’ di paglia; questi saggi, questi ricercatori della verità, non appartenenti al popolo ebreo portano, innanzitutto, se stessi e il dono della loro fede e, poi, recano oro (simbolo della regalità), incenso (simbolo della divinità) e mirra (simbolo della redenzione). Non diamo a Dio qualcosa; a Dio diamo noi stessi.
L’Epifania, quindi, offre ai pagani lo stesso messaggio che il Natale offre a Israele; Gesù – la luce, l’energia, la vita di Dio – è il dono, anche per i popoli che non hanno avuto la Legge e i Profeti e che, però, sono chiamati a diventare luce. La luce del Natale e dell’Epifania è fonte di energia e di vita e segna l’inizio di un nuovo cammino, sia per Israele sia per le nazioni pagane. Oggi è la giornata della missione.
Le due feste, infatti, sottolineano aspetti diversi dell’unica manifestazione del Figlio unigenito del Padre che si fa uomo, prendendo la nostra vera carne umana, per incontrare l’uomo proprio là dove iniziano le sue  fragilità e debolezze, là dove la vita è più indifesa e chiede di essere tutelata e salvaguardata, dal grembo materno agli ultimi istanti di vita.
Dio è presente in questo bambino; è presente in modo pieno, reale e concreto, come afferma la lettera ai Colossesi: “in lui … abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui” (Col 2, 9-10). Questa è la scuola e la conversione del Natale.
 In tal modo la luce – ossia l’energia – è espressione stessa della vita. L’esortazione a noi rivolta il giorno dell’Epifania – festa della Luce, come è attestato soprattutto nella tradizione orientale – consiste nel rispondere alla chiamata di Dio, essere persone e comunità capaci di testimoniare la luce del Signore.
Non è qualcosa di velleitario o una pretesa fuori luogo ma, piuttosto, è la risposta fedele ad una chiamata ricevuta, è richiesta che lo stesso Gesù ha tradotto in un esplicito comando per i discepoli: “Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte…” (Mt 5,14).
La rinnovazione della Chiesa non nasce da immagini mediatiche, ma dalla rigenerazione delle nostre vita, dalla conversione dell’uomo vecchio che appartiene a ciascuno di noi.
L’Epifania “compie” il Natale e ci chiama alla testimonianza e all’evangelizzazione, ovunque e comunque, iniziando da quella periferia che è il nostro cuore (e che molte volte non consideriamo). La luce si impone per attrazione e la luce fa breccia nelle tenebre, semplicemente perché è luce.
Il Vangelo chiede d’essere annunciato da una comunità di persone che, per prima, è stata ridestata dal sonno, rivestita di luce e che intende essere testimone della luce presso ogni uomo, chiunque sia.
La solennità dell’Epifania ci ricorda, così, che Gesù non è un tesoro per pochi privilegiati ma, come cantano gli angeli nella notte santa di Betlemme, è il tesoro da condividere con tutti gli uomini di buona volontà.